“Mike Dean è la vittima, deve badare alla sua famiglia. È totalmente inaccettabile quello che è successo. Un giorno, in questo Paese, un arbitro verrà ammazzato. Un giorno avremo una conversazione in cui parleremo di un arbitro che ha perso la vita. Il calcio è il riflesso della società”. Paul Field, presidente dell’associazione arbitri inglese, ha lo sguardo preoccupato mentre fa queste dichiarazioni nell’intervista rilasciata a Sky Sports UK. È una convinzione crescente nel mondo arbitrale anglosassone, soprattutto dopo quanto accaduto questa settimana nella vicenda che ha riguardato Mike Dean.
In breve, Dean è stato protagonista di un errore abbastanza grossolano nel corso della sfida tra Fulham e West Ham dello scorso week-end: l’esperto direttore di gara ha infatti espulso erroneamente il centrocampista degli Hammers Souček, anche dopo aver consultato il VAR, per una presunta gomitata rifilata a Mitrović. In realtà, i replay hanno dimostrato sin da subito la non intenzionalità del gesto del ceco, tanto che la squalifica è stata subito cancellata i giorni successivi su appello del West Ham. Una storia già sentita tante volte, che ci rivela ancora una volta un segreto, che segreto non è: anche gli arbitri sbagliano. Ma il clima pesante che si sta respirando da anni in Inghilterra attorno al mondo dello sport, tra razzismo, insulti, discriminazioni e minacce, ha trasformato un errore di un arbitro in un caso politico.
Nelle ore e giorni successivi alla gara, Mike Dean ha ricevuto minacce sia sui social che a casa. Insulti e promesse di vendetta destinate a lui e alla sua famiglia. È stato troppo anche per un arbitro internazionale dal 2003: Dean ha chiesto di non essere designato per il prossimo turno di campionato. La richiesta è stata accettata, ma è qui che perdono tutti. Perché se il “tifo” deve arrivare a costringere un arbitro a chiedere di non fare il suo lavoro perché teme per l’incolumità propria e della famiglia, allora possiamo anche chiudere tutto e salutarci. Non stiamo più parlando di sport, ma di altro. Questa non è passione, ma è sfruttare lo sport per trasformarlo nel secchio in cui sputare tutte le frustrazioni, l’ignoranza e la rabbia di una società sempre più esasperata, in Inghilterra come altrove.
Nemmeno il tentativo di Souček di abbassare i toni sembra essere servito a qualcosa. Nei campionati d’Oltremanica ci sono evidenti problemi di odio da tempo, come testimoniato dalle tante campagne portate avanti da società e Federazioni per contrastare questo fenomeno, a partire dai social. Ogni settimana, sono tanti i giocatori che lamentano ondate di insulti, minacce e odio razziale, in quantità finora mai viste. Perché il web ci ha dato una potenzialmente meravigliosa piazza in cui dialogare con qualcuno e invece la stiamo trasformando in un’arena per sfogarci a costi sociali pari a zero. Ha ragione Field: il calcio è riflesso di questa società. Malata, sarebbe da aggiungere. Portare avanti un cambiamento davanti alla prima vittima sarà già troppo tardi, dobbiamo fermarci ora: senza adeguate tutele, il mondo dello sport non ha più senso di esistere.