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Pallone in Soffitta – Piacenza: autarchia e campanile

Uno per squadra, due, tre, e così via. Nella stagione 1997-98, il calcio italiano è ormai invaso dai giocatori stranieri. Una moda, all’atto pratico non sempre conveniente, che contagiò di fatto tutti i club. Tranne uno: il Piacenza, che nel 1993 arrivò in A e mantenne la politica autarchica fino al 2001. Un periodo in cui i biancorossi rappresentarono un modello lungimirante e vincente, destinato a restare forse irripetibile.

Serie A

Era il campionato di Serie A 1997-98. La massima categoria era ormai intrisa di bandiere provenienti da tutto il mondo, grazie all’invasione straniera: ben 120 su 490 giocatori delle rose non erano di nazionalità italiana. Prendiamo spunto da alcuni articoli pubblicati da Il Guerin Sportivo nell’inverno 1998, in cui viene analizzato il fenomeno. Il Piacenza era arrivato per la prima volta nell’olimpo del pallone nostrano nel 1993: “Quando siamo saliti nella massima serie, non abbiamo avuto il tempo di seguire il mercato straniero essendo stati promossi all’ultima giornata. Ci è andata bene con la strada obbligata degli italiani e quella politica l’abbiamo mantenuta“, affermava Gian Pietro Marchetti. L’ex difensore della Juventus e della Nazionale ricopriva il ruolo di ds al Piacenza da dieci anni: “Le pile di videocassette nel mio ufficio? Non abbiamo una rete di osservatori nel mondo e io stesso non sono mai andato all’estero. Non avendo questa struttura, era rischioso avventurarsi in acquisti sconosciuti: nelle squadre piccole non ho ancora visto uno straniero determinante“.

Gigi Cagni, Leonardo Garilli e Gian Pietro Marchetti

L’idea

Una politica fatta di idee chiare, come confermano le parole del presidente Stefano Garilli, figlio del mitico patron Leonardo scomparso nel 1996: “Non avendo una rete di osservatori internazionali, non possiamo controllare con meticolosità i possibili acquisti. Solo le grandi hanno questa rete, le provinciali si affidano a videocassette e a <cugini dell’amico del pronipote>. Noi preferiamo prendere gli italiani che abbiamo visto e seguito. Se pensiamo che anche questi possono dare problemi di inserimento, figurarsi gli emeriti sconosciuti che arrivano da un altro Paese. Non è comunque un pregiudizio ideologico verso gli stranieri, è un realismo basato sui mezzi e le prospettive del Piacenza Calcio“. Garilli lanciò un allarme: “Se facciamo del calcio un fatto di esclusivo business, si snatura il calcio dei campanili, l’unica risorsa reale del calcio. Se aumenteranno ancora gli ingaggi pazzeschi, il divario fra grandi e piccole crescerà ulteriormente e non ci sarà più una competizione regolare“. Parole profetiche.

Protagonisti

Tra il 1993 (VIDEO: la prima storica promozione) e il 2003, il Piacenza conquistò tre promozioni in Serie A (due conquistate da Gigi Cagni e una da Walter Novellino), vi disputò otto stagioni di cui cinque di fila: gente come Alessandro Lucarelli, Filippo Inzaghi e Alberto Gilardino è uscita dal vivaio della società, che ha ospitato tra gli altri totem del calibro di Pietro Vierchowod e Dario Hübner (capocannoniere della Serie A 2001-02 proprio con i biancorossi). Un protagonista di quell’epoca, l’ex attaccante e attuale allenatore Massimo Rastelli, ha militato nel Piacenza tra il 1997 e il 2001.

Dario Hübner

Questi i suoi ricordi, in esclusiva per MondoSportivo: “L’idea di base era sana, e molto stimolante per tutti noi calciatori italiani. Una società a dimensione familiare, compatta e corretta. Mai una scadenza saltata, ogni problema risolto sempre tempestivamente, c’era grandissimo entusiasmo. Giocavamo a uomo, ma eravamo liberi da troppe briglie tattiche. Ogni calciatore aveva la possibilità di mettere del suo nell’interpretazione del ruolo. Aver fatto parte di quella bella pagina è un grande orgoglio. Oggi, purtroppo, è impossibile che accada di nuovo. Che forte Vierchowod… nelle partitelle d’allenamento mi ha sempre rispettato. Ma non succedeva la stessa cosa con qualche compagno (ride, ndr). Con Davide Dionigi, ad esempio, erano come cane e gatto. Una bella squadra, composta da giocatori esperti, in cerca di affermazione o rilancio“.

Massimo Rastelli

Il declino

La favola Piacenza si incrina all’alba del nuovo millennio. Nell’estate 2001 viene innanzitutto infranto il tabù straniero, con l’arrivo dei brasiliani Matuzalém e Amauri. Al termine di quella stessa stagione 2001-02 il club biancorosso lascia la Serie A per l’ultima volta e si apre l’epoca recente più difficile per il club. Dopo un decennio di alti e bassi, il Piacenza retrocede in terza serie nel 2011. Il presidente Fabrizio Garilli (fratello di Stefano), contestualmente alle preesistenti difficoltà finanziarie del club, decide inizialmente di non iscrivere la società al campionato di Lega Pro Prima Divisione 2011-12. Poi cambia idea, ma nel frattempo ha cercato un acquirente. La famiglia Garilli lascia il Piacenza dopo ben 28 anni: tuttavia Fabrizio è costretto poco dopo a riprendere in mano le sorti del club, a causa delle inadempienze di chi è subentrato. L’agonia è rimandata solo di un anno. Il Piacenza Calcio viene dichiarato fallito a marzo 2012, retrocede sul campo in Lega Pro Seconda Divisione e sparisce definitivamente dalla geografia del calcio italiano. Attraverso varie peripezie – passaggi di mano dei beni aziendali, del marchio, cambi di denominazione – oggi il sodalizio biancorosso riporta la denominazione di Piacenza Calcio 1919 S.r.l. e milita in Serie C, girone A.