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Max Mosley, le luci e le ombre del signor “Patto della Concordia”

Un personaggio con luci e ombre. Definizione forse fin troppo semplicistica, ma quanto mai appropriata per Max Mosley, l’ex presidente della FIA, la Federazione Internazionale dell’Automobile, scomparso ieri all’età di 81 anni. Luci e ombre, ma sicuramente un’impronta rilevante nel mondo del massimo sport motoristico internazionale.

Un mondo nel quale Mosley, laureato in Fisica e poi in Giurisprudenza divenendo avvocato, entrò nel 1969 fondando la March Engineering assieme ad Alan Rees, Graham Cooker e Robin Herd, rimanendoci fino al 1977 occupandosi della parte commerciale. Ruolo che lo mise in primo piano nel tessere i rapporti con gli altri costruttori inglesi (in particolare con Bernie Ecclestone, patron della Brabham) e a costituire nel 1974 la FOCA, l’associazione dei costruttori inglesi, i cosiddetti “garagisti” per dirlo secondo un linguaggio caro a Enzo Ferrari.

Un’associazione nata con spirito ribelle verso la FISA, la Federazione Internazionale dello Sport Automobilistico e le scuderie “legaliste”, Ferrari in primis. Tant’è vero che si arrivò a una vera e propria guerra tra le due associazioni all’inizio degli anni ’80, con alcuni Gran Premi “monchi” e non riconosciuti reciprocamente.

Mosley però da deus ex machina della guerra divenne in breve tempo il portabandiera delle trattative e grazie a lui il 19 gennaio 1981, nella sede della FIA a Parigi, in Place de la Concorde, venne stipulato il Patto della Concordia che, periodicamente rinnovato (ultima versione lo scorso anno), ha il compito di governare la Formula 1 grazie al seguente compromesso: alle squadre, tramite l’associazione delle scuderie, il compito di trattare tutti gli aspetti commerciali, diritti tv in primis, alla FISA l’incarico di organizzare gli aspetti sportivi e regolamentari, con accento particolare sulla sicurezza.

Il Patto della Concordia fu talmente un successo che spalancò a Mosley le porte della presidenza della FISA nel 1991 prima e della FIA nel 1993 dopo (e come primo atto la FISA venne sciolta all’interno del massimo organismo internazionale automobilistico), al posto del discusso francese Jean-Marie Balestre.

Pronti, via e subito Mosley dovette affrontare un problema gravoso. Il terribile fine settimana di Imola nel 1994 con la morte di Roland Ratzenberger e del grande Ayrton Senna in due incidenti e il sinistro che portò in coma Karl Wendlinger a Monaco nel Gran Premio successivo, mise a serio rischio l’esistenza stessa della Formula 1.

Mosley allora si impose: via le curve più pericolose da tutti i circuiti (Imola, Monza e SPA cambiarono profondamente) e introduzione di criteri rigidissimi per constatare la resistenza delle scocche delle vetture. Un lavoro che consentì alla Formula 1 letteralmente di sopravvivere.

A un ottimo risultato, Mosley ne affiancò un altro che alla fine non portò i frutti sperati. Il dirigente inglese, assieme a Ecclestone, fu fautore dell’ingresso delle grandi case automobilistiche in Formula 1 anche come case costruttrici e non solo come motoristi, a scapito delle piccole scuderie. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: a parte Mercedes, Ferrari e Renault, gli altri grandi costruttori (vedi Ford, Toyota, BMW e Honda) hanno fatto una toccata e fuga in F1, mentre le piccole scuderie sono sparite e la griglia di partenza si è ridotta a una ventina di vetture.

La crisi dovuta alla gestione dei costi fu il preludio alla fine della carriera di Mosley, che avvenne però per due motivi di natura strettamente privata. In primis, il dirigente inglese venne sorpreso in atteggiamenti poco consoni al suo ruolo nel 2008 con addosso abiti nazisti (facendo subito ricordare che il padre di Mosley fu il fondatore del Partito Fascista Britannico e che Hitler fu ospite d’onore alle nozze dei suoi genitori). In secundis, il 5 maggio 2009 venne trovato deceduto per overdose d’eroina il figlio Alexander.

Due colpi che gli fecero decidere di non ricandidarsi alla presidenza della FIA in quell’estate e di ritirarsi a vita privata. Dirigente discusso e discutibile, Max Mosley. Innegabilmente, però, se vi è questa attuale Formula 1 parte del merito (o del demerito, decidete voi) è a lui attribuibile.