“One dream, one soul, one prize, one goal, one golden glance of what should be. It’s a kind of magic…”. Chissà, magari Freddie Mercury, quando scrisse questa canzone 34 anni fa, buttandosi in un album pop divertente e godibile anche dai puristi “rockers” più accaniti, aveva voluto prevedere il futuro del Milan post-berlusconiano (ma è davvero così? s.n.) del 2020! Battutacce a parte, l’incipit del brano dei Queen del 1986 contiene una parola chiave che ben rispecchia l’anno solare del Diavolo: quell’one, cioè “uno”, la quantificazione dell’unità d’intenti che ha cambiato il disastroso decorso rossonero, trasformandolo in un sogno, un gol dietro l’altro, la chance di poter disegnare un capolavoro che “potrebbe essere” alla fine di questo campionato.
In 14 giornate, sono arrivate 10 vittorie, 4 pareggi e 0 sconfitte, unica squadra imbattuta dei maggiori campionati d’Europa. Con ben 26 risultati utili di fila e un primo posto in classifica in solitaria. Come se non bastasse, nell’ultima partita contro la Lazio i rossoneri hanno segnato altri 3 gol, prolungando così a 16 occasioni la propria striscia di partite di fila in cui realizza almeno 2 gol in Serie A. Per trovare un record uguale, bisogna risalire al Barcellona del 1948. Se non è qualcosa di magico questo! Chi poteva prevederlo, soltanto 14 mesi fa, all’alba dell’esonero del “maestro” Marco Giampaolo, naufragato alla prima burrasca, dopo esser salpato da un porto tutt’altro che sicuro? Probabilmente, anzi sicuramente nessuno. O quasi, perché una persona a cui brillavano gli occhi anche nella notte e che non ha spento mai il suo ottimismo c’è sempre stata. Ha il DNA e le vene pulsanti sangue rossonero, ha scritto la storia sul rettangolo verde, migliorando quella già agli annali del padre. Si chiama Paolo Maldini e, in poche parole, è il Milan! Non ha perso di buon grado il suo iniziale compagno di viaggio, altro milanista innamorato, Zvonimir Boban. L’uomo che scelse Giampaolo, l’uomo che fin da subito non gradiva Rangnick, l’uomo che ha sbottato sui giornali ed è stato messo alla porta da Gazidis. Da quel momento, però, anche se la poltrona di Paolo ha vacillato, l’obiettivo è stato “uno”, appunto: ridare un’identità e avere unità d’intenti, per riportare il Diavolo in Paradiso. Che mission blasfema!
Il 5-0 inflitto dall’Atalanta a Bergamo poco più di un anno fa, come sgraditissimo regalo di Natale 2019, è il nono cerchio dell’inferno dantesco dal quale il Milan decide che non ne può più. 21 punti in 17 incontri, soltanto 6 vittorie con questo undici in campo: Donnarumma; Conti, Musacchio, Romagnoli, Rodriguez; Kessie, Bennacer, Bonaventura; Suso,(Piatek) Leao, Calhanoglu. Le pene patite in dieci anni di insuccessi (timida Supercoppa italiana a firma Montella a parte) sono abbastanza e che è ora di “uscire a riveder le stelle”. Stefano Pioli affronta la tempesta non senza dubbi, è su quella nave da poco, ma non ha paura. Soltanto, ha bisogno di un luogotenente in campo che prolunghi le sue idee e le diffonda a chi ancora non ha una cartina per leggere la rotta. E c’è un solo condottiero che dalle tenebre può riportare tutti alla luce. È un po’ datato, ma ha ancora un fisico da