Venti grandi campioni del tennis, di oggi e del passato: tutti sappiamo chi sono e cosa hanno vinto, ma agli albori delle loro carriere per cosa si contraddistinguevano e quali erano i loro aneddoti più particolari? Oggi il protagonista di questa nostra rubrica che ripercorre la giovane età di questi predestinati è Rafael Nadal.
Rafa nasce nell’isola spagnola di Maiorca nel 1986 e cresce a Manacor in una famiglia molto ligia al dovere: il talento tennistico viene coltivato dallo zio Toni e cresce di pari passo con una buona dote calcistica, ma all’età di dodici anni il padre lo obbliga a scegliere esclusivamente un solo sport per non compromettere il rendimento scolastico. Ovviamente scelse il tennis intensificando gli allenamenti e iniziando a disputare i primissimi tornei.
Non tutti sanno che in realtà Nadal non è mancino: da giovane lo spagnolo colpiva sia il diritto che il rovescio con entrambe le mani, ma fu Toni a specializzarlo con la sinistra per avere maggiori vantaggi. “Nessun giocatore professionista gioca con due mani e noi non saremo i primi, quindi devi cambiare”: Nadal obbedì al consiglio e gli venne quasi naturale impugnare la racchetta con la mano sinistra sebbene nella vita sia destrorso.
La Federazione spagnola nota il suo talento e gli consiglia di trasferirsi a Barcellona per migliorare il livello degli allenamenti, ma il padre rifiuta categoricamente per non rovinare l’educazione e la crescita del figlio. “Non voglio credere che occorra andare in America, o in altri posti per essere un buon atleta. Puoi riuscirci anche stando a casa.” con questa frase Sebastián congela la federazione riducendo così anche il sostegno economico che il figlio riceveva dal governo.
Famiglia e Maiorca, sono questi i due segreti di Rafael Nadal. Avere dei genitori rigidi, ma allo stesso tempo pronti ad esaudire ogni suo sforzo mirato a raggiungere il sogno e un’isola in cui poter godere a pieno dei momenti di svago con il mare a fare da contorno perfetto sono stati la rampa di lancio che lo spagnolo non dimentica mai nemmeno tutt’ora. L’unità, interiore ed esteriore, hanno permesso a un ragazzino motivato di costruirsi giorno dopo giorno senza incorrere mai in pentimenti di gioventù: ogni allenamento lo ha portato fino alla vetta del mondo.
Un particolare aneddoto di Nadal è la scaramanzia: a cominciare dai primi tornei il maiorchino si è contraddistinto per la cura maniacale con la quale sistema le bottigliette d’acqua accanto alla panchina spostandole più e più volte fino a trovare la disposizione giusta secondo il proprio gusto sempre con l’etichetta rivolta verso il campo. Anche i suoi tic l’hanno reso famoso durante la carriera: la smutandata propriamente detta, tocco al naso, passaggio dei capelli dietro l’orecchio sinistro e poi dietro quello destro e tocco alla pallina che è nella tasca prima di ogni servizio.
La superiorità di Nadal è mentale oltre che tecnica: nullo lo scalfisce, dall’infortunio fisico alla pallina potente che un avversario può controbattergli. Lui risponde vincente a tutto, sul campo macina chilometri in difesa senza mai mollare prima di trovare un varco nel quale affondare il rivale urlando il suo prorompente Vamos. E dove non arriva il suo talento infinito, sopperisce la dedizione che mette in ogni frangente del tennis: è per questo che in molti momenti è sembrato più una divinità che un essere umano.
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