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Storia degli Europei – Euro 2008: olè Spagna, è campione dopo 44 anni. Travolta anche l’Italia campione del mondo

Il 2008 segna la prima grossa crisi economica del nuovo millennio, scatenata da una bolla immobiliare che fa lievitare oltre misura i prezzi in rapporto ai redditi. In primavera l’aumento del prezzo di grano e riso provoca malcontento e ribellione in diversi Paesi dell’Africa, tra cui Egitto, Camerun e Costa d’Avorio. In estate, invece, il prezzo del petrolio sale alle stelle, sfiorando i 150 dollari al barile, le borse mondiali crollano, con perdite superiori al 10 %. C’è poca liquidità, le imprese ricevono poco credito, banche e Stati devono stringere la cinghia. In questo clima di forte incertezza, sono molti i governi a vacillare. Negli Stati Uniti d’America è tempo d’elezioni e tocca a Barack Obama, 44°presidente eletto, ma primo in assoluto di origine afroamericana, guidare la ripresa dell’Occidente. Nel frattempo, grazie alla missione spaziale “Mars Exploration Rover”, sul pianeta Marte vengono scoperte sorgenti d’acqua, attraverso la presenza di ematite, un minerale che sulla Terra si forma solo in presenza di acqua. E sono tanti i riscontri ottenuti sul fatto che in passato l’acqua potesse essere presente allo stato liquido sulla superficie del Pianeta Rosso. In un momento di forte crisi per il nostro pianeta, una scoperta che ha ridato speranza nella ricerca di risorse alternative, al di fuori della Terra.

Nel calcio assistiamo alla prima affermazione europea di Cristiano Ronaldo che, sotto il cielo plumbeo di Mosca, solleva la sua prima Champions League. Il tutto, nonostante in calcio di rigore sbagliato nella lotteria finale contro il Chelsea. Lì, il destino aveva scritto il suo libro, facendo scivolare al momento decisivo John Terry, quando la coppa sembrava aver preso la strada di Stamford Bridge. E invece…

L’estate porta in dote con sé la tredicesima edizione dei campionati europei, per la seconda volta organizzati in coppia da due Paesi: Austra e Svizzera, così come avvenne per Belgio e Olanda. Battuta al rush finale l’Ungheria da sola, che ci aveva sperato fino all’ultimo.

Sedici le squadre, divise in quattro gruppi da quattro, con una modifica al regolamento per quanto riguarda le sanzioni disciplinari: il 20 Maggio viene stabilito dal board dell’UEFA che le ammonizioni durante il torneo verranno azzerate al termine dei quarti di finale e non più alla fase a gironi. Il tutto, come spiegò il presidente del calcio europeo Platini, per evitare squalifiche dei giocatori migliori in occasione della finale.

L’Italia arriva a questa competizione con la divisa da Campione del Mondo ed è, per forza di cose, tra le favorite. Non c’è più Marcello Lippi in sella, al suo posto è stato chiamato Roberto Donadoni. Da giocatore, è stato tra le migliori ali che il calcio italiano ricordi, bravo sia a destra che a sinistra. Ha fatto parte del Milan degli Invincibili, è stato vice-campione del Mondo a USA ’94. Da allenatore, pur non avendo ancora maturato esperienze in grandi club, ha condotto il Livorno ad un insperato nono posto in Serie A, supportato dai gol di Cristiano Lucarelli, capocannoniere con 24 gol. Piace la sua idea propositiva e offensiva di calcio, la FIGC lo sceglie per dare una ventata d’aria fresca ad un gruppo bisognoso di nuovi stimoli. La qualificazione, però, è tutt’altro che semplice: il pari a Napoli con la Lituania e la sconfitta a Parigi contro la Francia, mini-rivincita della finale mondiale di appena due mesi prima, mettono subito la strada in salita. Poi, finalmente la squadra ingrana e, addirittura, ottiene il pass con un turno d’anticipo, il 17 Novembre a Glasgow, prima vittoria azzurra di sempre in quei territori.