gladiatore. È nato in Svezia, ma ha sangue bosniaco. È già stato a Milanello, ma ha l’entusiasmo di un novizio: è Zlatan Ibrahimović che, dall’assolata Città Degli Angeli, attraversa il mondo per venire sotto il cielo plumbeo di Milano. Mentre lo svedese si rimette a punto per essere pronto alla battaglia, Pioli ridisegna subito la squadra su di lui: via il poco prolifico 4-3-3 (appena 16 gol fatti), per passare ad un più pratico ed efficace 4-2-3-1, in cui Zlatan fa da “faro” terminale. Dal mercato di gennaio arriva un esterno belga che nessuno conosce, ma che Maldini e Massara vanno a pescare all’Anderlecht e che si rivela fondamentale per Pioli, perché è umile, ha fame e, senza essere un fenomeno, sa far tutto: corre, s’inserisce, recupera, crossa e, quando può segna anche. Schierato inizialmente terzino, al posto di Calabria e Conti, si rivela poi più utile da tornante offensivo e va a comporre, con Calhanoglu e Rebic, il terzetto alle spalle di Ibra. In mezzo al campo, Pioli affida definitivamente le chiavi del centrocampo a Bennacer (cui Giampaolo preferiva un ormai bollito Biglia) e gli piazza accanto il generale Frank Kessie. In difesa, il danese Kjaer arriva per dar esperienza e man forte ad un non sempre attento Romagnoli, capitano acerbo. Si pensava potesse essere una soluzione temporanea, invece Simon si è imposto con tutta la sua forza ed è diventato uno dei migliori difensori dell’attuale campionato (se non il migliore), fino all’infortunio. La fascia sinistra diventa proprietà esclusiva di Theo Hernandez, il francese del Real Madrid prelevato da Maldini a Ibiza e convinto a sposare il progetto rossonero. Via, dunque, chi non serve più: Rodriguez, Suso, Piatek, in estate anche Biglia.
Per assemblare il nuovo pacchetto, c’è bisogno del dovuto rodaggio, ma con Ibrahimovic in campo la musica sembra cambiare già da subito, non foss’altro per atteggiamento. Dopo lo 0-0 interno contro la Samp, arriva la vittoria di Cagliari e il nuovo “primo” gol con il Diavolo di Zlatan. Il vero punto “zero” da qui fondare le basi del palazzo, arriva però il 9 Febbraio (meno di un mese al lockdown che ha sconvolto il mondo), giorno del derby contro l’Inter. La partita finirà 4-2 per i nerazzurri, ma la squadra di Pioli gioca molto bene per un’ora abbondante ed è anche in vantaggio di due reti, sigillo di Ibra compreso. Poi il calo e la rimonta, ma lì, in quella partita sfortunata sia Pioli sia la squadra capiscono che su quella strada si arriverà lontano. Poi la pandemia irrompe nelle vite di tutti come una prorompente cascata e tutto si ferma. Per tre mesi il pallone non rotola più. Girano, però, gli ingranaggi del cervello di Stefano Pioli che, in contatto costante con i giocatori, mette a puntino il programma per la ripresa e per l’ascesa. Si ricomincia dalla semifinale di ritorno di Coppa Italia, senza i suoi uomini migliori il Milan deve aggiustare l’1-1 di San Siro con la Juventus a Torino. Impresa ardua, alla fine ne esce uno 0-0 che regala la finale ai bianconeri, ma cementa ancor di più le certezze del gruppo milanista. Contro la più forte, è arrivata un’altra prestazione convincente. È l’iniezione giusta, ora si può davvero ripartire!
