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Stop ai social in Premier League contro il razzismo

La decisione dello Swansea, quella di chiudere i canali social per protesta contro gli abusi e il razzismo online nel calcio, ha raggiunto in questi giorni tutti e 92 club professionistici del Regno Unito. Dal 30 aprile al 3 maggio tutte le squadre, comprese quelle femminili, partecipanti alla Premier League e alla English Football League si uniranno in silenzio per 24 ore prima o dopo le proprie partite.


Il blackout vuole contestare non solo l’insulto razzista sui social network, ma in generale l’abuso che si fa della figura del calciatore. Il calcio oltre a essere un divertimento, per alcuni è una vera e propria guerra. Il concetto è sbagliato e fortunatamente poco diffuso, ma quei pochi che la pensano in questo modo danneggiano l’ambiente.

CHE COSA VOGLIONO I CLUB?

Questa presa di posizione deriva dai vari attacchi subiti dai giocatori che giocano in suolo britannico nelle ultime settimane. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’insulto razzista al Tyron Mings, difensore inglese dell’Aston Villa. Dopo la denuncia grazie a uno screen dello stesso giocatore Instagram, applicazione appartenente al gruppo Facebook, ha provveduto a bloccare l’account da cui è arrivato l’insulto.

Tuttavia non è ancora abbastanza per contrastare questo genere di abuso. Con questa protesta i club britannici stanno chiedendo a gran voce che le aziende operino assieme alle autorità per identificare e punire in modo esemplare questi individui. Servono delle leggi apposite per contrastare questo problema. Sono anni, più precisamente dal 1997, che l’organizzazione Kick It Out combatte il tema razzismo nel calcio, ma i risultati sono stati finora scarsi senza la cooperazione delle autorità.

NON SOLO RAZZISMO

Come anticipato, la cultura dell’odio nel calcio non riguarda solo l’insulto razzista, ma anche il trattamento generale dei calciatori. Spesso e volentieri non si pensa all’atleta come persona, ma come un oggetto che ha la finalità di farci emozionare.

Nel caso degli insulti ad Alexander-Arnold, Naby Keïta e Sadio Mané il razzismo è solo un contorno che si basa sulla frustrazione per la partita persa contro il Real Madrid in Champions League. I tre giocatori hanno ricevuto delle emoji e dei commenti razzisti dopo tale incontro.

Tuttavia questo già accade con qualsiasi calciatore, anche senza l’aggravante del razzismo. Vari calciatori decidono spesso di chiudere i commenti sulle reti sociali proprio per non doversi imbattere in critiche non costruttive che hanno come unico obbiettivo il denigrare il lavoro dell’atleta.

Di questo se ne parla poco, ma sarebbe ora di fare un appello a chiunque guardi calcio e tifi una squadra. Chi insulta dovrebbe capire che in questo modo sta sbagliando, in primo luogo, e sta anche sfiduciando il giocatore, in secondo luogo. Le critiche gratuite e non costruttive non faranno mai migliorare nessuno. Invece chi legge certi commenti, per il bene del proprio beniamino e della propria squadra, non dovrebbe rimanere indifferente, ma quantomeno segnalare.

IL RUOLO DEL CALCIO FEMMINILE

Il calcio è solo per uomini” seguito da un insulto razzista è il messaggio che ha ricevuto sul proprio account Rinsola Babajide, giocatrice del Liverpool. Oltre al razzismo, l’odio sui social riguarda anche un sessismo ingiustificato, come se qualcuno ci obbligasse a guardare il calcio maschile. Qualora non sia di nostro gusto, basterebbe non guardarlo.

Tra le calciatrici Babajide non è l’unica a lamentarsi del razzismo presente nel calcio o comunque in generale nella vita quotidiana. Eniola Aluko solo pochi mesi fa aveva lasciato l’Italia e la Juventus per colpa della discriminazione di tutti i giorni che subiva a Torino.

Alla Juventus ho lavorato con persone brillanti – scrive Eniola Aluko – ma a volte Torino sembra indietro di un paio di decenni per quanto riguarda l’apertura nei confronti di diversi tipi di persone. Mi sono stancata di entrare nei negozi e avere la sensazione che il proprietario si aspetti che rubi qualcosa. Tante volte arrivi all’aeroporto di Torino e con i cani antidroga sei trattata come Pablo Escobar. Non ho mai subito episodi di razzismo dai tifosi della Juventus o nel campionato femminile – ha spiegato nel blog – ma c’è un problema in Italia e nel calcio italiano e quello che mi preoccupa davvero è la risposta a tutto questo da parte di proprietari e tifosi che, nel calcio maschile, sembrano considerare tutto questo come parte della cultura dei fans.


Il calcio femminile però ha una peculiarità, soprattutto nei Paesi anglosassoni, dove ha avuto una grande crescita, quella della lotta per i pari diritti. Mentre nel calcio maschile, sport largamente affermato, la vittoria conta più del gioco leale, in quello femminile l’ambiente preserva ancora ideali sani ad alti livelli. Per questo potrebbe essere fondamentale la presa di posizione dei club femminili.

IN CAMPO ANCHE GIOCATORI E ALLENATORI FAMOSI

Senza l’aiuto però di chi è più famoso, la campagna #Enough sarebbe finita nel dimenticatoio come al solito. Si è visto come la notizia della sospensione dei social media dello Swansea, del Birmingham e del Rangers non abbia avuto un grande impatto, finché i grandi club non si sono pronunciati.

Il primo a smuovere le acque sono stati Henry e l’Arsenal. L’ex leggenda francese, stanco degli insulti, aveva deciso di allontanarsi dai social network qualche settimana fa. In campo è poi sceso il Tottenham, dopo i commenti negativi rivolti a Heung-min Son, capro espiatorio per la sconfitta contro il Manchester United.

Il Liverpool si è invece fatto sentire con Jürgen Klopp, condannando l’accaduto dopo la partita con il Real Madrid, e con Henderson. Il capitano ha prestato la propria immagine a Cybersmile, una fondazione che si mette a disposizione delle vittime di cyberbullismo, fenomeno in crescita in questa epoca caratterizzata dal COVID.