Non ci sono sorprese negli altri gironi, ma un’esclusione eccellente c’è: è quella dei leoni d’Inghilterra, respinta da Russia e Croazia, quest’ultima vittoriosa a Wembley 3-2 nella gara decisiva. Il sorteggio per la fase finale sentenzia: Gruppo A con i padroni di casa della Svizzera insieme a Repubblica Ceca, Turchia e Portogallo. Gruppo B con l’Austria che affronta Germania, Polonia e Croazia. Gruppo C, il classico girone di ferro e ci tocca: l’Italia, infatti, becca di nuovo la Francia, poi l’Olanda e la Romania. Per chiudere, Girone D con i campioni in carica della Grecia che devono difendere il titolo davanti a Svezia, Spagna e Russia.

La spedizione azzurra parte ad handicap: nel primo giorno di ritiro si fa male il capitano, Fabio Cannavaro, l’uomo che ha sollevato la coppa del mondo al cielo di Berlino. L’Italia perde il suo leader più importante, al suo posto c’è Alessandro Gamberini. Ci sono tanti volti nuovi, in difesa c’è Giorgio Chiellini e, soprattutto in attacco, spiccano le convocazioni di Antonio Di Natale, Marco Borriello, Fabio Quagliarella ed il ritorno di Antonio Cassano. All’esordio, a Berna, ci tocca subito l’Olanda e la mente va alla semifinale di Amsterdam del 2000, quella straordinaria impresa conquistata ai rigori. Stavolta si parte alla pari, ma il dente degli oranje è avvelenatissimo e la partita per noi è un autentico calvario. A metà primo tempo, tra il 26’ e il 31’, Van Nistelrooy e Senijder ci infliggono un 1-2 impietoso. A dieci minuti dalla fine Van Bronckhorst mette il sigillo per il 3-0 finale che è davvero umiliante. Non è, però, una sconfitta casuale, perché l’Olanda è davvero in palla. Dopo di noi, cala addirittura un poker alla Francia (4-1) e liquida 2-0 la Romania. Noi, invece, dobbiamo sudarcela. Quattro giorni dopo questo tremendo schiaffone, impattiamo a Zurigo 1-1 con i rumeni, segna Mutu ad inizio ripresa e subito a ruota Panucci, per farci passare la paura di un nuovo svantaggio. Serve l’impresa con la Francia, che in realtà impresa non è, perché i galletti arrivano sfiancati e sfilacciati all’ultima partita e vinciamo noi con un rigore di Pirlo e l’acuto di Daniele De Rossi. Passiamo come secondi.

Il girone A è equilibrato, passa il Portogallo e con lui la Turchia, grazie ad una rimonta clamorosa nel finale contro la Repubblica Ceca. Avanti con Koller e Plasil dopo un’ora, i cechi vengono travolti dalle reti di Arda Turan e dalla doppietta di Nihat Kahveci (punta del Villarreal) e dicono così addio alla manifestazione.

Nel girone B la Croazia domina a punteggio pieno, seguita a ruota dalla Germania. Nello scontro diretto, i croati si sono imposti 2-1 con i gol di Srna e Olic, mentre è di Podolski il punto teutonico.
Nel girone D la Grecia abdica dopo quattro anni di notorietà, chiudendo il girone a 0 punti. Al contrario, la Spagna di Luìs Aragones viaggia a vele spiegate con 9 punti, seguita dalla Russia con 6. Fuori anche la Svezia di Zlatan Ibrahimovic. David Villa, con 4 gol nelle prime tre giornate e una tripletta già in cascina contro i russi, si candida ad essere il capocannoniere del torneo.
Il quadro dei quarti di finale è molto interessante e propone sfide di assoluto livello: c’è Portogallo-Germania, Croazia-Turchia, Olanda-Russia e Spagna-Italia. Dopo l’Olanda all’esordio, ci tocca un’altra delle favorite al primo turno di eliminazione diretta. A Basilea la Germania non dà scampo, Schweinsteiger e Klose mettono subito la gara in discesa, Nuno Gomes prova a riaprirla, ma Ballack la chiude all’ora di gioco e Postiga, nel finale, non può far altro che metterci una firma di consolazione, 3-2 e tedeschi avanti.

