La storia bella del week-end stavolta ce l’ha regalata la Roma. Non tanto per la partita in sé contro la Sampdoria, quanto per il commovente esordio di Ebrima Darboe, un ragazzo gambiano classe 2001 dalla storia drammatica e per cui il destino, dopo avergli riservato i peggiori incubi possibili per un essere umano, ha deciso di premiarlo, permettendogli di avere il privilegio di correre su un campo di Serie A. Un sogno che tanti inseguono per una vita intera, ma alla fine sono pochi a poterlo realizzare, soprattutto partendo da realtà di enorme povertà e isolamento sociale.
È stata questa l’occasione per far conoscere a tutta Italia cosa Darboe ha realmente vissuto in passato: un ragazzo scappato da solo dalla città natale di Bakoteh, finito nei campi per migranti in Libia, salvato in mare dalla Guardia costiera per poi essere trasportato in uno Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo) per minori non accompagnati a Rieti. È qui che il ragazzo ha cominciato la propria carriera calcistica con lo Young Rieti, che da anni porta avanti un progetto di integrazione con il Comune e gli Sprar (oggi, Sai). Un tesseramento inizialmente agevole, visto che il sindaco della città aveva firmato come tutore, ma i veri problemi burocratici sono sorti quando ci si è accorti che Darboe fosse di un livello totalmente superiore rispetto a quello provinciale in cui giocava. Lì un osservatore della Roma lo aveva individuato subito per portarlo nella Primavera giallorossa e da lì testarlo in un ambiente più complicato.
Un ingaggio a quel punto tutt’altro che facile, appunto, perché FIFA e FIGC in materia si sono mostrate estremamente severe. Il fenomeno della tratta dei baby calciatori è una realtà cruda e tremendamente attuale, segnata da tante storie di ragazzi portati da falsi agenti in Europa, spesso con documenti falsi, con la dolce prospettiva di un futuro da calciatori e alla fine abbandonati per strada quando non più utili per garantire facili guadagni. Sono serviti anni di lotte, documenti inviati ovunque, ma soprattutto una fondamentale circolare della FIGC che ha parificato i ragazzi stranieri con quelli italiani, in quanto minori, come raccontato da Davide Ballone, ma alla fine il giocatore è entrato nella rosa della Roma e ha cominciato la propria scalata, diventando un vero e proprio modello di riscatto.
L’esordio di Darboe ha fatto subito parlare di “favola“, come se si trattasse di un caso calato dal cielo. Tutt’altro: la storia di questo ragazzo è totalmente e drammaticamente reale, perché è quella di migliaia di persone che ogni giorno sperano anche loro di avere un riscatto e che invece vengono costantemente ostacolati da media, politici e cittadini. Darboe è scappato dal Gambia, un Paese da appena 2 milioni di abitanti che per tanti nostri concittadini potrebbe apparire quasi sicuro visto che non era (e non è) in corso nessuna guerra vera e propria, tale per cui sarebbe legittimo accogliere dei migranti. Eppure resta un Paese che è stato governato per ventidue anni (fino al 2017, anno in cui Darboe è partito) da un vero e proprio dittatore come Yahya Jammeh: decenni in cui si sono registrate continue violazioni dei diritti umani, sparizioni, stupri e uccisioni arbitrarie. Per fargli accettare la sconfitta elettorale del 2017, dovette essere lanciata un’operazione militare da parte della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS): dopo un breve periodo di conflitto aperto e la costrizione all’esilio di Jammeh, la missione è proseguita anche nei mesi successivi per garantire stabilità al Paese, nonostante una popolazione ormai stanca della presenza militare. Ma con l’attuale presidente Barrow la situazione è migliorata solo parzialmente: secondo i report di Amnesty International, si registrano ancora troppi casi di violenze delle autorità di polizia nelle manifestazioni pacifiche, le condizioni nelle carceri sono disastrose con anche bambini di 15 anni, la libertà d’espressione non è garantita totalmente come promesso agli inizi dallo stesso Barrow.
Darboe, come detto, è anche passato dall’inferno dei campi di prigionia libici, in cui continuamente si registrano le più gravi violazioni dei diritti umani, con tanti migranti che muoiono qui senza nemmeno mettersi in mare. Lo stesso ragazzo ha subito violenze, quasi al punto di ucciderlo, arrivando a pesare soltanto 50 kg. Campi della cui esistenza ancora tanti italiani non sono ancora convinti, nonostante le prove delle principali organizzazioni internazionali e umanitarie, ma anche delle testimonianze di chi ci è passato. Una volta arrivato in Italia, si è visto riconoscere il diritto d’asilo sulla base della protezione umanitaria, cancellata in seguito dai Decreti Sicurezza del Governo Conte I: in sostanza, il criterio oggi non sarebbe più stato valido, con tutto ciò che ne poteva conseguire. L’intervento del mondo del calcio è stato poi fondamentale per garantirne una maggiore tutela. Ma sappiamo che non tutti hanno queste opportunità o la fortuna di avere il talento giusto al posto giusto, nel momento giusto. E in un video di qualche tempo fa Darboe ha fatto capire di saperlo molto bene: “Tanti di noi sono partiti e purtroppo non sono mai arrivati. Inseguivano un sogno, una speranza e un futuro per loro e per le loro famiglie. Impariamo a non giudicarci, ma a fare il meglio per avere un mondo sempre migliore che non obblighi più nessuno a rischiare la vita per avere un’opportunità”.
Darboe ce l’ha fatta, ma di storie mancate ormai si è perso il conto. Eppure, sono proprio questi percorsi a doverci ispirare, a farci capire il valore di tante persone che si ritrovano nelle mani dei trafficanti d’uomini e con tanta fortuna riescono ad arrivare in Europa. Oggi parliamo di favola, forse qualcuno si ricrede di aver gioito della morte di altri immigrati in mare (e se vedete nei commenti a qualsiasi articolo sui social, sono davvero in tanti). Ma poi, da domani, si rischia di tornare alla normalità. E allora faremo capire che della storia di Darboe in tanti non hanno capito nulla.