Se c’è un anno pieno di novità, quello è proprio il 2004, basti pensare soltanto a ciò che accade il 4 Febbraio: uno studente brufoloso, ma geniale, dell’Università americana di Harvard crea con i suoi compagni di stanza un software per vincere la timidezza e conoscere le ragazze del campus. Si chiama Mark Zuckerberg e la sua opera si chiama Facebook, social network che rivoluzionerà completamente le nostre vite. Oggi è il quinto uomo più ricco al mondo. L’Unione europea, invece, accoglie ben 10 nuovi Paesi: Polonia, Slovenia, Ungheria, Malta, Cipro, Lettonia, Estonia, Lituania, Repubblica Ceca e Slovacchia.
Esulando dal calcio, il 14 Febbraio, giorno di San Valentino, quell’anno si macchia di una vicenda tristissima, che a che fare con il ciclismo. Viene trovato senza vita, nella sua stanza al residence “Le Rose” di Rimini, il corpo di Marco Pantani. Il campione più amato di tutti, il “Pirata”. Dopo essere stato ammazzato sportivamente a Madonna di Campiglio nel 1999, questa volta succede davvero, con una messinscena che lo vuole in overdose di cocaina e psicofarmaci. Troppi punti, però, sono oscuri e, dopo 17 anni purtroppo, una chiara verità non è stata ancora trovata.
Nel calcio italiano, da sempre restìo alle novità, prevale ancora una volta la linea conservatrice. Infatti, dopo la tragica campagna nippo-coreana del 2002, infrantasi nuovamente sulla Corea (stavolta quella del Sud) e sul lestofante arbitro Byron Moreno, Giovanni Trapattoni continua la sua avventura sulla panchina azzurra, ma la qualificazione agli Europei del 2004 in Portogallo è tutt’altro che in discesa. La sconfitta patita in Galles, infatti, costringe gli azzurri a una rimonta non facile, ma che, in ogni caso, ci porta ad ottenere il pass per l’europeo con le successive 4 vittorie e 1 pareggio. Le polemiche che accompagnano quella missione, ancora una volta, riguardano Roberto Baggio. Il Divin Codino, al Brescia, così come due anni prima si era ripreso a tempo di record da un infortunio per guadagnarsi la maglia azzurra, invano; nuovamente viene escluso dal Trap con gran delusione di quasi tutta l’Italia. È il crepuscolo della sua carriera, ma trova con la sua classe il modo di impreziosirlo: il 14 Marzo segna al Parma la sua 200ª rete in Serie A, quarto a riuscirci dopo Meazza, Piola, Nordahl e Altafini. Chiuderà i conti a 205 gol e si regalerà un finale epico a San Siro contro il Milan, nel giorno della vittoria rossonera dello Scudetto. Il Brescia perderà 4-2, Roby fornirà l’assist per il gol di Matuzalem, dopodichè tutto lo stadio si leverà in piedi per lui all’84’ alla sua uscita definitva dal rettangolo verde: Paolo Maldini gli corre incontro e lo abbraccia. I brividi corrono lungo la schiena di chiunque abbia avuto il privilegio di assistere a quella scena. Il Brescia, al termine della stagione, ritira la maglia numero 10.
Trapattoni, però, opera un’altra esclusione eccellente: quella dell’attaccante emergente Alberto Gilardino, gravido di gol con la maglia scudata del Parma: 26 in 40 presenze stagionali. Ci sono, invece, Bernardo Corradi e Marco Di Vaio, all’epoca rispettivamente alla Lazio e alla Juventus. A rimpolpare il reparto, nomi importanti: Alessandro Del Piero, Christian Vieri e Francesco Totti, candidato ad essere la stella del torneo. Infine, Antonio Cassano, il più giovane della combriccola con i suoi 21 anni e funambolo che può destreggiarsi tranquillamente da seconda punta.