Equilibrata e tesa è la partita di Vienna tra Croazia e Turchia, due nazionali e due popoli sanguigni, ma incapaci di farsi del male per ben 119’ minuti. Di occasioni, in verità, ce ne sono tante su entrambi i fronti, è una bella partita, ma il sale c’è solo nella coda: Klasnic, infatti, segna il gol illusorio su un assist delizioso di Modric da fondo campo, ma al secondo minuto di recupero del secondo supplementare il rilancio disperato del portiere Rüştü arriva fino in area dove, dopo un rimpallo, Nihat è lestissimo a scaricare di potenza il suo sinistro sotto la traversa, riportando la sfida in parità e prolungandola ai calci di rigore. La Croazia, svuotata dopo tanti assalti, sbaglia 3 rigori su 4 (segna solo Srna) e la Turchia, sulle ali dell’entusiasmo, vola inaspettatamente in semifinale!

Altro dramma lo vive l’Olanda che, dopo la fase a gironi brillante, viene data per favorita numero uno. Alla vigilia della sfida contro la Russia, il ct Marco Van Basten (leggenda del calcio mondiale, campione d’Europa 1988 e autore del gol più bello della storia della competizione) viene raggiunto da una telefonata del capitano, il portiere Edwin van der Sar. È all’ospedale di Losanna, dove la moglie del difensore Boulahrouz ha appena partorito d’urgenza una bambina prematura di sei mesi e che, purtroppo, muore poco dopo. Un duro colpo all’umore del gruppo, strettosi intorno al proprio compagno di squadra. Il sabato mattina, nel provino finale pre-match, poi, Arjen Robben non riesce a stare in piedi e deve dare forfait e anche Van Persie non è nelle migliori condizioni.
Per questo, la gara contro la Russia si rivela molto complicata. Veloci e aggressivi, gli uomini di Guus Hiddink (già, proprio l’olandese giramondo e già ct dei tulipani dal ’95 al ’98) impediscono che gli avversari comincino facilmente la manovra e, così, di palloni buoni per gli attaccanti ne arrivano ben pochi. In più, c’è un Andrej Aršavin in giornata di grazia, una minaccia continua, detta il passaggio tra le linee e non dà punti di riferimento agli avversari. Segna Pavljučenko al 56’, un sinistro di prima intenzione, da attaccante puro, su cross dalla sinistra di Semak. La riprende per i capelli Van Nistelrooy a quattro minuti dalla fine, deviazione di testa su punizione di Snejder. Si va ai supplementari. Poco prima, però, Kolodin falcia senza complimenti Sneijder e prende un giallo. Sarebbe il secondo, quindi rosso. Ma l’arbitro, Ľuboš Micheľ, cambia idea all’improvviso e dà un fuorigioco che vanifica l’ammonizione. La UEFA, successivamente, dichiarerà che il giallo era stato vanificato, perché il fallo sarebbe stato compiuto con il pallone che aveva già superato la linea di fondo. Le immagini dimostreranno chiaramente il contrario e la UEFA, solo allora, parlerà di grosso errore. Nell’extra-time gli arancioni sono provati, i russi più freschi. In quattro minuti, tra il 112’ e il 116’, Torbinskij e Aršavin mandano a casa l’Olanda.

Germania, Turchia e Russia, dunque, in semifinale. E veniamo a noi. Il 22 Giugno, allo stadio Prater di Vienna, si incrociano due rette fin lì parallele: da un lato, la Spagna che sogna di diventare finalmente grande con una generazione di calciatori finalmente all’altezza; dall’altro, l’Italia campione del mondo, che non vuole abdicare dal ruolo di grande e, soprattutto, vuole riportare il trofeo a Roma dopo quarant’anni. Il nostro Ct, Roberto Donadoni, è alle prese con le squalifiche di Pirlo e Gattuso e, temendo gli avversari, opta per una formazione accorta, la quarta diversa in altrettante partite: davanti a Buffon c’è una linea a quattro composta da Zambrotta, Panucci, Chiellini e Grosso. A centrocampo difettiamo di esterni, così proponiamo Ambrosini, De Rossi, Perrotta e Aquilani per arginare la mediana educata iberica. Davanti, Antonio Cassano deve illuminare per Luca Toni, il nostro centravanti, ancora a secco. Che si sblocchi ai quarti come al mondiale tedesco? Aragonés è altrettanto conservativo, ma a centrocampo ha quattro tenori del calibro di David Silva, Xavi, Marcos Senna e Andrés Iniesta. A loro il compito di innescare gli implacabili Torres e Villa.

