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I tanti dubbi sulla SuperLega chiesta a gran voce da Agnelli

Di Cesar Grafietti per MondoSportivo Brasil

È stata una settimana impegnativa per il calcio, Europa. Il futuro delle competizioni continentali, e per certi versi nazionali, è stato discusso dalla UEFA, dalle federazioni e anche dai club, e trovare un comune denominatore che soddisfi gli interessi di tutti sarà una grande sfida per la confederazione presieduta da Aleksander Ceferin.

Dalla stagione 2024/2025 in poi, la struttura delle competizioni continentali europee dovrebbe cambiare, spinta da un cambiamento già previsto in Champions League. C’è uno scontro tra i grandi club rappresentati dall’ECA (European Club Association), le federazioni e le leghe nazionali, i club più piccoli e la stessa UEFA. Ognuno che cerca di tirare la corda dalla sua parte, però, come si dice, di carne al fuoco – per adesso – non ce n’è.

Pressata dal fantasma della Super League Europea, la UEFA lavora per rendere la Champions League una competizione ancora più attraente. Non è un segreto che la competizione per club più interessante del mondo inizi a suscitare vero entusiasmo solo dagli ottavi di finale in poi, e cioè quando inizia a sentirsi davvero la competizione, e si affrontano squadre con maggior tasso qualitativo. La fase a gironi, solitamente, non attira equo interesse, a causa di poca competitività e tanti risultati già scontati in partenza.

Per questo motivo, i club rappresentati dalla ECA richiedono maggiore competitività, partite più interessanti e una competizione che generi più soldi, in primis per loro. Sensibile a questa richiesta, e pressata dalla possibilità che i club entrino in un campionato composto solo da big – anche se alcune di queste squadre sarebbero incluse più per il blasone che per i recenti successi – la UEFA sta studiando alcune possibilità di modificare la struttura della sua principale competizione, e quello che sembra essere il più accettato è il cosiddetto “modello svizzero”.

In questo caso, ci sarebbe un aumento da 32 a 36 club che parteciperebbero alla fase preliminare, eliminando i gironi e formando una sorta di campionato con 10 turni. Il modello prevede quanto segue:

1. Le prime 18 partite sarebbero definiti a sorte;
2. Il secondo turno sarebbe definito da un sorteggio, considerando che i vincitori giocherebbero contro i vincitori, i perdenti contro i perdenti e le squdre che troverebbero un pareggio colmerebbero il gap delle squadre che salterebbero queste partite;
3. In ogni round si affronterebbero vincitori e vinti del round precedente;
4. Con questo formato, ci sarebbero maggiori possibilità di avere club di maggiore appeal mediatico uno di fronte all’altro in ogni turno, con partite tutte dal carattere decisivo;
5. Alla fine, le prime 16 andrebbero a formare l’ottavo di finale assemblato dalla classifica, con il primo che affronterebbe il 16°, il 2° il 15°, e così via.

Come se non bastasse, la richiesta dell’ECA – che a quanto pare sarebbe stata accettata dalla UEFA – è che i posti vacanti siano determinati principalmente dal ranking dei club, che è formato dalle performance continentali negli ultimi 5 anni; in questo modo, più di un club inizierebbe la propria stagione già consapevole della qualificazione in Champions League, eliminando l’obiettivo principale per i club di media fascia, che sanno bene che difficilmente potrebbero mai diventare campioni nazionali. Ovviamente, è esattamente qui che iniziano le lamentele di campionati, federazioni, club di media fascia e, di conseguenza, tifosi.

C’è da dire che il modello attuale garantisce già alcuni vantaggi finanziari ai club, che ricevono quote di partecipazione più elevate rispetto ad altri a causa del ranking. Ad esempio, nel 2018/19 il Barcellona ha ricevuto almeno il 50% di incassi in più dell’Ajax (121 milioni di euro contro 81 milioni di euro), anche se entrambe hanno raggiunto le semifinali di Champions. Allo stesso tempo, il CSKA Mosca ha ricevuto il 60% in più della Lokomotiv Mosca, anche se entrambe sono state eliminate nella fase a gironi.

