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Ci eravamo dimenticati cosa vuol dire soffrire

Diciamo la verità: non credevamo fosse così dura. Alla prima partita fuori dall’Italia, l’Italia stecca: 0-0 nei novanta regolamentari, sconfitta evitata per benedetto VAR, poi i supplementari, i cambi, Federico Chiesa, Matteo Pessina.

L’abbiamo risolta con enorme fatica, contro un’Austria tenace, ma ce lo aspettavamo. Non è più il calcio di tanti anni fa, quello in cui le doti tecniche erano prerogativa delle solite, anche per via di filosofie diverse di paese in paese. Oggi, il “calcio moderno” colora l’Europa intera, lasciando le differenze alle sfumature che si sviluppano confine dopo confine. L’Austria ha tecnica, fisicità, un allenatore capace, individualità di livello, e a Wembley l’Italia ha incassato il primo colpo nello stomaco dopo 1168 minuti.

Ma va bene, fidatevi: va bene, benissimo così. Perché forse, ci eravamo dimenticati cosa vuol dire soffrire. E a questi livelli mica puoi permetterti di scendere in campo rischiando l’overconfidence. A fine partita, Mancini ha dichiarato che era a consapevolezza del fatto che giocare con l’Austria sarebbe stato più duro che affrontare una big. È davvero così? Ovvio che no: il CT aveva solo paura che testa, mentalità, equilibri, potessero non essere al top affrontando una squadra definita “inferiore”. Poi, vabeh, una big l’affronteremo adesso: davanti a noi, o Belgio (che fa paura) o Portogallo.

Ma sì, ok, per adesso non pensiamoci: oggi, godiamoci questa vittoria. Sofferta, e – anche per questo – maledettamente bella.

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