Ancora poche ore e poi il 2020 sarà storia. Sta per terminare l’anno più strano, difficile, doloroso per gran parte di tutti noi. Un’annata ricca di eventi, in primis legata alla pandemia di Coronavirus, ma non solo. In questa raccolta, abbiamo riportato gli episodi e le storie più interessanti avvenute nel mondo dello sport nel 2020, in particolar modo nell’ambito dei diritti umani: è un connubio che, come saprete, qui a MondoSportivo abbiamo molto a cuore. La gran parte di questi racconti sono stati oggetto di articoli a parte, che troverete scorrendo via via. Perché il Coronavirus ha riempito le nostre vite, televisioni, quotidianità, ma non cancella tutto il resto, che resta meritevole di un ultimo ricordo, prima di girarci nuovamente avanti e guardare dritto negli occhi un 2021 che, ci auguriamo, possa essere diverso. Migliore.
Avanti a ogni costo: le dittature che negano il Covid-19 e proseguono con lo sport
Tra la fine di febbraio e le prime settimane di marzo, il mondo dello sport si è dovuto arrendere davanti all’evento che ha segnato il 2020: l’esplosione di una pandemia che ha stravolto completamente le nostre vite. In Italia, si è cominciato con i rinvii a livello dilettantistico il 21 febbraio, prima in Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia e Vento, ma in poche ore si è arrivati anche al mondo professionistico, che ha provato a proseguire a singhiozzi, salvo poi dover cedere davanti a un virus sconosciuto. Più passavano i giorni, più ci rendevamo conto che qualcosa di drammatico stava per accadere, con focolai e nuovi casi La stragrande maggioranza dei tornei in giro per il mondo si sono fermati, riprendendo solo mesi dopo e senza tifosi. Tutti, tranne alcune significative eccezioni: in Bielorussia, Turkmenistan e Tagikistan il mondo dello sport ha proseguito la propria corsa come se nulla fosse. E, nemmeno troppo casualmente, si tratta in tutti e tre i casi di governi dittatoriali, mascherati da democrazie, che hanno provato a “cancellare” qualsiasi emergenza legata al Coronavirus o a nascondere i dati ufficiali, sulla pelle dei propri cittadini. Lo sport si è così trasformato in efficace vetrina di una presunta normalità, attirando l’ingenua attenzione di media e pagine social che, invece di evitare di stare al gioco di queste dittature, hanno spesso veicolato l’attenzione del pubblico proprio verso le poche partite giocate in questi Paesi.
Black Lives Matter: lo sport diventa protesta civile in nome dei diritti umani
Il 2020 è stato anche l’anno di Black Lives Matter, la protesta di massa esplosa negli Stati Uniti dopo l’uccisione di George Floyd, filmata e ripresa in tutto il mondo come l’ennesima dimostrazione dell’intollerabile uso della violenza fatto dalla polizia statunitense verso la comunità nera. Il mondo dello sport ha subito raccolto l’appello, mettendosi in primo piano nella richiesta di un cambiamento politico e sociale per troppi anni lasciato in sospeso. Sui social sono stati in primis i giocatori dell’NBA a lanciare l’importanza del movimento e a seguire sono arrivati tutti gli altri sport: anche in MLS è stato organizzato un momento di raccoglimento di tutte le squadre, riunite nella “bolla” di Orlando per ripartire, lungo 8 minuti e 46 secondi, lo stesso tempo impiegato dall’ufficiale di polizia Derek Chauvin per schiacciare con il ginocchio il collo di Floyd, fino a ucciderlo. La protesta è andata avanti per tutti gli altri mesi, passando persino da uno storico boicottaggio di Milwaukee-Orlando di gara 5 dei playoff NBA dopo un altro caso di violenza razzista in Wisconsin, e ha attraversato l’Oceano arrivando anche in Europa. Uniti nel gesto simbolico fatto da Colin Kaepernick qualche anno fa, inginocchiato e con il pugno alzato, anche qui abbiamo assistito a forti manifestazioni: comincia in Germania con i gesti di Thuram, Sancho e Hakimi, ma si sviluppa soprattutto in Inghilterra, dove la questione del razzismo è profondamente sentita (come dimostrato dai fischi arrivati alle prime, timide riaperture dei tifosi allo stadio), con i calciatori che ancora oggi, prima del calcio d’inizio, inscenano la protesta; così come lo ha fatto per tutto l’anno Hamilton, campione mondiale anche in questa edizione della Formula 1, ma con una costante attenzione nel far sentire la propria voce, in nome del movimento Black Lives Matter.
