Domenica scorsa è scomparso un altro grande protagonista del calcio europeo degli anni ’80: Otto Baric, per oltre quattro decenni in panchina, è stato un vincente seppur contestato per qualche caduta di stile. La morte, dovuta al Covid-19, è sopraggiunta a Zagabria.
Nato a Klagenfurt (Austria) il 19 giugno 1932 – alcune fonti riportano 1933 – da genitori croati, Otto Baric è cresciuto calcisticamente a Zagabria: la famiglia tornò in Jugoslavia quando aveva appena 4 anni. Qui, con la maglia della Dinamo, scopre il calcio a livello giovanile dopo la fine della seconda guerra mondiale. Passa al Metalac e poi nella Lokomotiva, sempre nella sua città adottiva, dove si esaurisce il suo percorso agonistico nel 1963.
Diventa di fatto subito allenatore, proprio nella società in cui aveva chiusa come calciatore. Al tramonto degli anni ’60 è in Germania con Opel Rüsselsheim e Wiesbaden. Nel 1970 ha il primo assaggio della realtà che gli regalerà le migliori soddisfazioni, quel calcio austriaco capace di farlo tornare nei luoghi dei primi anni di vita. Fa subito il botto, vincendo sulla panchina del Wacker Innsbruck – club oggi sparito dall’atlante calcistico – il massimo campionato per due stagioni di fila e conoscendo le prime ribalte continentali. Vive altre esperienze con il Linz, prima di tornare di nuovo a Zagabria nell’NK. I successivi passaggi nel Vinkovci e alla guida della Nazionale jugoslava di seconda divisione sembrano averlo allontanato da certi livelli. Invece l’Austria lo richiama. Accetta la chiamata dello Sturm Graz.
Il trasferimento che segna inevitabilmente la svolta della sua carriera prende forma nell’estate 1982. Firma con il Rapid Vienna: nel corso di due distinte parentesi – 1982-85 e 1986-88, con in mezzo un intermezzo tedesco a Stoccarda – aggiunge in bacheca tre titoli, altrettante coppe e supercoppe nazionali, sfiorando la vittoria in Coppa delle Coppe. Quello è il Rapid dei vecchi leoni Krankl e Panenka. Nel 1985 ha la meglio l’Everton a Rotterdam, nella finalissima arbitrata dall’italiano Casarin. L’uomo di Klagenfurt diventa una leggenda del sodalizio viennese, inevitabilmente.
Torna allo Sturm, allena anche il Vorwärts Steyr. Però la carriera di Otto Baric sta per incontrare un nuovo momento di gloria, stavolta nell’Austria Salisburgo (abbinata al locale casinò). Tra il 1991 e il 1995 fa vivere alla società vette inesplorate, grazie a due campionati vinti di fila: il Salisburgo di Baric diventa, nel 1994, la prima squadra austriaca a prendere parte alla neonata Champions League. Tutto ciò qualche mese dopo la seconda finale europea persa dal tecnico in carriera, nella doppia finale UEFA con l’Inter. A Baric venne affibbiato il soprannome di “Maximum”, a causa di questa parola ripetutamente utilizzata nelle sue interviste.
Assistant coach di Blazevic sulla panchina della Croazia all’Europeo ’96, Baric vive le ultime fermate a livello di club lavorando per Croatia Zagabria, Fenerbahçe e LASK Linz. Chiude nel calcio guidando tre Nazionali: Austria (1999-2001), Croazia (2002-04, presente all’Europeo) e Albania (2006-07). Otto Baric è finito nell’occhio del ciclone a causa di alcune sue dichiarazioni omofobe ai media. Come quelle rilasciate nel 2004 alla testata elvetica Blick (“I miei giocatori devono essere veri ragazzi. Quindi le persone gay non possono giocare con me, al massimo contro di me“). Nel 2007 fece il bis, intervistato dal quotidiano croato Jutarnji, dichiarò: “So che non ci sono omosessuali nella mia squadra. Riconosco un uomo gay entro dieci minuti e non li voglio nella mia squadra“. A causa di tali dichiarazioni, l’allenatore si attirò l’indignazione internazionale e una multa da parte dell’UEFA.
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