Sugli spalti del Prater, interessati e divertiti, Arsene Wenger (allenatore dell’Arsenal) e Zinedine Zidane, da poco ritiratosi dal calcio, sono tra gli spettatori più illustri. Tanta accortezza dei due selezionatori, però, si trasforma in partita, dove l’equilibrio è totale e le occasioni sono praticamente nulle. Dopo un primo tempo di sbadigli, la ripresa porta alcune novità: nell’Italia dentro Mauro Camoranesi per Perrotta, Aragonés risponde con Santi Cazorla per Andrés Iniesta e Cesc Fàbregas per Xavi Hernàndez. Proprio Camoranesi, in mischia, esalta da distanza ravvicinata i riflessi di Casillas, che respinge con i piedi. Al 70’ ci prova Toni, ma con poca efficacia. Entra Di Natale, esce Cassano, ma la luce non si accende lo stesso e i supplementari sono inevitabili. Un solo brivido corre lungo la schiena di Buffon, quando il palo gli evita una figuraccia su un tiro dalla distanza di Senna, non bloccato correttamente.

Silva da una parte e Di Natale dall’altra tengono impegnati i rispettivi portieri avversari. Casillas è felino nell’alzare sopra la traversa una spizzata di Totò. Entra anche Del Piero, soltanto perché Donadoni lo vuole dal dischetto. Così, infatti, si va ai calci di rigore. Gli spagnoli segnano i primi tre, noi ne sbagliamo uno con Daniele De Rossi. Due anni prima, per fortuna, non aveva sbagliato, ma stavolta è Casillas ad essere bravo a intuire la sua conclusione. Sbaglia anche Güiza, il bomber di scorta di Aragonés e per un attimo ci crediamo. Ma ripiombiamo subito nell’amara realtà, quando Di Natale si fa respingere il tiro ancora da un super Casillas. La palla del destino è sui piedi di Cesc Fabregas, che non sbaglia e firma il passaggio di consegne del calcio: fuori l’Italia campione del mondo, dentro una Spagna che, solo grazie a quel successo, capisce per la prima volta di poter essere davvero grande. Andrea Pirlo, nonostante vanti un titolo mondiale, due Champions e tanti allori di club, non riesce a trattenere le lacrime. Come lui, altri suoi compagni di squadra, che escono mestamente dall’Ernst Happel Stadion.