Uiguri, una questione sempre più accesa
Sulla questione degli Uiguri, la minoranza etnica vittima della terribile repressione portata avanti dal governo cinese, il mondo dello sport ha provato anche quest’anno a rompere il silenzio con messaggi e gesti eclatanti. Il personaggio più in vista in questa campagna di sensibilizzazione resta Mesut Özil, ormai di fatto isolato in casa Arsenal sulla base di sospette giustificazioni tecniche: eppure, a inizio anno vi avevamo raccontato della scomparsa totale del centrocampista tedesco dalle televisioni cinesi, mai citato neppure nelle telecronache. La Cina ha cominciato a fare enorme pressione sui Gunners, il cui business è fortemente dipendente dal mondo asiatico. Ma Özil non è rimasto solo: sono tanti gli sportivi che hanno deciso, con coraggio, di metterci la faccia per fare appello alla politica di intervenire in difesa degli Uiguri e abbandonare questa posizione di colpevole omertà. In estate ne aveva parlato l’attaccante Demba Ba, ma alla campagna sui social lanciata dal politico francese Raphael Glucksman hanno partecipato numerosi personaggi: Ribéry, Koulibaly (che fu poi costretto a cancellare il post per ragioni mai spiegate, dopo essere stato travolto da insulti e commenti di provenienza sospetta), Dembele, Marega, Mahrez e il cestista Gobert, il primo giocatore dell’NBA a pronunciarsi. E a dicembre, Griezmann ha deciso di stracciare il proprio contratto da ambassador con Huawei dopo la pubblicazione di un’inchiesta che accusava il colosso cinese di aver collaborato alla creazione di un sistema che permettesse il riconoscimento facciale attraverso un telefono: uno strumento sospetto di cui farebbe uso proprio il governo cinese contro gli Uiguri.
Rashford, sportivo dell’anno nella lotta alla povertà
Quella di Marcus Rashford è una storia di riscatto, di un ragazzo che ha vissuto gran parte della sua giovinezza in condizioni di estrema povertà alle periferie di Manchester ed è diventato uno dei più forti astri nascenti del calcio. Ma nel 2020, il giovane attaccante dello United è diventato qualcosa di più: ha dimostrato come lo sport, e in generale le celebrità, possono usare la propria popolarità per sostenere importanti cause e far pressioni politiche con pochi eguali, anche quando si ha appena 23 anni. Sin dall’esplosione della pandemia, Rashford si è messo a disposizione per sostenere le famiglie più bisognose raccogliendo fondi per Fareshare, l’organizzazione che ridistribuisce il cibo in eccesso e pasti per chi ne ha bisogno, garantendo un piatto caldo a oltre un milione di bambini età scolare. A giugno, poi, è riuscito a far cambiare idea persino a Boris Johnson e al Parlamento con una lettera che chiedeva di non tagliare il programma di sostegno ai più bisognosi dopo i mesi estivi e ha successivamente creato una task force riunendo alcuni dei più importanti supermercati e marchi alimentari: lo scopo resta quello di offrire un sostegno alimentare a lungo termine a chi è in condizioni difficili. L’impegno di Rashford è stato riconosciuto a livello mondiale, vincendo anche il primo FIFA Foundation Award e attirando così nuovi investimenti: una bella vittoria, in nome del Rashford bambino che ha scoperto con amarezza cosa significhi soffrire la fame.
Il Newcastle e il mancato affare con il fondo dell’Arabia Saudita
Ad aprile, il Newcastle è diventato oggetto di interesse di una ricchissima cordata saudita, legata direttamente alla controversa figura di Mohamed bin Salman, il principe ereditario al trono e di fatto unico amministratore del Paese. Un affare da 345 milioni di euro che avrebbe potuto rendere i Magpies una delle squadre più ricche al mondo, con tutto ciò che ne sarebbe conseguito in termini di calciomercato e crescita del progetto. Ma dietro alla ghiotta offerta, c’è la storia di un Paese condannato da numerose ONG per imprigionare dissidenti politici e donne che richiedono maggiori diritti, ma anche dell’omicidio del giornalista Khashoggi presso l’ambasciata in Turchia: nonostante le battaglie portate avanti dalla fidanzata Hatice Cengiz e l’emersione di numerose prove di un coinvolgimento di bin Salman come mandante dell’uccisione di un personaggio ritenuto scomodo, la trattativa sembrava destinata ad andare in porto, per la felicità dei tifosi bianconeri. Alla fine, è stata la Premier League a mettersi di traverso, anche se per una questione non legata ai diritti umani: sotto l’impulso del gruppo qatariota beIn Media Group (proprietaria dei diritti tv del campionato in Medio Oriente e Africa del Nord), la massima serie inglese ha accusato l’Arabia Saudita di permettere la trasmissione in via illegale delle partite attraverso, tra le altre, l’emittente pirata beoutQ. Alla fine, il fondo saudita ha ritirato l’offerta.
