Sembra passata un’eternità dal momento più alto dell’Arsenal di Arteta, la vittoria della FA Cup contro il Chelsea, avvenuta invece appena quattro mesi fa. I sorrisi, l’entusiasmo febbrile e gli sguardi ottimisti verso il futuro della fine della scorsa stagione oggi sono diventati musi lunghi, sfiducia generale e tanto nervosismo nel Nord di Londra, da dove si sta assistendo a una delle annate più sconvolgenti di sempre. Conquistare 13 punti in 12 gare, ritrovandosi a 5 passi dalla zona retrocessione, era qualcosa di anche soltanto inimmaginabile a settembre, quando tutto sembrava essere cominciato per il meglio (vittoria del Community Shield, successi alle prime due gare della Premier League contro Fulham e West Ham). Ma la stagione dei Gunners si sta trasformando lentamente in un crollo verticale senza alcun appiglio a cui aggrapparsi.
La clamorosa sconfitta subita ieri sera contro il Burnley è stata soltanto l’ultima umiliazione di una squadra che sta facendo acqua da tutte le parti. Contro una squadra in piena zona retrocessione, con il 35% del possesso palla e mai seriamente decisa a provare a vincere la gara, l’Arsenal poteva perdere soltanto facendo come ha fatto: mettendosi il pallone in porta da solo e lasciandosi travolgere dal nervosismo. Chiariamoci, non che quanto visto fino all’espulsione di Xhaka (la seconda per reazione violenta nell’arco di un mese dopo quella di Pepé, a testimoniare un clima tutt’altro che sereno) fosse stato soddisfacente, ma è evidente che questa squadra ha evidenti problemi nella gestione dello stress e di un momento che, dentro e fuori dal campo, si sta rivelando pessimo.
Il gioco di Arteta ha perso completamente la verticalità e velocità dei primi mesi e si è trasformato in un accumulo di cross e calci d’angolo che puntualmente finiscono per essere sventati dalle difese avversarie senza nemmeno troppi affanni. Il tecnico basco, teoricamente cresciuto nella scuola di Wenger e Guardiola (non certo famosa per il gioco aereo), ha esaltato pubblicamente questo stile di gioco, come se essere al primo posto nella classifica dei cross (263) dovesse ottenere un riconoscimento. Piuttosto, questa passione per i traversoni ha ricordato a qualcuno i fallimentari tempi di Moyes al Manchester United, l’esempio da cui Arteta avrebbe dovuto trarre meno ispirazione, pur essendo stato suo allenatore nei tanti anni all’Everton.
I risultati sono davanti agli occhi di tutti: quindicesimo posto in classifica con appena 10 gol fatti (soltanto Burnley, WBA e Sheffield United hanno fatto peggio) con un attacco che teoricamente conterebbe nomi come Aubameyang, Lacazette e Willian. Se a ciò aggiungiamo le prime voci di uno spogliatoio fratturato (con Luiz pare non ci sia nemmeno più un dialogo con l’allenatore), una squadra nervosa e profondamente delusa dai trattamenti riservati a due leader simbolici della squadra come Özil e Papastathopoulos, di fatto messi ai margini della rosa in attesa del loro addio, capiamo perché i Gunners si stiano rendendo protagonisti della peggior partenza dal 1974.
La questione è ora davanti agli occhi di tutti: l’attuale rosa dell’Arsenal non c’entra assolutamente niente con i piani di Arteta. In estate erano state fatte promesse di rivoluzione, ma di fatto quasi nessuno se ne è andato della squadra dello scorso anno, finendo per trattenere giocatori in scadenza di contratto o a fine ciclo (Mustafi, Kolasinac, Papastathopoulos, Xhaka, Özil, Lacazette e così via) e aggiungendo due acquisti di spessore come Thomas e Gabriel e un altro di convenienza come Willian. Insomma, un mostruoso mix tra vecchio e nuovo che, inevitabilmente, sta crollando su se stesso.
Arteta non è esente da colpe, perché finora le idee sono state poche e molto teoriche, oltre ad aver mostrato uno spirito di adattamento quasi nullo all’attuale rosa e tante scelte restano incomprensibili: come spiegare, per esempio, la tolleranza zero verso Guendouzi e Özil, messi ai margini per comportamenti ritenuti non adeguati in allenamento, e invece la pazienza infinita verso le prestazioni da incubo dei vari Bellerin, Xhaka, Pepé o Willian? Questa incoerenza di fondo la squadra la percepisce e la verità è che Arteta non ha una vera soluzione in mano perché la rosa non ha abbastanza alternative credibili per il calcio che vuole proporre.
In tutta questa vicenda, si inserisce una dirigenza confusionaria, che in estate ha pensato più che altro a cancellare il passato con licenziamenti a valanga, per far spazio a nuove leve, evidentemente non così innovative (come l’idea di coinvolgere il super agente Kia Joorabchian, che è servito finora per piazzare un Willian ormai a fine carriera al Chelsea). Su una cosa tutti sembrano però d’accordo: fiducia totale ad Arteta e carta bianca per ricostruire la squadra. Il problema è che è stata annunciata già una rivoluzione che teoricamente partirà in parte a gennaio e soprattutto in estate: come gestire in mezzo una squadra che deve comunque giocare la sua stagione ma sa già di non avere un futuro?
È proprio qui che la dirigenza dei londinesi dovrà essere decisa su cosa fare. Se si punterà su Arteta, bisognerà assecondare le sue richieste il prima possibile, allontanando chi non fa più parte del progetto o semina discordia nello spogliatoio. Se si ritiene invece di dover salvare la stagione in qualche modo e valorizzare l’attuale rosa, il basco non è più l’uomo adatto e, a un anno dal suo arrivo, bisogna già pensare a come sostituirlo (ma è davvero utile questo continuo ricambio di allenatori per una squadra vittima dei suoi stessi errori da anni?). Scelte di mezzo non sono accettabili, o almeno non più. Perché la permanenza in Premier League potrà non essere messa in dubbio, per ora; ma per una società dalla storia ma soprattutto dal business dell’Arsenal chiudere in un’anonima metà classifica è un fallimento, non tanto di meno di una clamorosa retrocessione.