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Un po’ tondo, un po’ quadrato: ecco perché Allegri è il numero uno

Un po’ tondo, un po’ quadrato, per usare un eufemismo tanto caro al collega Andrea Buonaiuto (che ci leggerà, ne siamo certi). Massimiliano Allegri è questo, forse anche di più. Un allenatore e un uomo di calcio totale, geometricamente perfetto, anche nelle sue imperfezioni. E ci fa strano, e certamente ci avrà messo tanto del suo, non vederlo in panchina da due anni a questa parte. Nonostante questo, almeno per il sottoscritto, rientra tra i primi tre o cinque allenatore in circolazione. Sicuramente dietro Guardiola – G.O.A.T. – e Klopp, il primo degli umani, ma davanti a tanti scienziati che con ego smisurato tendono a mettere se stessi davanti alla squadra. Se pensate che mi riferisca a Conte o Mourinho sbagliate, ma forse no. Vi lascio col dubbio, che magari chiarirò tra qualche giorno sempre qui, sulle colonne di MondoSportivo.

Basterebbe il palmares per evidenziarne il peso. Basterebbe spulciare su Youtube qualche conferenza stampa per capire lo spessore e l’abilità comunicativa, che lo rendono unico nel suo genere e comunque in linea con i grandi maestri del futbòl.

Soffermiamoci sui numeri. 7 campionati vinti, se consideriamo anche la promozione in B con il Sassuolo, 4 Coppe Italia, 3 Supercoppe Italiane, oltre ad aver disputato due finali di Champions (ha sempre superato il girone…). Sarebbe semplice, offensivo e riduttivo dire che il suo Milan era il più forte in assoluto (c’era l’Inter post triplete) e che con la Juventus non aveva rivali. Al suo secondo anno in bianconero fu protagonista di una rimonta straordinaria dopo aver toccato il fondo con un momentaneo dodicesimo posto dopo quella famosa sconfitta di Sassuolo. Al terzo anno servirono 91 punti per superare una Roma che si fermò (si fa per dire) a 87. La stagione successiva ne servirono 95 contro un Napoli da 91. Di scontato, nel calcio e nella vita, non c’è mai nulla.

E’ chiaro, anche se nessuno lo ammette, che il giudizio di tanti tifosi sia spinto e motivato dalle due finali di Champions League perse. Se ne avesse vinta una, magari quella di Cardiff, Allegri probabilmente sarebbe ancora seduto sulla panchina dello Stadium. E invece no, dopo l’eliminazione con l’Ajax ai quarti, traguardo mai raggiunto dopo il suo addio, tutti a invocare l’esonero. A furor di popolo spopolò l’#AllegriOut. D’altronde la folla preferì Barabba a Gesù (lungi da noi risultare blasfemi).

Altro capitolo da analizzare: il bel giuoco. Allegri è il miglior tecnico italiano post Ancelotti perché ha avuto la lucidità, l’umiltà e la bravura di adattarsi al materiale tecnico e umano che aveva di fronte. Allegri, in cinque anni, ha allenato la Juventus in cinque modi diversi, portando i bianconeri a superare le 50 partite a stagione e per quattro anni, a sforare quota 100 gol.

Ricordate il primo anno? Eredita una squadra strutturata con il 3-5-2 di Conte. Entra a Vinovo in punta di piedi, conduce la Juve alla finale di Champions con il 4-3-1-2, mettendo insieme Pirlo, Pogba, Marchisio e Vidal, incidendo la sua mano e non quella del predecessore.

L’anno successivo via Tevez, dentro Dybala, via Vidal e Pirlo. La sostanza non cambia. Inizio disastroso, poi 15 vittorie di fila, 20 in 21 partite. Ah, il modulo? 3-5-2. L’anno successivo arriva Higuaín. Soliti primi due mesi di ambientamento, poi la magia: 4-2-3-1 con Pjanic, Khedira, Cuadrado, Dybala, Mandzukic e Higuaín. La Juve offre spettacolo, arriva a Cardiff e crolla nel secondo tempo sotto i colpi del Real. E ancora oggi riduciamo il tutto a 45 minuti. Proseguiamo? Certo.

Quarto anno di Allegri è quello senza Bonucci, con Matuidi in mezzo al campo, dei fruttini di Buffon e la notte del Bernabeu, con la Juve capace di rimontare il 3-0 subito allo Stadium prima del contestato (ma giusto) rigore trasformato da Ronaldo. Lo stesso che arriva l’anno dopo ma che causa l’inizio della fine del progetto Juve (tranquilli, nei prossimi giorni vi spiegheremo il perché anche di questa frase…). Eppure Allegri è stato l’unico in grado di trovare il modo di mantenere l’equilibrio nonostante il portoghese. Gioco tutt’altro che convincente che si palesa solo a tratti, come la notte di Torino contro l’Atletico Madrid, per distacco la miglior prestazione offerta dalla Juventus negli ultimi mille giorni.

Il resto è storia. Di un progetto che non esiste più e di un allenatore pronto a tornare in panchina. E chissà che non possa essere lui il futuro della Juventus. Di certo c’è che ovunque andrà, avrà il nostro tifo. Perché non bisogna mai aver paura di apprezzare e sostenere la semplicità. Saremmo tutti un po’ più Allegri…