Un giocatore di talento, baciato da ottima tecnica individuale e talmente valido da suscitare in giovane età l’interesse del Real Madrid. Peter Dubovsky, attaccante mancino nato nell’ex Cecoslovacchia, ha poi trovato soddisfazione lontano dalla Capitale spagnola. Fino all’ultimo, tragico volo.
PODCAST PREVIEW:
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Talento
Alla fine degli anni Ottanta, il calcio cecoslovacco sta esalando i suoi ultimi respiri di talento. Quasi in concomitanza con ciò che la Storia avrebbe poi detto, ovvero con la divisione ufficiale del territorio tra Repubblica Ceca e Slovacchia che sarebbe giunta di lì a poco. Il calcio in quei territori ha sempre prodotto giocatori di spessore, tecnicamente validi e apprezzati pure in campo internazionale: basti pensare alla Cecoslovacchia finalista alla Rimet ’62 e Masopust Pallone d’Oro, oppure l’exploit all’Europeo ’76 con le imprese di Viktor e Panenka. Poi, un lento declino. Eppure un campioncino riuscì a venire fuori, attirando le mire nientemeno del Real Madrid. Il suo nome era Peter Dubovsky.
Merengues
Nato a Bratislava il 7 maggio 1972, Dubovsky si legò giovanissimo allo Slovan in cui entrò adolescente. La lunga trafila nel vivaio e poi il debutto in prima squadra a diciassette anni: quel mancino talentuoso, che sapeva vedere pure molto bene la porta, cominciò a far circolare il suo nome nel calcio cecoslovacco. Come sappiamo, questioni geopolitiche avrebbero cambiato molte cose di lì a poco tempo. Ma c’era ancora tempo per gustarsi le giocate del campioncino Peter Dubovsky: nelle ultime due annate allo Slovan Bratislava, tra il 1991 e il 1993, fece una scorpacciata di gol. Due volte capocannoniere del massimo campionato (rispettivamente 27 e 24 gol), protagonista nella conquista di un titolo nazionale nel 1992. L’anno dopo l’elezione a miglior calciatore cecoslovacco. Da oltreconfine arrivò forte l’interessamento di una squadra molto speciale, nientemeno che il Real Madrid.
Madrid agrodolce
Elemento offensivo dotato tecnicamente, Dubovsky trovò abbastanza spazio con Benito Floro – poi sostituito da Vicente Del Bosque – nella prima stagione nella Capitale, che vide il Real arrivare 4° nella Liga dopo aver vinto la Supercoppa di Spagna. 26 presenze e un gol per il nostro beniamino, all’interno di un parco attaccanti piuttosto nutrito (in rosa Butragueño, Zamorano e Alfonso). Insomma, nulla di trascendentale come approccio in una grande come il Real Madrid. Poi, l’arrivo in panchina di Jorge Valdano significò la fine del rapporto tra l’attaccante divenuto nel frattempo di cittadinanza slovacca e le merengues: 5 presenze e una rete nella Liga, con la consolazione del successo in campionato ma la consapevolezza della presenza di un certo Raúl in rampa di lancio. Per Peter, a Madrid, non c’era più posto.
Provincia
E allora Dubovsky si accasò all’Oviedo, piazza dalle velleità molto più contenute, in cui rapidamente divenne un punto fermo per la squadra nonché beniamino della tifoseria. I suoi lampi di classe illuminano cinque annate con la squadra asturiana, impreziosite da giocate che rubano l’occhio. E pazienza se non si gioca per le prime posizioni e per vincere trofei: Peter, in maglia blu, si sente finalmente apprezzato senza riserve. Nel frattempo è diventato pure un punto fermo della Nazionale, con il suo amato numero 10 sulle spalle. Dopo aver totalizzato 14 presenze e 6 reti con la Cecoslovacchia unita, mette insieme altri 33 gettoni – con 12 gol – nella Slovacchia. Terminata la stagione 1999-2000, <Dubo> parte per le meritate vacanze.
L’ultimo volo
Parte per la Thailandia in compagnia della fidanzata Aurelia, la sorella e il fratello. Una piacevole tradizione, questa di ritrovarsi in quattro ogni estate per le vacanze. Stavolta, la meta prescelta è il Paese asiatico. Peter aveva una grande passione per la natura e la fotografia, molle che lo animano anche un maledetto 23 giugno 2000. Ricorda Aurelia: “Quella giornata era nuvolosa, non il tempo migliore per andare in spiaggia. E così decidemmo di andare a visitare le cascate nell’isola di Ko Samui“. Peter Dubovsky vuole scattare una foto particolare. Ma si sporge troppo e cade nel vuoto, da un’altezza di venti metri. Le operazioni di soccorso, per la particolare posizione del luogo dell’incidente, diventano drammaticamente difficili.
Il dolore
Si perde tanto, tanto tempo prezioso. Il calciatore ha riportato varie fratture e un’emorragia cerebrale, ha perso molto sangue. Il recupero del corpo dello sfortunato Dubovsky si materializza tra mille difficoltà, con l’ausilio di alcune corde. Non ce la fa a sopravvivere nonostante un’operazione d’urgenza in ospedale. Solo in seguito, Aurelia verrà a conoscenza che in Thailandia il suo amato Peter aveva portato con sé l’anello di fidanzamento che intendeva donarle. Scompare tragicamente, ad appena 28 anni, l’ultimo talento calcistico prodotto dalla Cecoslovacchia unita.