La prima partita si gioca il 14 Giugno e con un caldo infernale allo stadio Afonso Henriques di Guimarães: c’è la Danimarca di Jørgensen e Rommedahl, insomma un avversario abbordabile. Il match è scialbo, privo di occasioni e termina 0-0. Ad essere vivace, fin troppo, è Francesco Totti. Provocato a più riprese dal non certamente signorile Poulsen, reagisce con uno sputo nei suoi confronti, e viene beccato prontamente da una telecamera danese, puntata fissa su di lui. Quel gesto venne diffuso in mondovisione, quella foto incriminata pubblicata su tutti i giornali. Il capitano della Roma ammise la colpa, ma rivelò anche le provocazioni dell’avversario e si fece difendere, in sede UEFA, addirittura da Giulia Buongiorno (il famoso avvocato, tra gli altri, di Giulio Andreotti). Il legale tentò di appellarsi alla “mancata efficacia dello sputo, che non aveva raggiunto in realtà Poulsen”, ma il massimo organo calcistico europeo non lo ritenne sufficiente e squalificò il romanista per tre giornate. Avrebbe potuto rientrare soltanto in semifinale. Oltre al danno, poi, un’altra beffa in un momento decisamente no per Francesco: aveva fatto da testimonial ad un famoso marchio di scarpe da calcio, ma, durante la gara contro la Danimarca, queste si rivelarono scomodissime, al punto da provocargli vesciche. Totti in seguito disse che “era come se stessi camminando sulla sabbia bollente” e durante quella stessa partita fu costretto a cambiarle, “tradendo” lo sponsor che gli aveva elargito 500.000 euro di contratto. Episodio prontamente sfruttato dalle aziende concorrenti, che adottarono una campagna pubblicitaria in cui mostravano i piedi dei propri testimonial, privi di qualsiasi piaga.
Con la Svezia, a Oporto, serve una vittoria: Trapattoni osa e inserisce Cassano alle spalle di Del Piero e Vieri. L’Italia gioca una prima ora gagliarda, crea molte occasioni da gol e finalizza proprio con il talento di Bari vecchia, che di testa in tuffo raccoglie un cross di Panucci al 35’ e insacca. Quando tutto sembra sotto controllo, la doccia gelata: a 5’ dalla fine Zlatan Ibrahimović, cultore di taekwondo, durante una mischia in area si inventa un colpo di tacco che scavalca Buffon e finisce sotto la traversa, là dove nemmeno l’armadio Vieri, in salto, riesce ad arrivare con la testa. 1-1 e tutti a casa, ancora una mancata vittoria e, per un cervellotico gioco aritmetico, l’obbligo stavolta di vincere l’ultima partita con la Bulgaria e sperare che Svezia e Danimarca non pareggino per 2-2. Speranza flebile, perché la “X” (con quell’esatto risultato) qualificherebbe entrambe le compagini scandinave.
All’indomani della seconda sfida esce un articolo che insinua frizioni nel gruppo azzurro, in particolar modo tra Buffon e Vieri e quest’ultimo non ci vede più. Sbotta e convoca una conferenza stampa a dir poco infuocata, i cui echi si fanno sentire ancora oggi nella famosa esclamazione di Bobone contro i giornalisti: “Sono più uomo io di tutti voi messi insieme”. Il clima, in pratica, non è affatto dei migliori.
Si torna a Guimarães, ma stavolta l’Italia è più nervosa e contratta e, sul finire del primo tempo, va addirittura in svantaggio: Petrov, su calcio di rigore causato da Materazzi per una trattenuta a Berbatov, spiazza Buffon. Presi dalla paura, gli azzurri si riportano sul pari subito, in apertura di ripresa con Perrotta. Dal Do Bessa di Oporto arriva la notizia che la Danimarca conduce 2-1 sugli svedesi, l’Italia prova a spingere di più sotto una pioggia che si fa sempre più incessante. Il vero sciacquone, però, gli azzurri lo ricevono all’89’ quando Jonson porta la sfida sul 2-2, una condanna per noi. Il destro al volo di Cassano al 93’ finisce sotto l’incrocio e dà all’Italia la vittoria per 2-1 al fotofinish, ma il sorriso per l’impresa si tramuta in delusione come su una maschera teatrale, che fa sprofondare il giovane Antonio in un mare di delusione. Come tutta la spedizione azzurra, che torna mestamente a casa contro ogni previsione. La parola per spiegare la questione c’è ed è una sola: fallimento.