Ricomincia il campionato ed il Milan innesta il turbo: subito 4 sberle al Lecce, poi 2 alla Roma, 3 alla Lazio in casa sua e altre 4 alla Juventus a San Siro, surclassata in scioltezza. Qualcosa è cambiato! A beneficiare della tavola imbandita è Ante Rebic, croato ai margini con Giampaolo e centrale nel nuovo progetto. Ibra attira su di sé tutte le marcature, Rebic ne approfitta e s’infila negli spazi come una serpe sgusciante e tecnicamente deliziosa: segna 12 gol in 20 partite (Serie A, Coppa Italia), il Milan vola! Nelle 12 gare finali non arriva una sola sconfitta e, alla fine della stagione, ci si qualifica per i preliminari di Europa League. Visto l’inizio di stagione, a dir poco drammatico, è un risultato da festeggiare. A sorprendere non sono solo i risultati, ma la brillantezza di un gioco sfrontato e poco attendista. Forse non bello esteticamente, perché gli interpreti a disposizione non sono i più forti del campionato. Come gli ingredienti di una torta di Iginio Massari, però, combinati insieme sfornano una dolcezza gustosissima. Calhanoglu, arrivato al Milan dal Bayer Leverkusen dopo un grave infortunio, sembra finalmente aver trovato il suo posto nel mondo e si esprime a livelli degni del suo talento e solo intravisti, con troppa discontinuità, nel suo primo ciclo rossonero. Bennacer dimostra di valere i galloni di “miglior giocatore della Coppa d’Africa” vinta con la sua Algeria nel 2019 e Kessie, anche lui fin lì discontinuo e svagato, diventa un’arma letale che sa infrangere i sogni offensivi degli avversari, ma può anche far male, molto male, se si presenta dalle parti del portiere che ha di fronte. E poi Theo Hernandez, il vero erede di Serginho. Un treno in corsa con il pilota automatico, travolge chiunque gli si pari di fronte e se arma il suo sinistro la porta è capace di distruggerla. Segnare non gli basta. Vuole proprio sfondare il confine. Regala il cambio di passo quando le cose si fanno difficili, offre un’alternativa all’attacco da fuori area, regala assist con le sue progressioni sulla banda sinistra e, con il nuovo anno ed un lavoro a Milanello curato nei minimi dettagli da Pioli, ora sta anche imparando a difendere meglio. Vale 80 milioni e può essere considerato, oggi, il miglior terzino al mondo. Di Donnarumma, invece, non si parla tanto, ma solo perché è una certezza immutabile, silenziosa sui rotocalchi, ma rumorosa in campo.
I risultati della stagione portano ad un bivio in cui il destino cambia e si rivela d’improvviso: confermato Stefano Pioli e rinuncia al “santone” della Red Bull, Ralf Rangnick, che aveva già un accordo ed era pronto e rivoltare il Milan come un calzino. Il nuovo anno, però, comincia con la qualificazione “thrilling” ai gironi di Europa League: nell’ultimo turno dei preliminari si va in Portogallo, a sfidare il modesto Rio Ave. Ne nasce, però, una partita complicata e sotto un acquazzone violento. Segna Saelemaekers, pareggia a 20’ dalla fine Geraldes. Si va ai supplementari e subito Gelson Dala gela i rossoneri. Sembra tutto finito, ma al 121’ uno stupidissimo fallo di mano in area di Borevković regala il rigore che Çalhanoğlu trasforma per evitare il disastro. Per ottenere il pass europeo serviranno per 24 tiri dal dischetto, con errori su errori e finali sempre rimandati. Alla fine, è il Milan a qualificarsi. La partita è un primo campanello d’allarme che non fa adagiare sugli allori i rossoneri. Nel frattempo, un dubbioso Ibrahimovic decide di continuare la sua avventura. Ha voluto capire quanto il suo fisico fosse ancora capace di sopportare, si sente bene e vuole giocare! Lo svedese è fondamentale, non solo tecnicamente, ma anche caratterialmente: vuole il massimo per sé stesso, lo vuole dagli altri. È esigente, severo, infonde la mentalità vincente ad un gruppo fondamentalmente giovane, il più giovane del campionato, ma è anche intelligente e sa farsi guidare da Pioli, con cui non c’è mai sovrapposizione di ruoli. Il vero salto di qualità il Milan lo ha fatto con Zlatan, deus ex-machina con la residenza a Milanello ed il cuore in Svezia, lì dove è rimasta la sua famiglia.
