Non solo soldi, non solo Lamborghini, non solo showgirl e non sempre facili costumi. Il mondo del calcio, come tutti, è ricco di interpreti che danno il giusto valore alle cose, in primis alla famiglia cui sono legati. Basti pensare a tutti i giocatori sudamericani, che mettono i propri cari e spesso la religione al vertice della piramide della propria vita. Ricordate “El Cacha” Forlan? In Italia, con la maglia dell’Inter, è passato alla storia di più per l’errore della società nell’averlo preso per disputare la Champions League, quando in realtà non poteva, che per il suo rendimento. Nella calda estate del 2011, prima di approdare in nerazzurro aveva giocato un inutile preliminare di Europa League con l’Atletico Madrid e, per le regole del tempo, non poteva più vestire altra maglia in Europa, almeno fino al gennaio successivo. Preso per sostituire Eto’O, sostituirà solo se stesso, nel senso che rescinderà il contratto dopo una sola stagione per volare in Brasile all’Internacional. Ma la storia di Forlan la conoscete. Forse non conoscete quella del nonno, Juan Carlos Corazzo, che giocò con le maglie di Racing e Atletico Independiente, purtroppo senza “tituli”. Il papà Pablo, al contrario, ha vinto sette campionati in Uruguay, una Libertadores, una Coppa Intercontinentale e tre campionati statali al Saõ Paulo, vestendo maglie importanti, come quelle di Peñarol, Cruzeiro, Nacional e Defensor. Tutto questo DNA calcistico ha avuto poi seguito con Diego, degno rappresentante uruguagio nella Selecciòn di Oscar Tabarez, insieme a Cavani e Suárez.
Anche in Messico c’è una dinastia interessante, quella della famiglia del Chicharito Hernandez. Il nonno materno, Tomas Balcazar, ha giocato nel Deportivo Guadalajara tra il 1948 e il 1958. Più modesto il papà Javier “El Chicharo”, che ha indossato le camisetas di Tecos de la UAG, Puebla, Atlas e Moncaras de Morelia. È il nipote, in questo caso, la stella polare a livello calcistico.
Ma non sempre “los abuelos” incidono, perché già stati calciatori. A volte lasciano il segno per il semplice fatto di essere educatori e protettori dei loro pargoli. Ricordate la folle corsa e l’abbraccio caloroso in tribuna di Alessandro Florenzi alla nonna dopo un gol al Cagliari? Nonna Aurora, 82enne, per la prima volta spettatrice allo stadio Olimpico per vedere il suo Alessandro. Non mani sulle orecchie per polemizzare con i critici, non applausi ironici alla dirigenza per un mancato rinnovo di contratto. Non un’occhiataccia all’allenatore che non lo fa giocare. Ma la cosa più genuina, l’abbraccio alla seconda mamma che ti ha cresciuto e che ti richiamava a tavola dopo ore e ore di pallone giocato per strada con gli amici. Il calcio, in fondo, si impara giocando anche con i nonni in giardino. E singolare è stata l’iniziativa, lanciata in Toscana poco più di un mese fa, dagli allenatori del Casale Fattoria 2001 nell’ambito del progetto “Gioco Calciando”, cioè un’attività in sinergia fra i bambini delle elementari di Tobbiana e San Giusto e i propri nonni: scambiarsi il pallone, tentare i dribbling, fare movimenti tecnici. Ciò che la pandemia ha tolto, cioè la socialità e l’allenamento in gruppo, può restituire in parte la famiglia. I progetti migliori, ripresi con un video, sono stati premiati con gadget e riconoscimenti. Nei piccoli campetti, come nelle grandi arene del calcio mondiale, il confronto tra generazioni è sempre qualcosa che arricchisce.
Il giovane Daniel Maldini, che si sta affacciando ora al grande calcio con la maglia più pesante, quella rossonera, che dna robusto deve avere con un padre come quello che ha, Paolo, assoluta leggenda del calcio mondiale, e ancor di più con il compianto nonno Cesare, il primo a sollevare una Coppa dei Campioni con il Milan nel 1963? Quanto calcio con la “C” maiuscola ha respirato Daniel dal giorno in cui è nato fino al suo esordio in Serie A, il 2 Febbraio 2020 allo stadio Bentegodi di Verona? Evitiamo di elencare i trofei e i successi dei primi due, sarebbe noioso per chiunque ami questo sport e che conosce a memoria già tutto. Ma nel Milan non è l’unica dinastia ad aver scritto pagine importanti, pensiamo infatti alla famiglia Cudicini. Fabio, il Ragno Nero, è stato portiere nel grande Milan di Nereo Rocco, ha fatto compagnia a Cesare Maldini nei primi grandi successi internazionali del Diavolo e il figlio Carlo, invece, seppur con meno fortuna, ha disputato comunque una più che dignitosa carriera in Inghilterra con Chelsea e Tottenham, prima di chiudere negli Stati Uniti ai Galaxy. Il Cudicini meno noto è, in questo caso, il nonno Guglielmo, un terzino sinistro della Triestina anni ’20 e e ’30. Segni particolari? È morto nel 2007, il giorno dopo aver compiuto 104 anni! E c’è pure un quarto Cudicini, Matteo, figlio di Carlo, che gioca nei dilettanti. Una famiglia numerosa, questa dei Cudicini. Lo avrete capito.
