La notizia calcistica calda di queste ore è la nascita (e la sua fine dopo neanche 48 ore) della “SuperLeague“, una nuova competizione europea ad inviti voluta da 12 delle maggiori squadre del Vecchio Continente (Arsenal, Chelsea, Liverpool, Manchester City, Manchester United, Tottenham, Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid, Inter, Juventus e Milan) e che ha ricevuto in queste ore ondate di biasimo da vari addetti ai lavori. Ma al momento ci interessa focalizzarci su un particolare.
Se andiamo sul sito della SuperLeague, alla sezione “Press release“, troviamo questo trafiletto dopo la spiegazione del progetto e del format di questa nuova lega privata, “As soon as practicable after the start of the men’s competition, a corresponding women’s league will also be launched, helping to advance and develop the women’s game“, che tradotto vuol dire “Non appena possibile dopo l’inizio della competizione maschile, verrà lanciata anche una corrispondente lega femminile, che aiuterà a far avanzare e sviluppare il gioco femminile“. A questo punto la domanda sorge spontanea: di quale sviluppo si starebbe parlando? Perchè credo sia il caso di fermarsi a ragionare un attimo a mente fredda sull‘impatto della SuperLeague sul calcio femminile europeo e italiano nello specifico.
Analizziamo la storia e il palmares delle compagini femminili delle 12 squadre “ribelli” e parliamo dei loro traguardi calcistici e sportivi. Partiamo dalle tre spagnole: il Real Madrid Femenino è nato nel 2020 quando il CD Tacón venne assorbito dal Real, assumendo la denominazione di Real Madrid Club de Fútbol, ed attualmente è terzo in LaLiga Iberdrola, attualmente comandata dal Barcellona, nato nel 1988 e che ha all’attivo cinque titoli nazionali, sette coppe nazionali e due semifinali in UEFA Women’s Champions League. Il Club Atletico de Madrid, in cui militano le nostre Alia Guagni e Tatiana Bonetti, è nato nel 2001, ha vinto quattro campionati spagnoli e una coppa nazionale e ha raggiunto l’anno scorso i quarti di finale di UEFA Women’s Champions League. Quindi paradossalmente proprio il Real di Florentino Perez è la squadra meno blasonata.
Andiamo in Inghilterra, dove la situazione è più complessa. A comandare la Women’s Super League c’è il Chelsea di Samantha Kerr, nato nel 1992 e con all’attivo quattro titoli di Lega, due coppe nazionali e due semifinali di UEFA Women’s Champions League. Subito dietro, a due punti, troviamo il Manchester City, nato nel 1988 e con all’attivo un titolo di Lega, tre coppe nazionali, tre supercoppe nazionali e due semifinali di UEFA Women’s Champions League. Al terzo posto c’è l’Arsenal di Vivianne Miedema, nato nel 1987, con all’attivo quindici titoli di Lega, 13 coppe nazionali, 10 FA Women’s Premier League Cup, 5 FA Women’s Community Shield e una UEFA Women’s Champions League. Quarta squadra in WSL è il Manchester United, compagine fondata nel 2018 e che al suo attivo ha come migliore piazzamento il quarto posto dello scorso anno. Bisogna scendere più in basso per trovare il Tottenham, alla seconda apparizione nella massima serie calcistica femminile inglese, mentre dobbiamo invece andare in Championship (il corrispettivo della nostra Serie B) per trovare il Liverpool, nato nel 1994 e che è stato retrocesso lo scorso anno.
Finiamo questo tour tornando in Italia. La prima squadra da analizzare, ovviamente, è la Juventus, nata nel 2017 dopo aver rilevato il titolo sportivo del Cuneo FC e che, nella sua giovane carriera, può già vantare tre Scudetti, una Coppa Italia e due Supercoppe Italiane, uscendo però per tre volte ai sedicesimi della UEFA Women’s Champions League. La seconda è il Milan, nata nel 2018 con l’acquisizione del titolo sportivo del Brescia Calcio Femminile, attualmente al secondo posto nella Serie A Femminile e senza nessuna partecipazione europea. Concludiamo con l’Inter, nata nel 2018 dalle ceneri della storica Associazione Sportiva Dilettantistica Femminile Inter Milano e attualmente all’ottavo posto nella sua seconda stagione nella massima serie femminile italiana.
