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Il caso Aurora Leone non è un “equivoco”, ma espressione del nostro maschilismo

La vicenda che ha riguardato l’attrice Aurora Leone dei The JackaL è stata il grande tema di queste ore precedenti alla partita della Nazionale Italiana Cantanti, chiamata a scendere in campo stasera per un evento benefico e di raccolta fondi per la ricerca contro il cancro. Nella squadra, però, non ci sono né l’attrice casertana né il collega Ciro Priello che, dopo essere stati cacciati in maniera veemente dalla cena di ieri sera, hanno giustamente rinunciato alla partecipazione, pur continuando a invitare a donare per la giusta causa. Un trattamento così discriminatorio e offensivo meritava soltanto quello che è poi effettivamente accaduto: una sensazione di disgusto di massa contro i responsabili dell’accaduto e una nuova, sconsolata presa di consapevolezza di quanto il maschilismo continui ad avvelenare le nostre vite, anche nello sport.

Nel pomeriggio si è dimesso il dirigente della Nic Gianluca Pecchini, principale protagonista delle offese sessiste rivolte alla Leone, costretta a sentirsi dire frasi come “Ti devi alzare perché le donne non possono stare al tavolo delle squadre“, “Aurora si deve alzare perché è donna e non può stare seduta qui secondo le nostre regole” e “le donne non giocano”. Sono arrivate le inevitabili scuse, salvo poi parlare di un “grande equivoco”, come se qualsiasi incomprensione potesse giustificare le imbarazzanti uscite fatte.

In realtà, di equivoco c’è ben poco. Anzi, è il momento di usare le parole adatte: l’atteggiamento di Pecchini e di tutti gli altri che sono stati coinvolti direttamente in questa vicenda si chiama maschilismo e porta con sé l’idea che una donna non possa giocare a calcio e, pertanto, non abbia il diritto di sedere a un tavolo. Ma non ci si sorprenda troppo, perché questi comportamenti sessisti e discriminatori non li vediamo davanti alle telecamere, quando facciamo manifestazioni a tutela delle donne o in favore del riconoscimento di maggiori diritti per le atlete di determinati sport femminili, calcio in primis. Si esprimono così, nel rumore di una tavolata al ristorante, in presenza di altri uomini, quando ritieni di poterti sbottonare la camicia e lasciarti andare, rivolgendoti con questi toni contro una ragazza che ha potuto avere il supporto soltanto del proprio collega Ciro Priello.

Nella confusione generale, ci sono volute diverse ore per individuare i responsabili della vicenda, nonostante la testimonianza già riportata ieri sera dal duo dei The Jackal avesse fatto esplicito riferimento a Pecchini. Prima un vergognoso tweet del profilo ufficiale della Nazionale Cantanti, ora cancellato: un testo cominciato con l’incipit del livello “ho tante amiche donne, ma…” (un elenco di celebrità femminili che hanno partecipato in passato agli eventi organizzati), per poi passare a sottolineare che lo staff fosse “quasi interamente composto da donne” (affermazione, tra l’altro, smentita dai fatti), per concludere con accuse di arroganza, minacce e violenza verbale da parte di Aurora Leone. Sarebbe anche bastato un messaggio di scuse sentite e, invece, si è preferito lo “spieghino” per scaricare le proprie colpe.

Poi, con il proseguire delle ore, si è assistito quasi a un rimbalzarsi di responsabilità, alimentato anche da Enrico Ruggeri che, senza mai scusarsi davvero, nella propria intervista a TG4 ha fatto riferimento a dei vaghi “volontari” allontanati, non avendo agito secondo i codici morali dell’organizzazione. Senza mai fare il nome del direttore generale Pecchini, principale responsabile della vicenda come già si sapeva da almeno mezza giornata.

Ruggeri, però, ha fatto emergere altri due aspetti che raccontano alla perfezione il profondo maschilismo di questo mondo, non meno grave di quello del suo dirigente e a prescindere dalle varie operazioni di facciata come la terna arbitrale tutta al femminile scelta per la partita. Il cantante si era portato con sé la maglia di Aurora Leone, mostrandola alle telecamere per farle capire che la squadra l’avrebbe aspettata in caso di ripensamento. Un gesto che, però, ha involontariamente rischiato di indebolire la posizione dell’attrice, assumendo il sapore del pietismo, quasi a scaricarle la responsabilità di un nuovo rifiuto a partecipare.

Il secondo tema che ha fatto emergere Ruggeri, ma non solo, ha riguardato le conseguenze delle donazioni verso la ricerca di stasera. L’improvvisa bufera ha fatto chiaramente paventare la possibilità di un boicottaggio generale, a spese di una campagna che va al di là della semplice partita di calcio. Il cantante ha anzi sottolineato che “la cosa più importante è ritrovarci tutti assieme, perché tutto questo (la ricerca contro i tumori) è più importante di qualsiasi altra cosa”. Una gerarchia imposta dall’alto per ricordarci che, alla fin fine, quello della Leone è quasi un capriccio se rapportato alle “cose importanti”: d’altro canto, “il dolore degli altri è dolore a metà”, come scriveva De André.

Ma se la grande preoccupazione della Nazionale dei Cantanti era davvero la raccolta fondi per la ricerca, cosa c’entra in tutto questo il caso Leone, soprattutto se si considera che l’attrice ha continuato a invitare le persone a donare? A nessuno sembra essere venuta in mente l’idea di andare a chiedere ai responsabili delle offese verso l’attrice di risarcire il potenziale danno nel calo dei guadagni, magari facendo una donazione simbolica in più. La vera ansia di molti dei partecipanti è rimasta sempre e costantemente a quel livello. Legittimo, perché la causa resta importante e questi eventi possono essere occasione per sensibilizzare. Ma, in questa storia, non certo l’unica preoccupazione legittimata a esistere ed essere presa in considerazione.

Tra errori di comunicazioni, imperfezioni, continue smentite, la Nazionale Italiana Cantanti ci ha offerto una straordinaria lezione su come non gestire un caso di discriminazione verso le donne. Ma queste continue cadute non arrivano da semplice distrazione o inesperienza: ci raccontano ancora tanto di quanto dilagante sia il maschilismo, di quanto lavoro culturale ci sarebbe da fare per cambiare una mentalità che, lontano dai riflettori, offre un quadro ben diverso da quello che pubblicamente si prova a mostrare. In un certo senso, queste vicende ci spiegano perché, a partire dal calcio femminile, i diritti delle donne siano anni luce indietro rispetto a quelli di altri Paesi europei, con tutte le mancanze che ne conseguono. Sarebbe bastato uno “scusa” sincero, senza continuare aggiungere “ma” e, invece, si è mostrata la reale natura del pensiero che, ancora oggi, continua a dominare nella nostra società.

 

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