È la fine del Trap sulla panchina azzurra, che porta con sé una dote non onorevole nelle fasi finali delle competizioni Fifa e Uefa: 7 partite giocate, 2 vinte, 2 pareggiate, 3 perse; 8 gol fatti, 8 subìti. Ancora una volta, in Italia, esce fuori l’argomento “meno stranieri in Serie A”, come sempre accade dopo un k.o. azzurro.
Nel Girone A la Grecia batte all’esordio i padroni di casa del Portogallo, la prima vera sorpresa del torneo, un antipasto di ciò che vedremo all’ultimo atto. Gli ellenici vengono dati dai bookmakers penultimi nelle chances di vittoria finale, dietro soltanto la debuttante Lettonia. Le due formazioni di cui sopra, però, vanno a braccetto ai quarti di finale e ad uscire, altra sorpresa, è la Spagna, sconfitta per differenza reti. Nel girone B, Francia e Inghilterra rispettano il pronostico, dando vita ad un confronto diretto fantastico. Gli inglesi vanno in vantaggio con un colpo di testa di Lampard su punizione goniometrica di Beckham. Nel secondo tempo Rooney viene falciato in area da Silvestre, ma lo stesso Bekcham si fa parare il penalty da Barthez. Al 91’ Zidane tira fuori il classico coniglio dal cilindro, con una punizione che lascia James di sasso, è 1-1. Al 93’, quando il pari sembrava cosa fatta, Gerrard fa un retropassaggio shock e praticamente lancia Henry in area. Quest’ultimo viene stroncato da un goffissimo James in uscita: è calcio di rigore. Zidane va sul dischetto e spiazza il portiere, firmando la doppietta e consegnando alla Francia una vittoria da adrenalina pura!
Nel Girone D a cadere è la Germania, che si fa imbrigliare dalla neofita Lettonia in uno 0-0 ed esce sconfitta dal confronto con la Repubblica Ceca, che passa il turno insieme all’Olanda.
I quarti di finale si aprono a Lisbona negli stadi di Benfica e Sporting e danno subito un altro colpo al torneo: Francia e Inghilterra vengono fatte fuori da Portogallo e Grecia, ancora loro. I lusitani si impongono solo ai rigori dopo un bel 2-2 nei 120’, decisivo l’errore di Vassell. Nell’altra sfida, sono i galletti ovviamente a comandare il gioco, ma i greci sono solidi dietro, coriacei come la tempra del loro allenatore, il tedesco Otto Rehhagel. La partita, così, non si sblocca, se non al 65’ quando il centravanti del Werder Brema, Angelos Charisteas svetta da solo in area per raccogliere l’assist di Zagorakis e scaglia una frustata di testa che finisce sotto la traversa e beffa Barthez! La Francia tenta disperatamente l’assalto, ma in maniera disordinata, e non riesce a trovare il pari. Eliminata un’altra big!
Danimarca e Svezia, beffarde nei confronti dell’Italia, vengono subito punite. La prima cade sotto i colpi della Repubblica Ceca, il 3-0 è inequivocabile. La seconda impatta in un non memorabile 0-0 con l’Olanda, ma l’errore di Mellberg, oltre a quello di Ibrahimovic dal dischetto, è decisivo nella lotteria finale, che manda avanti i tulipani.
Come una finale anticipata (dicono gli esperti), Portogallo e Olanda si ritrovano al Josè Alvalade di Lisbona il 30 Giugno. I lusitani viaggiano sulle ali dell’entusiasmo di un torneo che vogliono vincere in casa, anche per glorificare una generazione di talenti del calibro di Figo e Rui Costa, Deco ed il giovane emergente Ronaldo, Maniche e Costinha, alfieri del Porto di Mourinho, fresco Campione d’Europa. Gli oranje si aggrappano alla velocità di Overmars e Robben e alla fisicità di Ruud Van Nistelrooy. Il non ancora CR7 apre le marcature di testa al 26’, su cross da calcio d’angolo di Deco. C’è decisamente più Portogallo in campo, al 41’ il palo di Figo lo giustifica. Al rientro dagli spogliatoi, ci pensa Maniche a scrivere la storia con un gol-capolavoro: un destro terrificante da posizione defilata che gira e corre fino a sbattere sul palo e insaccarsi come un perfetto colpo da biliardo. Partita finita? No, perché uno svarione di Andrade su cross di Van Bronckhorst scavalca beffardamente Ricardo per il più classico degli autogol, 2-1 e gara riaperta. Gli assalti finali, però, non premiano la squadra di Advocaat, così il Portogallo raggiunge per la prima volta nella sua storia una finale.
