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Dieci x Dieci – Protti: “Il mio calcio, ispirato dal ’10’ di Rivera. Pensando a papà”

Quando pensi a Igor Protti, è automatico il binomio con la parola “gol”. Uno dei più prolifici bomber del panorama italiano negli anni Novanta, dalla carriera estremamente longeva e disseminata di palloni nel sacco. Nato a Rimini il 24 settembre 1967, ha debuttato nel maggio 1984 con la squadra della sua città. Poi le casacche di Livorno (nove stagioni in due periodi distinti), Virescit Bergamo, Messina, Bari, Lazio, Napoli e Reggiana. Unico attaccante nostrano (come Dario Hübner) capace di laurearsi capocannoniere nelle tre categorie più importanti, ha risposto in esclusiva a MondoSportivo per la rubrica Dieci x Dieci, alla riscoperta dei grandi campioni della Serie A. Oggi, dopo lo stop forzato a causa del Covid-19, desidera riprendere al più presto l’attività con la scuola calcio in cui collabora: “Un progetto nato due anni e mezzo fa, che a marzo 2020 abbiamo dovuto interrompere per la pandemia. Il nome della scuola calcio è ‘La Dieci’. Il nostro motto è ‘Prima uomini, poi calciatori‘. Arrivano pochi ragazzi alla Serie A, in tanti faranno altro nella vita. Il rispetto, il lavoro di squadra, il saper stare in gruppo. Valori che cerchiamo di trasmettere ai bambini“.

Il primo ricordo legato al gioco del calcio.

Fin da piccolissimo ho avuto una grande attrazione per il pallone, scalciavo qualsiasi oggetto tondo e dormivo abbracciato al pallone. Se capitava di giocare in casa, ma mi veniva nascosto, non mi fermavo! Usavo una mela o un’arancia e cominciavo a palleggiare con quella“.

L’idolo calcistico della tua infanzia.

Gianni Rivera. Nelle giovanili ho giocato come centrocampista, ruolo che ha influito in seguito nella mia carriera. Sono sempre stato un attaccante abbastanza altruista, ne hanno beneficiato tutti i compagni di reparto con cui ho militato. Credo forse per i retaggi della precedente posizione in campo. Di Rivera mi è rimasto anche l’amore per il numero 10, che ho voluto indossare e mi ha sempre ispirato“.

La persona che consideri maggiormente importante per la tua carriera.

Mio padre, che mi ha seguito fin da piccolo e lo ha fatto finché ha potuto: purtroppo, quando avevo 26 anni e giocavo nel Bari, è venuto a mancare. Ma ho sempre sentito la sua presenza anche in seguito. Nel 1994, un anno dopo la sua scomparsa, è arrivato il mio debutto in Serie A. Il fatto che non abbia potuto assistere a quella partita resta il più grande cruccio della mia carriera. Ci avrei tenuto tantissimo“.

Il momento più bello.

Non è semplice isolare un solo momento in 21 anni di carriera. Se devo fare una scelta, ricade sul giorno dell’esordio in prima squadra con la casacca del Rimini. Il club della mia città, in Serie C nel 1984. Nello stesso stadio dove ero andato a vedere per la prima volta una partita di calcio insieme al mio papà. Scelgo quel momento perché ha rappresentato l’inizio di tutto ciò che di bello è arrivato nella mia vita calcistica“.

Quello che invece vorresti dimenticare.

Nessuno. Perché credo che la crescita di una persona passi attraverso i momenti difficili, da cui bisogna trarne forza e insegnamento“.

Un bivio importante: azzeccato o mancato.

Feci un provino con il Milan: mi presero. Nel 1985 il Rimini mi cedette al “Milan-Livorno”, lo chiamo così per i rapporti stretti esistenti all’epoca tra i due club. Ma a quel punto mi chiesero se preferissi andare a giocare nella Primavera milanista o in Toscana in Serie C, in prima squadra. Decisi di indossare l’amaranto per mettermi alla prova. Poi, quando il Milan di Farina ebbe i noti problemi, io e altri ragazzi diventammo completamente di proprietà del Livorno. Non tornai mai più a Milano“.

Il tuo 11 ideale, tra i compagni con cui hai giocato.

Preferisco non fare alcun nome. Nel mio percorso da professionista ho conosciuto tantissimi colleghi, con cui si è creato nella maggior parte dei casi un rapporto speciale. Sono stati tutti importanti, a cominciare dai compagni che giocavano poco: dalla panchina e durante la settimana davano spinta al gruppo. Rischierei di dimenticare qualcuno e, sinceramente, nessuno di loro lo meriterebbe“.

L’allenatore che porti nel cuore.

Ricordo con piacere Walter Mazzarri, Roberto Donadoni ed Eugenio Fascetti. Cito anche Giuseppe Materazzi, allenatore ugualmente molto importante per me: mi fece esordire a Rimini, lo ritrovai a Messina e poi a Bari. Ma un nome su tutti sento di farlo: Osvaldo Jaconi. Un secondo padre, grazie all’atteggiamento positivo e al grande lavoro. A lui è anche legato lo straordinario ricordo della promozione in B con il Livorno“.

L’avversario più ammirato.

Ho avuto la fortuna di sfidare praticamente tutti i grandi campioni della mia generazione nel campionato italiano. Tralasciando Maradona, che affrontai una volta sola in un Livorno-Napoli di Coppa Italia, menziono Roberto Baggio, Rui Costa, Zinedine Zidane e Roberto Mancini“.

Il bilancio della tua carriera.

Carriera lunghissima, fatta di alti e bassi, ma pure di soddisfazioni. Sono partito dalla Serie C per arrivare in A, sono ritornato indietro fino a riguadagnare di nuovo la massima categoria. Tutto quello che sono riuscito a conquistare, l’ho ottenuto sul campo. Non avrei mai pensato, partendo da centrocampista, di diventare capocannoniere di tutte e tre le maggiori categorie del calcio italiano. Un bilancio meraviglioso e se vogliamo romantico, soprattutto se ripenso agli anni Novanta. Spero che possa tutto tornare come allora, seppur con le logiche differenze. Ma al tempo stesso so bene che bisogna guardare avanti e non essere solamente nostalgici: piuttosto, puntare al futuro senza dimenticarsi ciò che di buono si può salvare del passato“.