Home » Pallone in Soffitta – Leopoldo Luque: solo per Oscar

Il numero 14 della nostra storia non è Johan Cruijff, ma ha ugualmente scritto la storia del calcio. Un mantello di gloria a cui avrebbe rinunciato volentieri, per evitare un baratro di dolore e rabbia. Storia di Leopoldo Luque, del Mondiale di Argentina ’78 e di un martedì che cambiò la sua esistenza: l’ex attaccante iridato è scomparso lunedì 15 febbraio, per le conseguenze del Covid-19. Aveva 71 anni.

Maturità

Leopoldo Jacinto Luque nasce a Santa Fe (Argentina) il 5 maggio 1949. Papà calzolaio e madre indaffarata a prendersi cura di cinque figli, Leopoldo comincia a giocare a calcio nelle giovanili dell’Unión. Varie peripezie, compreso il servizio militare, sembrano allontanarlo dal giro. Invece, il Rosario Centrál decide di puntare su di lui e lo butta nella mischia: il debutto in prima squadra è datato 1973. Attaccante dal fisico solido e capace di concludere praticamente da ogni posizione, come abbiamo visto Luque arriva a certi livelli un po’ in ritardo. Nel 1975 i primi squilli, con l’ingaggio da parte del River Plate e il debutto in Nazionale: il 3 agosto “bolla” la prima con l’Albiceleste mettendo a segno addirittura tre gol al Venezuela. Niente male come inizio! Quella casacca si rivelerà magica e portatrice delle migliori soddisfazioni per il baffuto attaccante di Santa Fe.

Mundial

Nel 1978, mentre l’Argentina è sconvolta dalla dittatura militare, arriva il momento di ospitare il campionato del mondo di calcio. Nella batteria offensiva di Menotti trova spazio anche Leopoldo, che viene convocato con il numero 14. L’attacco titolare è formato proprio da lui, Houseman e dall’extranjero Kempes, di stanza in Spagna al Valencia. Luque va segno nel successo contro l’Ungheria (2-1). Poi arriva il fatidico 6 giugno. L’Argentina affronta la Francia al Monumental davanti a quasi 80.000 spettatori. Luque è regolarmente in campo. Non sa. Non può nemmeno immaginare la verità. Il fratello Oscar è partito da Santa Fe per assistere alla partita, ma non ha trovato un biglietto per l’autobus. Allora effettua il viaggio a bordo del furgone di un vicino di casa. Sul tragitto c’è tanta nebbia. Tra le 6 e le 7 di mattina di quel 6 giugno, Oscar Luque resta coinvolto in un incidente stradale e muore carbonizzato. I genitori decidono di non avvisare Leopoldo: “Non facciamolo preoccupare, deve giocare“. Infatti, scende in campo contro la Francia e va pure a rete al 73°: il gol decisivo. “Dopo aver segnato, sono caduto a terra e ho sentito un dolore tremendo al gomito. I dottori si sono presi cura di me, mi hanno anestetizzato e bendato. Volevano portarmi nello spogliatoio e io mi sono rifiutato. Menotti aveva già fatto entrambe le sostituzioni e, anche se mi hanno chiesto di non rischiare, li ho pregati di farmi finire la partita. Sapete perché? Pensavo che la mia famiglia fosse allo stadio e non volevo che si preoccupassero del mio infortunio. Mentre rientravo sul campo di gioco, mi sentivo più calmo” (intervista rilasciata a Clarín nel dicembre 2016).

La verità

Terminato il match, rientra con la squadra nella struttura che ospita la Selección. Gli è stata diagnosticata la lussazione del gomito destro: per quello la visita dei suoi genitori in ritiro, l’indomani mattina, sembra normale e non lo preoccupa. Leopoldo Luque non sa. Non può nemmeno immaginare la verità. La scopre. La tragica scomparsa di Oscar, pur turbandolo in modo terribile, non lo distrae dal compito di affrontare tutto ciò che è necessario fare e se ne fa subito carico. Gli viene messo a disposizione un elicottero militare per andare a riconoscere la salma del fratello, ma gentilmente rifiuta: “Feci comunque tutto in breve tempo, perché non volevo che i miei genitori distrutti dal dolore vedessero Oscar carbonizzato. Mi occupai della documentazione necessaria. In quel momento stavo pensando a ogni cosa, fuorché a tornare in squadra per proseguire il Mondiale“. Contro la Polonia, l’attaccante assiste da casa al match e scopre che i compagni hanno portato sul campo una bandiera: “Leopoldo, ti aspettiamo“.

Leopoldo Luque jugando en la Selección Argentina – YouTube

Campeón

Luque si fa convincere dal padre a ritornare dai compagni, stringe i denti e disputa la gara contro il Brasile: “Menotti mi chiese di giocare. Vero, non ho fatto bene. Poi è arrivata la doppietta contro il Perù, anche se un gol è stato sempre rivendicato da Passarella. Ci qualificammo per la finalissima: non si poteva perdere la Coppa in casa nostra, una partita difficile contro l’Olanda che siamo riusciti a vincere. Al triplice fischio mi venne incontro Omár Larrosa, ci abbracciammo. Per un attimo ho pensato fosse uno zombie, con la testa ero lontano anni luce dal baccano e dal tripudio della folla. Pensavo solo a Oscar. Ai festeggiamenti presi parte, vero: ma fui il primo ad andare via“. Nel momento peggiore della sua esistenza, Leopoldo Luque tocca l’apice della carriera. Continua a giocare in Nazionale fino al 1981 (43 presenze e 21 reti) e in campionato fino al 1985. La sua avventura agonistica non vede un passaggio in Europa: le sole esperienze all’estero riguardano brevi periodi in Brasile al Santos e in Messico nel Tampico Madero. Diventato allenatore e poi segretario allo Sport per la provincia di Mendoza, il baffuto Leopoldo è deceduto il 15 febbraio scorso all’età di 71 anni. A stroncarlo una polmonite bilaterale legata al Covid-19 e il fatale arresto cardiaco. Nel 2007 era sopravvissuto a un infarto.

Omaggio

Questi alcuni ricordi dei campioni argentini Alberto Tarantini (“Riposa in pace, amato amico. Grande dolore in tutti i tuoi compagni: campione per sempre“), Mario Kempes (“Se n’è andato un grande del calcio, grandioso amico e compagno, con il quale l’anno scorso avevo trascorso una giornata a Mendoza. Desidero formulare le mie condoglianze alla sua famiglia, alla moglie Claudia, a tutti gli amici e familiari. Vola alto, amico“) e Ubaldo Fillol (“Grande persona, compagno formidabile e giocatore eccezionale. Un esempio per tutta la squadra del 1978. Grazie, per tutto quello che hai dato al calcio argentino. Un caro abbraccio dal profondo dell’anima alla tua famiglia“).