La prima semifinale si gioca a Basilea, il 25 Giugno. Germania contro Turchia vuol dire tanto, non solo dal punto di vista calcistico. I cittadini turchi residenti in Germania, infatti, sono circa 3.5 milioni e rappresentano la comunità straniera più grande del Paese. La maggior parte di loro, giunta a partire dal 1961 fino a Berlino e in tutte le città tedesche per trovare lavoro e futuro grazie ad un accordo bilaterale tra i due Paesi, è oggi perfettamente integrata. E i giocatori tedeschi di origine turca presenti in nazionale negli ultimi anni ne sono il perfetto esempio. Basti pensare a Mesut Özil, Ilkay Gündogan ed Emre Can. All’epoca dei fatti, invece, ancora non ce n’erano, ma c’era un brasiliano, Kuranyi, un ghanese, Odonkor, lo svizzero Neuville, lo spagnolo Mario Gomez e i polacchi Klose, Podolski, Trochowski e Borowski, a dimostrazione di un melting pot ricchissimo. Nonostante ciò, sono tanti i turchi davanti al televisore con la bandiera della Germania, perché magari critici e in astio con il governo di Ankara e la partita assume, perciò, un valore unico. Le aspettative vengono ripagate da una partita bellissima. Parte meglio l’undici di Fatih Terim, vecchia conoscenza del calcio italiano, avendo allenato prima la Fiorentina e poi il Milan, senza troppa fortuna. Ne consegue il vantaggio al 22’ ad opera di Uğur Boral, il suo tap-in buca le gambe di Lehmann dopo la traversa colta da Kazim. La reazione teutonica non si fa attendere, dopo 4 minuti Podolski taglia l’area con un perfetto rasoterra da sinistra e Schweinsteiger interviene d’esterno destro, beffando Rüştü e trovando il pareggio. La partita va avanti a folate, da un lato e dall’altro, ma il punteggio non cambia fino al 79’ quando, su un cross dalla sinistra di Lahm, imperversa in anticipo perfetto di testa Miroslav Klose, che anticipa portiere e difensore turco e porta la Germania avanti, 2-1. Un colpo da k.o. per chiunque, ma non per il sangue ribollente dei turchi, che si rifanno sotto. All’ 86’ Sabri scherza con un bel numero Lahm, insolitamente ingenuo, affonda in area da destra e mette sul primo palo un assist al bacio che Senturk corregge in porta con un tocco delicato d’esterno che lascia Lehmann con i guantoni spiegati per terra e lo sguardo nel vuoto, 2-2 e supplementari che, a quel punto, sembrano inevitabili. La storia, però, decide di dare un’accelerata. Lahm, ferito nell’orgoglio, decide al 90’ di stupire: si accentra palla al piede verso l’area avversaria, duetta con Hitzlsperger che gli restituisce il pallone e, solo davanti a Rüştü, scaraventa sotto la traversa un destro implacabile, 3-2 e corsa folle verso la panchina in estasi. Per la Germania è la sesta finale europea in tredici edizioni: praticamente, quasi 1 volta su 2 arriva fino in fondo. Potrebbero chiamarla “Germany Cup”.

A Vienna, l’altra semifinale è Spagna contro Russia. E subito vengono in mente i precedenti degli anni sessanta, quando Franco non volle mandare la Selecciòn in terra sovietica, favorendone ai quarti il passaggio del turno, salvo poi vendicarsi quattro anni dopo nel torneo casalingo con la vittoria in finale proprio contro l’allora Unione Sovietica, una potenza calcistica in quel momento. Come se non bastasse poi, le due squadre si ritrovano dopo aver giocato contro alla prima gara del girone. In quel caso, come abbiamo già visto, è stato un trionfo iberico con tanto di tripletta di Villa ed un 4-1 finale che non lascia spazio a troppe analisi. Non c’è ragione di credere che vada diversamente e, come accade spesso, il pronostico viene rispettato. Non c’è gara, praticamente. La Russia resiste soltanto nel primo tempo, che si chiude sullo 0-0 soltanto per la bravura del portiere Akinfeev. Unico brivido per Casillas al 31′, sulla parabola di Pavlyuchenko deviata dal portiere del Real con la punta delle dita. Aragones, intanto, deve rinunciare a bomber Villa, vittima di un problema muscolare. Al suo posto Fabregas, il nostro boia. Il secondo tempo è una mattanza per gli uomini di Hiddink: segna Xavi al 50’ su iniziativa del socio Iniesta, raddoppia Güiza al 73’ dopo aver rilevato Torres e ben servito da Fabregas e, infine, mette la ciliegina David Silva all’82’, 0-3 e tutti a casa. La finale sarà Germania contro Spagna, prima volta in assoluto.

Il 29 Giugno sono 51.428 gli spettatori che affollano gli spalti dell’Ernst Happel Stadion, teatro finale della rassegna. Gli umori della vigilia sono indecifrabili, l’ago della bilancia pende ora da una parte e ora dall’altra. Aragonés deve rinunciare a David Villa, che non recupera dall’infortunio patito in semifinale. Al contrario, Loew può schierare Ballack, che ha smaltito le noie al polpaccio. Il ct iberico preferisce un modulo accorto, con Fabregas (illuminante con 2 assist contro la Russia) alle spalle del solo Fernando Torres. David Silva, Xavi, Senna e Iniesta compongono la mediana. Sergio Ramos, Marchena, capitan Puyol e Capdevila sono i difensori, in porta c’è Casillas. La Germania si presenta sul campo con Lehmann tra i pali, Friederich, Mertesacker, Metzelder e Lahm davanti a lui, a centrocampo Frings e Hitzlsperger a fare da frangiflutti, Schweinsteiger, Ballack e Podolski a innescare l’offensiva per il finalizzatore, Miroslav Klose. C’è un po’ d’Italia, come spesso accade quando la squadra non arriva in finale. L’arbitro, infatti, è il torinese Roberto Rosetti. È il suo momento d’oro, appena 7 mesi più tardi, il 5 gennaio 2009, è premiato dalla IFFHS come miglior arbitro dell’anno per il 2008. In pratica, lo stesso premio vinto per 6 anni di seguito da Pierluigi Collina.

