Arthur Conan Doyle scriveva: “Non c’è niente di più ingannevole di un fatto evidente”.
Niente di più vero, se pensiamo alla stagione della Juventus: cominciata nel clamore, con annunci inaspettati e valide aspettative, si avvia a concludersi con una parabola discendente totalmente fallimentare, un palese caos societario e una dubbiosa qualificazione per la Champions League del prossimo anno che equivarrebbe a una grossa perdita di denaro e credibilità. E vincere la Coppa Italia di certo non indorerebbe la pillola.
Fatti evidenti, dicevamo.
Basta andare indietro con la mente per riconoscere il primo scricchiolio in un ingranaggio quasi perfetto: maggio 2019. In conferenza stampa il presidente Agnelli, pieno di riconoscenza, saluta Max Allegri senza – evidentemente – aver trovato un sostituto per la panchina bianconera che potesse proseguire quella gloriosa scia di vittorie e record.
In principio, quindi, fu la mancanza di bel gioco il capo di accusa nel processo Allegri: per l’allenatore, a contare erano più i risultati che le prestazioni. Figuriamoci alla Juventus, dove vincere è l’unica cosa che conta. Questo comunque non è del tutto vero: la dote di Allegri nel saper leggere le partite resta indiscussa, la sua capacità di adattarsi alla rosa a disposizione senza snaturare nessuna caratteristica dei suoi giocatori – anzi, valorizzandoli – altrettanto.
Ma poi, complice anche la cocente eliminazione ai quarti di Champions contro l’Ajax, con la Juve probabilmente più forte dell’era Agnelli, l’alchimia creata in 5 anni si è dissolta, e il presidente, magari in balia di un’incertezza dettata da rifiuti e bilanci da pareggiare, ha creduto che sarebbe bastato qualcuno da Londra per ricreare un’altra affinità elettiva, salvo poi ricredersi.
Altro, evidente, errore.
È risaputo che la scelta Sarri non sia stata appoggiata dall’ambiente. Un progetto tattico mai compreso, uno scetticismo nei suoi riguardi mai negato, “senatori” e “gladiatori” troppo potenti per essere gestiti. Un rapporto brusco e fugace, con l’unica nota dolce dello scudetto, ma troppo blanda per dimenticare l’amaro dell’eliminazione dalla Coppa maledetta per mano del Lione, culminato con l’esonero soltanto poche ore dopo.
Una premessa doverosa che ci porta all’ultimo – per evidenza – errore dirigenziale.
L’8 agosto 2020 Andrea Pirlo è ufficialmente il nuovo allenatore della Juventus. Il Maestro era appena stato scelto come allenatore dell’U23, ma soltanto dieci giorni dopo viene chiamato per allenare in prima squadra. Ed eccolo, l’altro evidente campanello d’allarme sulla situazione bianconera che avrebbe poi portato alla disfatta.
Chi ha brillato in campo non è detto che riesca a farlo anche in panchina, e Andrea Pirlo non può essere colpevolizzato per l’esperienza mancante, per aver accettato un incarico che farebbe gola a molti, e non aver retto la pressione di un ambiente così competitivo.
Forse avrà pensato che con quei campioni sarebbe stato facile centrare obiettivi scontati nelle precedenti stagioni – non proprio vincere il decimo scudetto – dato il gap colmato dalle storiche rivali, ma a fatica si sarebbe immaginato capro espiatorio del crollo di un impero causato da chi invece avrebbe dovuto ponderare le proprie scelte, compresa quella (condivisibile?) affrettata dell’imponente progetto Superlega.
Il ricordo di quella Juventus vista a Barcellona, di quel tatticismo perfetto orchestrato al Camp Nou, non può che affievolirsi e sfumare tra le brutte prestazioni di campionato, i punti regalati alle avversarie e la mancanza di carisma di un allenatore che aveva praticamente già salutato il club dopo l’1-1 del Franchi e che ora, con il 3-0 subito a San Siro contro il Milan, si ritrova quasi fuori dai giochi per la Champions.
Dopo 9 anni si volta pagina, e con l’addio di Buffon alla Juventus è arrivata un’altra conferma. Probabile che a fine stagione anche Chiellini possa ritenere chiuso il proprio ciclo bianconero, così come altrettanto probabile è una rivoluzione all’interno dell’asset societario. Resta da valutare – ancora una volta – a chi sarà affidato il delicato compito di ricostituire un’egemonia, e il sospetto è che anche questa volta la scelta possa essere dettata dalla fretta di dare risposte.