Home » L’ingiusto 2020 di Tuchel

La gara giocata ieri sera dal PSG contro lo Straburgo sarebbe potuta finire con un 4-0 o uno 0-4, nulla sarebbe cambiato nella decisione del futuro di Thomas Tuchel. Stamattina, alla vigilia di Natale, è arrivato l’annuncio di una scelta che era nell’aria da almeno un mese: il tecnico tedesco è stato esonerato dai parigini, mettendo fine a un rapporto durato due anni e mezzo, a sei mesi dalla scadenza naturale del contratto. Con ogni probabilità, sarà Pochettino ad assumere le redini della panchina, tornando da allenatore nella squadra in cui ha vissuto un paio di stagioni da calciatore: l’ennesima scommessa del PSG per provare a trovare finalmente l’uomo della provvidenza, capace di trasformare i francesi nel club più forte e coinvolgente del mondo. Con obiettivo primario, la conquista della Champions League.

E pensare che soltanto qualche mese fa era stato proprio Tuchel a sfiorare quel successo così tanto desiderato dalla dirigenza qatariota dei parigini. Ad agosto, il PSG si è fermato davanti a un ostacolo quasi impossibile da scavalcare come quello del Bayern Monaco e a Lisbona si è dovuto arrendere al gol di Coman. Dopo aver vinto tutto quello che si poteva ottenere in patria, con treble di campionato (ottenuto in anticipo per la sospensione del campionato, ma ampiamente dominato), Coppa di Francia e Coppa di Lega, mancava solo la Champions League per riuscire a conquistare uno storico poker. Ma il potenziale punto di partenza per provare a vincere ancora di più si è trasformato in quello di non ritorno, con i problemi con la dirigenza che hanno finito per travolgere la squadra.

Tra Tuchel e la società, in particolare Leonardo, i rapporti erano diventati sempre più tesi. Colpa di un mercato non soddisfacente in estate, caratterizzato dal riscatto costosissimo di Icardi (scomparso in questa stagione, tanto da essere sceso in campo appena 5 volte) e principalmente da prestiti (Danilo Pereira, Florenzi e Kean) o acquisti a basso costo come il portiere Sergio Rico e l’ex Inter Rafinha. Frecciatine da una parte e dall’altra, culminate con un’intervista di Tuchel che, secondo l’Equipe, sarebbe stata decisiva per l’esonero: “Ad essere onesti nei primi sei mesi al PSG mi sono chiesto: ‘Ma sono ancora un tecnico oppure un politico o un ministro dello sport? Dov’è il mio ruolo di manager in un club del genere?’ Mi sono detto: ‘Io voglio solo allenare’. Sono diventato un allenatore per questo motivo ed è ciò che sono ovunque io sia. Basta che ci sia un campo dove allenarsi e un lettore DVD per analizzare i video. In fondo, amo il gioco del calcio e posso avere questa soddisfazione in molti modi. Farlo al PSG a volte risulta facile, altre invece è una sfida perché una società come questa ha una serie di influenze al di là del semplice interesse verso la squadra. Amo solo il calcio e in un club come il PSG, non sempre si tratta solo di questo”.

Le tensioni hanno avuto poi evidenti riflessi anche sul campo: non tanto in Champions League, in cui il PSG è riuscito a districarsi al meglio vincendo un girone tutt’altro che scontato con Lipsia e Manchester United; quanto più in Ligue 1, in cui i parigini hanno cominciato a proporre sempre meno sul campo, non riuscendo a controllare come di consueto la vetta e si trovano oggi immischiati in una lotta affascinante con Lione e Lille (ma occhio anche all’Olympique Marsiglia, a -8 dalla vetta ma con due gare da recuperare). Un equilibrio che finalmente dona un minimo d’interesse a un campionato normalmente piuttosto noioso in ottica titolo, ma che non è stato apprezzato dalla ossessionata ambizione della dirigenza degli sceicchi, posti di fronte a una squadra che aveva smesso di girare.

Tuchel chiude il 2020 con un esonero amaro, ma per certi versi quasi cercato. Le sfide lanciate alla società erano diventate troppo grandi per essere tollerabili da parte di una dirigenza che ha un enorme potere politico, oltre che calcistico, e che inevitabilmente si riflette sul campo di gioco. Anche con il record di numero di punti conquistati per partita e un tasso di vittorie in campionato pari al 75.6% (mai così alto nella storia), il tedesco deve salutare al termine di un’annata per lui ingiusta, terminata senza nemmeno l’onore di aver chiuso tra i primi cinque migliori allenatori del 2020 vedendosi scavalcato da Bielsa, Zidane o Lopetegui. Eppure, il “suo” PSG ha saputo creare un raffinato gioco di posizione, ordinato, in cui si chiede applicazione e sacrificio anche alle personalità più complicate: l’apice del successo di questa organizzazione in campo è stato il netto successo per 3-0 contro il Lipsia nella semifinale di Champions League della scorsa estate. Era il 18 agosto: un’eternità fa per Tuchel, che pure avrebbe meritato un finale diverso.