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Che cosa significa davvero organizzare un Mondiale con l’Arabia Saudita

Se le relazioni diplomatiche, economiche e sportive di questi anni non fossero già bastate, ora ci sarebbe una nuova, clamorosa suggestione per stringere ancora di più il già solido rapporto che sembrerebbe legare Italia e Arabia Saudita: organizzare insieme i Mondiali del 2030. Ancora un’idea, per il momento lanciata in esclusiva da New York Times e The Athletic, ma che emerge con un tempismo quantomeno curioso: all’indomani dell’annuncio del Presidente della FIGC Gravina dell’intenzione del nostro Paese di candidarsi per ospitare Euro 2028 o, appunto, la Coppa del Mondo 2030. Ma per quest’ultimo evento, è ormai improbabile che un solo Paese riesca a sostenere l’inevitabile aumento di investimenti legato al maggior numero di squadre (48) e di gare (80) previsto dal 2026: la FIFA stessa, d’altro canto, incoraggia le candidature congiunte, come già dimostrato per il Mondiale 2026 organizzato da Canada, Messico e Stati Uniti.

La prima idea dell’Arabia Saudita, in realtà, sarebbe stata quella di costruire un unico blocco con Egitto e Marocco, collegando così Medio Oriente e Nord Africa nella preparazione dell’evento. Ma i due paesi africani necessitano di investimenti estremamente massicci e di difficile realizzazione per il potenziamento delle proprie infrastrutture e il rischio di un mancato successo economico non sembrerebbe così basso. Insomma, improponibile per la FIFA, ovviamente attenta all’aspetto commerciale ed economico. E dunque, il governo saudita si è messo alla ricerca di altri partner, possibilmente europei, più sicuri sul piano politico ed economico con cui provare a lanciare una candidatura congiunta in grado di sfidare l’unica finora presentata, quella che unirebbe Spagna e Portogallo. In realtà, l’Arabia Saudita sembrerebbe avere anche le idee chiare su chi fare riferimento: proprio l’Italia. Un’alleanza solo apparentemente improbabile e che, invece, sembrerebbe giustificare questa suggestione per niente campata per aria.

I rapporti economici e diplomatici tra i due Paesi si sono vistosamente rinforzati negli ultimi anni. Anzi, il nostro Paese sembra guardare con un certo interesse il piano del leader di fatto dei sauditi, Mohammed bin Salman, di diversificare l’economia con nuove attività economiche commerciali e turistiche, liberando così il bilancio dal rigido vincolo del petrolio. Gli eventi sportivi sono diventati la grande occasione per attirare nuovi investimenti e l’Italia non ha fatto mancare il suo apporto, anche sul piano sportivo: gli accordi per la disputa della Supercoppa Italiana in Arabia Saudita a partire dal 2019 sono stati il più chiaro esempio di quanto anche la FIGC trovi interessante il progetto saudita e sia ormai disposta a far giocare una finale tra due propri club nazionali anche a migliaia di chilometri di distanza in nome degli affari.

Un’idea piaciuta subito così tanto ai dirigenti italiani da far dimenticare che bin Salman e il suo governo sfruttino queste occasioni per fare del vero e proprio sportwashing, ovvero ripulirsi dei propri crimini e violazioni dei diritti umani, accertati da numerose ONG a livello internazionale, attraverso gli eventi sportivi. Un metodo che sta funzionando benissimo anche nel vicino Qatar e che i sauditi sono ben felici di replicare, magari a loro volta con l’organizzazione di finali di coppa e, perché no, anche di un Mondiale.

Non solo, ma la Serie A potrebbe essere il primo, importante pacchetto dell’emittente televisiva saudita che a breve dovrebbe essere lanciata, soprattutto per opporsi alla qatariota (e, dunque, politicamente rivale) beIN Sports, già dominante nella regione tra Medio Oriente e Nord Africa. Insomma, il nostro calcio, ma in generale la nostra politica, sembrerebbe aver deciso di porsi sotto l’ala protettiva di un Paese che sta aumentando evidentemente il proprio peso economico e politico nel calcio: lo dimostrano i tentativi di acquisto del Newcastle, ma anche l’effettiva influenza esercitata su numerose idee del Presidente della FIFA Infantino, a partire dall’ipotesi di giocare i Mondiali ogni due anni fino all’aumento del numero di partecipanti alla Coppa del Mondo e la creazione di una Nations League globale.

Quanto sia realizzabile il piano di una candidatura congiunta Italia-Arabia Saudita, restano degli enormi dubbi, soprattutto sul piano pratico e geografico. È però quantomeno curioso, e sicuramente angosciante, che proprio l’Italia sia considerata a oggi il miglior alleato possibile in Europa da parte di un Paese che continua sistematicamente a violare i diritti umani come l’Arabia Saudita. Tra Roma e Riyad si è creato negli anni un asse incredibilmente florido, segnato principalmente dalla vendita delle armi (utilizzate poi in guerre umanamente catastrofiche come quella in Yemen), ma anche da investimenti economici. commerciali: basti ricordare che solo lo scorso gennaio il Ministro degli Esteri Di Maio si era recato nel Paese saudita per firmare un Memorandum d’Intesa finalizzato proprio a rinsaldare questi rapporti commerciali ed economici. Vediamo l’Arabia Saudita come l’elemento stabilizzatore della regione del Golfo, l’Arabia Saudita vede in noi credibili alleati politici ed economici.

Organizzare un Mondiale, ma in generale qualsiasi evento, con il Paese guidato da Mohammed bin Salman significa fa vincere ancora una volta la logica economica, dimenticandosi di tutto il resto. Per esempio, il fatto che l’Arabia Saudita risulti tra i Paesi che violano la libertà di stampa e che eseguono ancora oggi condanne a morte (almeno 8 nel 2020); oppure che si tratti di un Paese che si ostina a incarcerare e torturare attivisti per i diritti umani. Rifiutare tali inviti rientra quasi più in un obbligo morale, di credibilità internazionale. Ma soprattutto serve per liberare l’Italia da questo imbarazzante riconoscimento che l’Arabia Saudita ci ha “gentilmente” attribuito: essere considerata un fedele alleato di un Paese non esattamente “culla del nuovo Rinascimento”, come sostenuto da Renzi, ma ancora autore di vergognose e silenziose violazioni dei diritti fondamentali degli esseri umani. Organizzare un Mondiale con l’Arabia Saudita significa diventare consapevoli complici di questo sistema di sportwashing. E dopo quanto si è sperimentato con il Mondiale in Qatar, non sembra essere più davvero il caso.