Meno nota la carriera di Kenneth Kluivert, padre di Patrick e nonno di Justin. Il campionato del Suriname non è esattamente la Premier League, ma qualcosa di prezioso deve comunque averlo trasmesso al figlio, che con Ajax e Barcellona si è tolto le soddisfazioni maggiori, cileccando soltanto nella sua esperienza al Milan. Di lui resterà impressa più una doppietta alla Juventus nel Trofeo Luigi Berlusconi che il resto. Si sapeva, all’epoca, che chi trionfava in quello Scudetto d’agosto avrebbe poi fallito l’obiettivo tricolore. Era una casistica legata soprattutto agli anni ’90, in cui rossoneri e bianconeri si spartirono i titoli in dosi sbilanciate verso il Diavolo. Justin ha fatto, fin qui, soltanto intravedere le sue doti, principalmente la rapidità di corsa, prima all’Ajax e poi alla Roma. Ora al Lipsia senza troppo incantare, con un solo gol, ma di prestigio, al Bayern Monaco.
Quando, poi, il nonno in campo non basta, può inserirsi anche “la mamma”. È il caso di una famiglia sanguigna di Belgrado, molto conosciuta nel nostro campionato. Parliamo quella di Dejan “Deki” Stankovic, che ha appena affrontato il Milan con la sua Stella Rossa in Europa League. Lui stella del Triplete dell’Inter, ha preso la sua passione dai genitori, il papà giocava nell’OFK, ma anche la mamma aveva gli scarpini ai piedi e difendeva i colori dello Sloga Kraljevo. Loro sono i “nonni” sportivi di Filip, figlio di Dejan, che fa il portiere nella Primavera dell’Inter e che Antonio Conte ha già convocato più volte in panchina in questa stagione. Attende con ansia il suo esordio, per rinverdire la tradizione di famiglia.
E ancora, tra gli anni Ottanta e i Novanta ci sono due fratelli, più di altri, che hanno illuminato la scena: i fratelli Michael e Brian Laudrup, gioielli di quella Danish Dynamite che ha fatto calcio spettacolo e incantato perfino Maradona ai mondiali messicani del 1986. Il primo è stato “LA” stella tra i due, ha vestito le maglie importanti di Juventus, Barcellona e Real Madrid, ma il secondo, con la nazionale danese, vissuto il miracolo di Richard Møller Nielsen agli europei del 1992 in Svezia. Se sono diventati degli assi del pallone, forse è anche merito di nonno Finn, che ha giocato da professionista anche con la maglia del Brondby, ma senza allori.
E se pensiamo al legame tra Andrea Agnelli e l’Avvocato? In questi giorni cade proprio il centenario della sua nascita, nel XX Secolo è stato tra i protagonisti non solo del calcio, ma della storia del nostro Paese. Non è stato un nonno, ok, ma uno zio prezioso sì e che, insieme al padre Umberto, ha infuso nelle mani dell’attuale presidente della Juventus tutto il dna bianconero con cui ha costruito i successi post-Calciopoli. Gianni Agnelli ha fatto della Juventus una squadra di calcio con uno stile riconoscibile, ha saputo vincere con la stessa eleganza con cui ha perso. Ha spesso conteso a Silvio Berlusconi i grandi colpi di mercato nella decade a cavallo di Italia ’90. Aveva quasi preso Maradona. È stato uno zio così carismatico da cui poter soltanto assorbire conoscenza. Non staremo qui, perciò, né a far paragoni con Andrea né polemiche sulla legittimità dei titoli, sulla filosofia di calcio che ora vuole promuovere a livello europeo e sulle altre discussioni tipiche di un’attualità in crisi, non ci pare il caso in questa sede. Quel che è sicuro è che nella famiglia Agnelli è Andrea quello ad aver raccolto maggiormente gli insegnamenti di chi lo ha preceduto, in ambito calcistico.
Che dire, infine, di Peppino Prisco? Non è forse stato il nonno di tutti i nerazzurri, capace con la sua feroce ironia di infondere ottimismo anche nei primi anni “morattiani”, quando la pazza Inter non vinceva e veniva spesso presa di mira dalle nobili Milan e Juventus? Sempre presente e mai fuori luogo, lucido e sveglio fino alla fine. Una volta se ne uscì con una frase memorabile: “Poco prima di morire mi convertirò e diventerò milanista. Perché? Così, quando sarò morto, nel mondo ci sarà un milanista di meno”. Genio assoluto!
Tutto questo per dire cosa? Sembrerà scontato, ma soltanto che la saggezza dei nonni, anche nel calcio, produce vita e insegna qualcosa. Crea generazioni di campioni, storie di calcio che resteranno per sempre. Segnano il destino di chi, alla nascita, non sa cosa diventerà. E per dare un grande abbraccio alla colonna portante di MondoSportivo, il nostro direttore, che a suo nonno ha appena dovuto dire addio. Con affetto.