Come si vede, parliamo di realtà molto differenti tra di loro anche all’interno della stessa nazione: è sinceramente difficile, infatti, paragonare la rosa del Chelsea, con al suo interno stelle come la già citata Samantha Kerr, Pernille Harder o Francesca Kirby, con quella del Liverpool, che può vantare poche giocatrici di livello internazionale come Amalie Thestrup. Lo scontro diventa ancora più impari se parliamo di trofei internazionali: la parte del leone spetta all’Inghilterra, con la vittoria della UEFA Women’s Champions League 2006-2007, seguita dalla Spagna che ha conquistato la finale nella stagione 2018-2019 con il Barcellona. Buon ultime le italiane, che si sono sempre arenate nelle prime fasi della competizione europea.
L’eventuale nascita di questa SuperLeague, all’inizio prettamente maschile ma che sulla carta avrebbe dovuto allargarsi anche al mondo femminile, lanciava diversi interrogativi, primo tra tutti quello riguardante la possibile esclusione delle dodici formazioni fondatrici dai rispettivi campionati nazionali. Se questa esclusione ci fosse stata, avrebbe riguardato giocoforza anche le compagini femminili, che avrebbero potuto trovarsi addirittura ferme per un certo periodo di tempo, con grosso danno per le nazionali a un anno dagli Europei del 2022 in Inghilterra, considerata anche l’ipotesi che era ventilata circa l’esclusione dei calciatori (e delle calciatrici) dalle rose delle rispettive nazionali.
In seconda battuta, ma non meno importante, ci sarebbe stata da considerare la crescita dei vari movimenti nazionali e le discrepanze tra i contratti di lavoro delle varie calciatrici: in Inghilterra le calciatrici sono vere e proprie professioniste, mentre in Spagna i due massimi campionati femminili lo saranno dalla stagione 2021-2022 anche se le calciatrici sono già considerate professioniste. In Italia il movimento è ancora in crescita e solo lo scorso novembre si è deciso per lo stanziamento, da parte della FIGC, di un contributo a fondo perduto per l’avviamento di un progetto graduale teso al riconoscimento del professionismo a partire dalla stagione 2022-2023 e per l’allargamento delle tutele assicurative e assistenziali. Un vero e proprio puzzle.
Come si vede, ci saremmo trovati di fronte a un mosaico molto ingarbugliato e complesso, con situazioni che andavano livellate e normalizzate prima delle gare vere e proprie, se la decisione da parte di questi club europei fosse andata verso il proseguimento lungo la strada della SuperLeague. Il mondo del calcio femminile ha però avuto la sensazione che la SuperLeague non fosse altro che un nuovo elemento di divisione tra il calcio femminile e quello maschile e che la stessa avrebbe portato a uno stop nella crescita del movimento calcistico femminile europeo, come ha scritto in una lettera aperta Nadine Kessler, capo della Divisione Femminile dell’UEFA: “Il calcio femminile, la sua professionalizzazione e il suo sviluppo sono ancora agli inizi. Sfortunatamente solo una piccola percentuale di giocatrici è professionista a tempo pieno e ha accesso garantito a strutture di prima classe. Sebbene ci siano stati passi da gigante nel gioco, abbiamo bisogno di più club, federazioni e organi di governo che investano per fornire strutture professionali da cui più giocatrici possano trarre vantaggio. E non abbiamo solo bisogno di più club, ma di un migliore equilibrio tra questi club, in modo che più di pochi giocatrici eccezionali possano prosperare. Questi club devono essere in grado di avere l’ambizione di far parte del vertice del calcio femminile europeo, la UEFA Women’s Champions League. Con una Super League femminile europea chiusa, questo non sarà possibile. Ovviamente, tale sviluppo sarebbe altrettanto devastante per tutti i campionati nazionali, che hanno compiuto enormi sforzi per professionalizzare il gioco femminile. Tutti i grandi passi compiuti negli ultimi anni, comprese le difficoltà di molte giocatrici del passato, affinché il nostro gioco diventi una professione in tutta Europa, avranno meno possibilità di diventare una realtà”. Al di là della lettera della Kessler, si ha avuto però la sensazione di una decisione presa dai club maschili e poi caduta a pioggia sulle squadre femminili. Citando Gadda, un pasticciaccio brutto.