Le proteste del mondo dello sport in Bielorussia
In seguito all’ennesima, ma sospetta, vittoria alle elezioni di Lukashenko in Bielorussia, in tutto il Paese sono esplose manifestazioni in piazza per chiedere diritti civili e politici, oltre alla possibilità di ripetere le elezioni in maniera trasparente. Inevitabilmente, anche lo sport ha finito per ritrovarsi coinvolto. Non tanto nelle manifestazioni sportive in sé, visto che i vari campionati stanno procedendo come se nulla fosse, ma più per le singole vicende di alcuni elementi, giornalisti sportivi compresi, apparentanti a questo mondo: non sono pochi i nomi finiti al centro della cronaca per aver subito arresti o addirittura violenze. Una parte importante di sportivi ha deciso di non accettare il silenzio, mettendosi in prima linea per chiedere la fine delle violenze, presentando un video appello da parte di 93 calciatori di vari livelli del calcio bielorusso rivolto al governo di Lukashenko. Tra questi, erano presenti anche elementi appartenenti a importanti club e al giro della Nazionale, nonostante la rumorosa assenza di rappresentanti di due dei più importanti club del Paese: la Dinamo Minsk e la Dinamo Brest.
PSG-Istanbul Başakşehir
Quello avvenuto poche settimane fa nella sfida di Champions League tra PSG e Istanbul Basaksehir è stato forse l’evento più eclatante di quest’anno: al 13′, le squadre abbandonano improvvisamente il campo dopo alcune discussioni avvenute in panchina. Emergerà che il quarto uomo Coltescu avrebbe indicato all’arbitro Hategan di espellere l’assistente degli ospiti Webò, indicandolo usando come riferimento la parola “negrus” (nero in rumeno). Ne deriva una situazione caotica, i giocatori dell’Istanbul Basaksehir chiedono spiegazioni sul perché il quarto uomo usasse il colore della pelle per segnalare qualcuno all’arbitro. La partita viene così conclusa nello sdegno generale e ripetuta il giorno dopo, con una squadra arbitrale completamente cambiata. Non un caso di razzismo, ma sicuramente di uso discriminatorio del linguaggio, su cui bisogna ancora lavorare a lungo.
Sara Gama, prima vice presidente dell’Assocalciatori
È una delle calciatrici di spicco del nostro Paese e, da quest’anno, sarà anche rappresentante dei diritti ed esigenze di tutti i giocatori. Sara Gama, capitano della Juventus, è diventata la prima donna a ricoprire l’incarico di vice presidente dell’Assocalciatori: un riconoscimento importante dopo tanti anni di battaglie per il riconoscimento della parità di trattamento, culminato con la decisione di aprire finalmente al professionismo anche il calcio femminile dal 2022.
End-SARS, i calciatori nigeriani al fianco nel movimento
Lo scorso ottobre, in Nigeria sono cominciate numerose proteste da parte dei cittadini per chiedere al Governo di cancellare la Special-Anti-Robbery Squad, un’unità della Nigerian Police Force accusata, con prove video e testimonianze, di sequestri arbitrari, uccisioni, rapine, stupri, torture, arresti arbitrari, umiliazioni, detenzioni arbitrarie, uccisioni extragiudiziali ed estorsioni, oltre che di una corruzione sistematica. Il movimento End-SARS si è diffuso subito sui social e il mondo dello sport ha raccolto l’appello, facendosi sentire sui propri profili e con magliette di sostegno.
Razzismo, una piaga senza fine
Anche quest’anno il razzismo non ha abbandonato il mondo dello sport. Gli episodi di razzismo e discriminazione, purtroppo, sono stati ancora tanti:
Violenze, razzismo e discriminazione sui campi: un anno di racconti
Infine, uno spazio dedicato a noi. Quest’anno, la nostra redazione ha avviato un ambizioso progetto: raccontare i più gravi episodi di violenza, razzismo e discriminazioni nel calcio dilettantistico. Un esperimento apprezzato, quello di Razzie di Calcio, anche se purtroppo fortemente ostacolato dalle continue interruzioni legate alla pandemia di Coronavirus: noi, in ogni caso, ci abbiamo provato, per fare in modo che queste storie vengano conosciute da tutte e non dimenticate. Qui l’elenco degli episodi usciti:
Puntata 9 – Razzie di Calcio – Ottobre 2020 #9
Puntata 8 – Razzie di Calcio – Ottobre 2020 #8
Puntata 7 – Razzie di Calcio – Ottobre 2020 #7
Puntata 6 – Razzie di Calcio – Ottobre 2020 #6
Puntata 5 – Razzie di Calcio – Settembre 2020 #5
Puntata 4 – Razzie di Calcio – Settembre 2020 #4
Puntata 3 – Razzie di Calcio – Marzo 2020 #3
Puntata 2 – Razzie di Calcio – Febbraio 2020 #2
Puntata 1 – Razzie di Calcio – Febbraio 2020 #1
In generale, la tematica dei diritti umani ci tocca da vicino e vi consigliamo allora alcuni dei nostri pezzi di questa annata drammatica, augurandovi un 2021 finalmente sereno e di riscatto:
2. Crimini d’odio, la peggior tifoseria della scorsa stagione è stata quella dell’Aston Villa: Crimini d’odio, la peggior tifoseria della scorsa stagione è stata quella dell’Aston Villa
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4. Perché le dimissioni del presidente della FA Clarke sono una grande lezione sul linguaggio non discriminatorio: Perché le dimissioni del presidente della FA Clarke sono una grande lezione sul linguaggio non discriminatorio
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7. West Ham, il logo “arcobaleno” divide i tifosi