Le proteste, come detto, provengono da più parti. L’aumento delle partite in Champions League comporterebbe una riduzione degli impegni nazionali. In alcuni casi, come per le coppe d’Inghilterra, ciò significherebbe che i club di divisioni più piccole potrebbero essere lasciati con meno partite e, ovviamente, meno denaro. In altri casi ciò potrebbe forzare la riduzione del numero di club nei campionati nazionali, da 20 a 18.

I tifosi, attraverso la FSE (Football Suporters European), hanno protestato contro questa riforma, poiché temono che ci sarà un aumento del divario finanziario tra i club più attraenti e quelli prettamente regionali. Insieme alle federazioni e alle leghe nazionali, i tifosi vogliono che i nuovi posti vacanti siano riempiti da squadre che abbiano merito sotto l’aspetto sportivo, maturato grazie alle prestazioni nelle competizioni locali.

I club di media-bassa fascia lamentano, inoltre, che questo cambiamento possa portare a una perdita della loro capacità finanziaria, a tal punto che ne risentirebbe perfino l’allenamento degli atleti, inidendo sulla continuità dell’attività sportiva. Durante la settimana, il presidente dell’ECA – e anche il presidente della Juventus Andrea Agnelli – hanno rilasciato alcune dichiarzioni, durante l’incontro annuale, spiegandoche la pandemia ha mandato in fumo tra i 6,5 e gli 8 miliardi di euro di guadagni, per i club, e che il calcio sta soffrendo. Come in altre occasioni, Agnelli ha sottolineato ancora una volta che il calcio deve interessare alle nuove generazioni, meno attatte dallo sport in sé e molto più più alla qualità del gioco. Inoltre, ha affermato che il calcio attuale ha molte partite con poco appeal, cosa che sottrae denaro agli affari e all’interesse dei tifosi. E così, Agnelli ha rafforzato la propria posizione, affermando che la struttura delle competizioni dovrà cambiare, difendendo il presunto nuovo modello di Champions League.

Ora, andiamo in ordine.

Da un lato Agnelli ha ragione: solo una buona qualità dello spettacolo tiene appassionati e tifosi vicini allo sport, e la qualità dello sport porta attenzione, denaro e sostenibilità. Ha ragione anche quando dice che ci sono molte partite con poco appeal nelle varie competizioni, sia nazionali che continentali. Però, la diagnosi corretta non può essere applicata a una cura sbagliata. Se è possibile regolare il numero di club nelle competizioni nazionali, non è aumentando il divario finanziario che la qualità del gioco migliorerà. Una maggiore concentrazione di denaro tende a generare un abisso maggiore, anche in relazione al club che Agnelli presiede, la Juventus. Una soluzione potrebbe essere una migliore distribuzione del denaro, e non necessariamente la sua concentrazione in determinati club.

Il calcio ha bisogno di competitività a entrambe le estremità della classifica, ma anche con partite più imprevedibili tra alta e bassa graduatoria. Inoltre, la formazione degli atleti da parte dei club di media-bassa fascia è essenziale per lo sviluppo di questo sport. La Juventus di Agnelli ha Kulusevski, Chiesa e McKennie che si sono formati in club più piccoli, e che solo ora stanno iniziando a capire cosa vuol dire lottare per le posizioni di prestigio.

Il problema che deriverebbe dal trasformare il calcio come da proposta di Agnelli, è che alla fine della stagione ci sarebbe sempre un solo e unico campione. Invece di valorizzare le competizioni nazionali e cercare di migliorare la qualità di ciò per cui si compete, l’ossessione per una grande competizione continentale farà sì che molti club smetteranno di essere campioni per molti anni. Per inciso, la Juventus di Agnelli, che nelle ultime tre Champions League è stata poco più che tifosa, sta notando in patria la crescita di Inter, Milan e Atalanta.

Il segreto del calcio sta meno nella megalomania, e più nella capacità di costruire strutture solide.