Non sarà da solo a stupire il team di Felipe Scolari, perché nell’altra semifinale, quella tra Repubblica Ceca e Grecia, succede l’impensabile: i cechi ci arrivano forti di 4 vittorie, sono i favoriti. Gli ellenici, però, pur senza stupire, hanno saputo battere i padroni di casa del Portogallo e hanno eliminato i campioni in carica della Francia. Come nel 1996, per Praga la maledizione del golden goal si ripete, anche se stavolta porta il nome di Silver Goal, un’evoluzione ben poco allettante della prima regola: in pratica il gol non chiude immediatamente la partita ai supplementari, che si dichiara vinta soltanto se il vantaggio viene portato fino alla fine della frazione. E quest’opportunità viene colta perfettamente dal difensore della Roma, Traianos Dellas, anche lui ci mette la testa per mandare in estasi un Paese intero. Da sempre ai margini del calcio, ora a giocarsi una finale di un campionato europeo. Quanto al Golden e al Silver Goal, daremo loro addio alla fine della competizione. Per fortuna aggiungerei.
Il 4 Luglio, all’Estadio da Luz di Lisbona, si gioca la finale più inedita: Portogallo contro Grecia, per la prima volta la gara inaugurale e quella finale di un europeo coincidono. Più di sessantamila spettatori sugli spalti. Quasi tutti danno per stra-favoriti i lusitani, padroni di casa, nessuno dà troppo peso alla vittoria ellenica della prima partita, valutata un incidente di percorso. Quanto questa valutazione sia sbagliata, lo vedremo subito. Rehaggel la prepara bene sugli avversari, come al solito, e piazza Kapsis fisso su Pauleta, mentre Seitaridis e Fyssas non scavallano la metà campo, per prendersi cura di Figo e Cristiano Ronaldo. Insomma, bloccare le fonti di gioco è la prima regola. Una volta in campo, i favori del pronostico cedono il passo alla pressione: i portoghesi l’avvertono come una spada di damocle sulle proprie teste, mentre i greci giocano spavaldi, come chi sa di non aver nulla da perdere e, anzi, di aver già fatto l’impresa. La prima frazione si chiude sullo 0-0 e non è bellissima, tutt’altro. I portoghesi sono contratti, più si avvicinano all’area di rigore e più accusano “il braccino corto”. Nella ripresa, il copione è sempre in mano ai padroni di casa, ma, dopo 12 minuti, arriva la mazzata: calcio d’angolo di Basinas e colpo di testa vincente ancora di Charisteas, che fisicamente sovrasta i due centrali lusitani e batte Ricardo. Il “Grande Baboomba” con cui Zucchero invade l’estate è deflagrato anche in porta, la Grecia è in vantaggio finale! Entrano Rui Costa e Nuno Gomes, partono le controffensive, ma alla mezz’ora Cristiano Ronaldo spreca un’occasione pazzesca: Rui Costa lo lancia alla perfezione in area, ma CR7 solo di fronte a Nikopolidis calcia alto. Con la forza della disperazione ci prova anche Ricardo Carvalho, ma Nikopolidis si oppone con i guantoni con sicurezza. Figo, infine, manda a fil di palo le ultime speranze portoghesi. Il cronometro esaurisce i suoi giri, l’arbitro Merk dà i tre fischi: clamoroso al da Luz, la Grecia è Campione d’Europa, Cristiano Ronaldo piange come un bambino sul campo. Capitan Zagorakis, un futuro in Italia al Bologna, alza al cielo di Lisbona il trofeo. La tragedia greca per il Portogallo è compiuta, a Lisbona le “ruas” restano in silenzio, ad Atene si balla il sirtaki. Giù il sipario.