Non è più un mistero, oggi, che lo sport possa essere uno straordinario strumento politico, a volte persino di vera e propria propaganda. La storia è piena di esempi di uomini politici, moderati e a volte anche estremisti, che hanno fatto uso delle attività sportive per trovare legittimazione e popolarità agli occhi della popolazione nazionale ed estera, ma anche per più semplici scopi elettorali. Ed è proprio per quest’ultimo fine che il futuro presidente della Repubblica francese Valéry Giscard d’Estaing, scomparso ieri sera, decise di mettersi in gioco in prima persona in uno sport in particolare, per certi versi anticipando di qualche anno quello che faranno altri politici di spicco: il calcio.
Nel giugno 1973, nella piccola città di Chamalières si giocava una partita singolare: commercianti della città contro dipendenti del Comune. Tra i secondi, compariva anche il nome di Giscard d’Estaing, ai tempi Ministro delle Finanze del governo Messmer (con Pompidou presidente) ma anche Sindaco della città dal 1967 e per questo scelto come ovvio capitano della sua squadra. All’apparenza, sembrava una partita tra amici come tante altre: campo in condizioni pietose, abbigliamento improvvisato, giocatori ben al di sotto di qualsiasi livello che possa definirsi decente. E, invece, quella sfida a prima vista così ingenua era stata finemente organizzata e calcolata dal Comune stesso: era la politica la ragione profonda di quella gara.
Davanti a un discreto numero di persone, ma soprattutto alle telecamere che hanno permesso di conservare le immagini fino a oggi, Giscard d’Estaing fece i suoi primi passi (di fatto gli unici di cui si ha una prova visiva) nel mondo del calcio. La prestazione lasciò a desiderare: dall’alto del suo metro e 89, l’allora Sindaco venne descritto “dritto come una I, teso come un arco, assolutamente non a proprio agio”. A pochi minuti dalla fine, la squadra da lui capitanata era pure in svantaggio per 2-1. Poi, il colpo di scena: un difendente della squadra dei commercianti toccò il pallone in area con la mano in maniera anche fin troppo goffa per non essere sospetta e l’arbitro assegnò il rigore.
Ovviamente, la trasformazione dagli undici metri toccò a Giscard, che non ebbe problemi a trasformare il 2-2 finale con il portiere rimasto immobile sulla riga di porta. L’intervista a fine partita negli spogliatoi, a torso nudo, completò l’opera di comunicazione. Il futuro presidente, che si sarebbe candidato alle elezioni soltanto pochi mesi dopo, si lasciò andare a una conversazione amichevole con il giornalista, concludendo in grande stile: “Un Ministro delle Finanze è un francese come tutti gli altri”. E, come già faceva un numero crescente di francesi, anche lui giocava a calcio.
Alla metà degli anni ’70, infatti, il calcio stava diventando sempre più popolare in Francia. Dopo una fase di relativa stagnazione negli anni ’60, questo sport aveva registrato un aumento impressionante di partecipanti: da 700mila agli inizi del ’70 ai 1.4 milioni del 1980. Merito dell’arrivo e la diffusione della televisione a colori, ma soprattutto del calcio stesso. Erano gli anni d’oro del Saint-Étienne, squadra di una città industriale che dominò gran parte del decennio all’insegna di un gioco elegante (salva la presenza ingombrante del Marsiglia) e che sfiorò la vittoria della Coppa dei Campioni, finendo per perdere in finale contro il Bayern Monaco. A quella disfatta assistettero circa 30 milioni di francesi e l’accoglienza calorosa offerta dai tifosi ai giocatori di rientro da Glasgow era il più chiaro segno che il calcio stava diventando una vera e propria passione.
I precedenti presidenti della Quinta Repubblica non avevano mai prestato grande attenzione a questo sport: de Gaulle era totalmente disinteressato al mondo sportivo, mentre Pompidou era appassionato di corse automobilistiche senza praticare attività particolari. Giscard d’Esteing aveva avuto dunque un’intuizione unica al suo tempo: sfruttare, appunto, la popolarità del calcio.
La partita contro i commercianti, in realtà, non aveva un fine elettorale in senso stretto anche perché la sua presentazione come candidato del centrodestra arrivò soltanto nel pieno della confusione creata dalla morte di Pompidou; serviva, più che altro, per liberare Giscard d’Estaing da quell’aura da personaggio nobile e lontano dal popolo dovuta alla sua provenienza aristocratica in un’epoca di enormi cambiamenti sociali. E le dichiarazioni a fine partita sembravano anticipare i futuri comizi elettorali, quando proverà a presentarsi come uomo vicino ai cittadini, una sorta di “monsieur tout le monde”. E in effetti, alla fine, Giscard d’Estaing riuscì a vincere, rimanendo presidente fino al 1981, seppur con qualche errore di comunicazione. Anche legato al calcio.
Nonostante i propri tentativi (o forse proprio alla luce di questi, vista la prestazione messa in mostra nella partita giocata), Giscard d’Estaing non riuscì mai davvero a fornire un’immagine convincente di amante di sport popolari. Il presidente francese si mostrava ben più a suo agio negli sport con cui era cresciuto, come sci o il tennis. Qualche anno dopo l’elezione, Giscard d’Estaing comparì persino sulla prima pagina del Tennis Magazine mentre giocava, mostrandosi con una buona posa e tenendo correttamente in mano la racchetta. Altra immagine rispetto a quella mostrata visto sul campo da calcio.
Per non parlare della vera passione che il presidente renano aveva, pur essendo costretto a tenerla nascosta: la caccia grossa, un’attività che richiamava alla mente le monarchie. Ma sarà la moglie Anne-Aymone Giscard d’Estaing a confermare in seguito quello che già un po’ tutti immaginavano: il marito, in realtà, non era un grande fan del calcio e non ci giocava molto spesso. Ai tempi, però, l’idea sembrò essere convincente. Al punto di ispirare anche futuri presidenti: da Chirac, presidente della Francia campione del Mondo nel 1998, a Sarkozy, tifosissimo del PSG, fino ad arrivare a Hollande e Macron. Tutti accomunati da un grande interesse (stavolta sincero, a tratti persino esagerato) per il calcio, inteso ora come passione sportiva, ma anche strumento politico.