Il nuovo Milan, dunque, si disegna così: Donnarumma; Calabria, Kjaer, Romagnoli (Gabbia), Theo Hernandez; Kessie, Bennacer; Saelemaekers, Calhanoglu, Rebic; Ibrahimović. Dal secondo turno del girone di Europa League arriva un’altra intuizione di mercato. Il Milan batte i norvegesi del Bodø/Glimt non senza soffrire, il risultato finale è un 3-2 in cui si distingue un biondino che, sulla fascia sinistra, dribbla con personalità e calcia senza paura: è Jens Petter Hauge. Classe ’99, alto 1,84m e ricorda un po’ Brolin, un po’ Litmanen. A Maldini non piace perder tempo e, dopo la partita, in pratica lo acquista. Si rivela l’ennesima mossa azzeccata di una dirigenza che, chiariti i dissidi, è sempre più unita e, soprattutto, univoca. Fin qui, 9 presenze e 1 gol in Serie A (pesante, al Napoli), 5 partite e 3 gol in Europa League, sempre partendo da sinistra. All’occorrenza, però, può fare anche la prima punta.
Nell’anno solare, il Milan ha totalizzato 79 punti, più di tutti. Guarda tutti dall’alto, come non accadeva da 10 anni e dieci sono anche i punti che lo separano, momentaneamente, da una Juve non più dominatrice del campionato. Ha vinto il proprio girone di Europa League e nei sedicesimi dovrà affrontare una sfida affascinante contro quella Stella Rossa che richiama ricordi e sogni di Coppe dei Campioni passate. Zlatan Ibrahimović è ai box per un infortunio muscolare e conta di recuperare per il match della Befana contro la Juventus. Fin qui, è stato semplicemente mostruoso: 10 gol fatti e vetta della classifica cannonieri in appena 6 partite disputate. Già, perché tra Covid-19 e altri acciacchi, ha saltato 8 partite di campionato. Ed è qui che la squadra ha dimostrato di aver svoltato, capace di vincere anche senza di lui e senza snaturare il proprio gioco. Si fa più fatica a trovare il riferimento in avanti, certo, ma gli undici in campo, anche se vanno sotto di uno o due gol, hanno sempre la convinzione di poter ribaltare in proprio favore le partite. Qualcosa è cambiato davvero. Il 2021 comincerà dallo Stadio Vigorito di Benevento, lì dove un altro milanista purosangue, Filippo Inzaghi, sta scrivendo pagine di storia calcistica locale importanti. Dove potrà arrivare questa squadra non possiamo saperlo, alle spalle c’è un’Inter molto più forte con il fiato sul collo e senza più il peso delle coppe, c’è una Juve che, sulla carta, ha ancora l’organico migliore, c’è una Roma finalmente e di nuovo competitiva e ci sono Napoli, Atalanta e Lazio che sono attardate, ma che possono dar fastidio per i piazzamenti in Champions League. Perché lo Scudetto si deve “avere il coraggio di sognarlo”, parola di Ibrahimović, ma non è un obbligo. Un obiettivo, però, Maldini e soci l’hanno raggiunto: con gli stadi vuoti, sono stati capaci di ridare entusiasmo ad una tifoseria annichilita e delusa da anni di insuccessi e umiliazioni, cambi di proprietà e mancanza di vision futura. La scorta stradale al pullman verso lo stadio, prima della partita con la Lazio, è un chiaro segnale di amore ritrovato per i colori rossoneri. Il Milan è di nuovo il Milan, il futuro è una terra straniera che tutto il calcio ha voglia di esplorare. Del resto, come cantavano i Queen, “… this rage that lasts a thousand years/ quest’odio che dura da mille anni, will soon be will soon be, will soon be gone/ presto, presto, presto finirà. This is a kind of magic, there can be only one/ Questa è una specie di magia, ne rimarrà uno solo…”.