La Germania parte forte, Ballack non è solo ristabilito, ma proprio in palla e il suo dribbling a Puyol lo dimostra. Lehmann, però, deve fare il gatto per salvare una pericolosa deviazione sotto misura di Metzelder su iniziativa di Iniesta. L’equilibrio dimostra la forza delle due compagini. Il colpo di testa sul palo di Fernando Torres al 22’ è il segnale che le Furie Rosse stanno aumentando i giri, pericolo imminente. E, infatti, al 33’ la finale si sblocca: l’asse in verticale Capdevila-Senna-Fabregas-Torres scorre come una biro su un foglio di carta. El Niño supera in velocità e in forza Lahm, anticipa l’uscita al limite dell’area di Lehmann con un guizzo che manda la palla morbida in rete, gol della Spagna di una bellezza unica! Una rivincita per il rubio attaccante iberico, fin lì soltanto comparsa del torneo e a segno un’unica volta, contro la Svezia. Si val riposo sullo 0-1, nella ripresa tocca alla Germania riannodare i fili di un destino che si è spezzato. Tocca al leader Ballack, ma il suo tiro sulla volèe di Schweinsteiger sfiora soltanto il palo alla destra di Casillas. È la Spagna, però, a creare le occasioni migliori in contropiede e, su una punizione di Xavi, Lehmann deve intervenire con i guantoni per evitare il raddoppio su colpo di testa di Sergio Ramos, uno che con il gol ha un grande feeling, nonostante sia un difensore. La storia futura della Champions (2014, ndr) parlerà per lui. Ancora Frings, sul corner seguente, si oppone sulla linea a Iniesta, già sicuro di festeggiare il gol. Nominare attaccanti tedeschi è difficile, perché la squadra è sulle gambe e non riesce a produrre offensive di rilievo.

Löew rischia tutto con Kevin Kuranyi al posto di Hitzlsperger. Ma invano. Anzi, è Senna a non trovare di un soffio la deviazione di testa su una frustata pericolosa in area di Güiza. La partita si trascina stancamente alla fine, i tedeschi alzano bandiera bianca. Le Furie Rosse possono esultare, dopo 44 anni tornano sul trono d’Europa e non percepiscono ancora, in quel momento, l’immensa gratitudine che devono al loro condottiero Luis Aragonés, capace di plasmare un gruppo che è soltanto all’apertura di un ciclo stupendo. La Spagna, infatti, si appresta a dominare il mondo del calcio, in lungo e in largo, con i club e la nazionale. E tutto è cominciato da lì, da Vienna, in quel quarto di finale contro l’Italia, cui ha strappato con le unghie e con i denti lo scettro del comando. Olè!

Euro 2008 è stato l’europeo in cui il calcio ha deciso di schierarsi apertamente nella lotta ad ogni forma di razzismo. Su tutti i tagliandi delle gare del torneo, infatti, fu stampata una frase che diventò lo slogan di tutta la manifestazione: “Uniti contro il razzismo”, ribadita anche dai tabelloni a bordocampo e dalle scritte sulle pettorine degli steward. L’inno ufficiale, invece, “Can you hear me” di Enrique Iglesias, fu un flop totale e negli anni, a restare nella memoria, sono stati altri due brani che rappresentarono il torneo, a firma Shaggy: “Like a Superstar” e “Feel The Rush”, canzone già utilizzata in uno spot televisivo.