Come si festeggiasse l’arrivo del Bambin Gesù. Nasce a Rosario, la ciudad del fùtbol per eccellenza, la patria di Marcelo Bielsa, Leo Messi e di quel “trinche” Carlovich, di cui poco sappiamo, soltanto perché la sua follia ha superato di gran lunga gli approcci al pallone. E che per molti, compreso Diego, sarebbe stato il più grande calciatore di sempre, se non se ne fosse andato a pescare quel giorno che Luìs Menotti lo chiamò nella Selecciòn argentina per disputare il mondiale del 1978 in casa. Guarda caso, scomparso lo scorso 8 Maggio, in questo 2020 che davvero può esser considerato ora la morte del calcio. Ma non divaghiamo. Promotori ufficiali di questo culto, che prende piede ufficialmente nel 2001, alcuni giornalisti argentini, tra cui Hernàn Amez, Alejandro Veròn, Héctor Capomar, Federico Canepa. Per questi signori, per i quali evidentemente le date da fissare erano importanti, il 30 Ottobre 1960 diventa quindi l’”anno zero”. C’è stato un prima e un dopo Cristo, ci dev’essere anche un prima e un dopo Maradona. Il calcio com’era prima, il calcio come sarebbe stato dopo. Il 2020, quindi, diventa il 60 d.D. (después Diego).
Vabbè, goliardata? Con 820mila iscritti, in 60 Paesi nel mondo e in 600 città, questo è diventato più che un gioco: una vera e propria religione. Tra i seguaci “vip” (etichetta orribile, ma tant’è) il suo scopritore, Francisco Cornejo, e tanti grandissimi campioni e calciatori, tra cui Emanuel Ginòbili, Ronaldinho, Michael Owen, Juan Romàn Riquelme (definito da tutti come il suo figliocco Xeneize) e, ovviamente, il suo erede universale più prospicente, colui che lo ha sempre guardato con occhi di emulazione: Lionel Messi. Cui non manca il talento, ma il carisma che ha avuto Diego. Quello no, purtroppo è questione di carattere e anche di contesto di crescita. Se Diego ha affrontato la fame di Villa Fiorito, il piccolo Leo ha potuto, ad un certo punto, vivere dalla Spagna gli anni della sua adolescenza, in modo sicuramente meno traumatico. Lo stesso Maradona, da profeta qual è sempre stato, ha voluto rivolgere un messaggio, che sa di mistico, ai suoi adepti: “Ai fondatori di questo movimento e ai tifosi coinvolti, vi ringrazio di cuore per tenermi così presenti nella vostra mente e nel vostro cuore. Grazie”.
Un sincretismo di ideologie, un Dio che è stato uomo in mezzo a noi e che non contrasta con il cristianesimo, come spiega bene Alejandro Veròn: “Noi abbiamo un Dio razionale e un Dio passionale, che è sempre Diego Maradona”. Un mortale che gioca a pallone, un D10S che, secondo il credo maradoniano, deve essere sempre mantenuto vivo con il ricordo delle sue gesta e l’ammirazione per i suoi gol. Esistono anche due sacramenti ufficiali: il Battesimo e il Matrimonio.
Il primo, viene sancito con un giuramento sull’autobiografia dell’argentino “Yo soy el Diego” seguito dall’imitazione con la mano del gesto con cui Maradona beffò Shilton nel mondiale messicano. Il secondo, viene celebrato ovviamente su un campo di calcio e sempre con un giuramento, non solo sul libro, ma anche su un pallone e ci si scambia gli anelli davanti al poster del Pibe de Oro. La formula, benchè possa risultare blasfema ai più sensibili, ricalca quella classica cristiana:
“In nome della Tota, don Diego e il frutto del suo amore, Diego, Diego. Siamo riuniti in questo tempio maradoniano per riaffermare il compromesso d’amore attraverso la Chiesa Maradoniana dei nostri fratelli. Promettereanno davanti all’altare e alla culla dell’onnipotente Diego fedeltà maradoniana, proclamando davanti a tutti che Diego fu, è e sarà sempre il dio del calcio”.
Segue la preghiera “Diego Nostro”:
“Diego nostro che sei nei campi
sia santificato il tuo sinistro,
venga a noi il tuo calcio e la tua magia,
siano ricordati ed esaltati i tuoi gol,
come in Cielo e così in Terra.
Dacci oggi la nostra gioia quotidiana,
perdona gli inglesi,
rimetti ai giornalisti i loro debiti,
come noi li rimettiamo alla mafia napoletana
e non ci indurre in fuorigioco,
ma liberaci da Joào Havelange,
Diego”.
La domanda fatidica, prima per la sposa e poi per lo sposo: “Prometti di amare per sempre il tuo compagno e di essere fedele ai principi della Chiesa maradoniana, proclamando che Diego, il nostro Dio del calcio, fu, è e sarà sempre il miglior giocatore di tutti i tempi?
Sposa – “Sì, lo prometto”
Stessa domanda per lo sposo
Sposo – “Sì, lo prometto”
“La chiesa maradoniana vi dichiara marito e moglie. Puoi baciare la sposa. Ricordate che la palla non si macchia”.
Non possono mancare, ovviamente, i Dieci Comandamenti maradoniani:
Il pallone non si sporca, come ha proclamato D10S nel suo libro
Ama il calcio sopra tutte le cose
Dichiara il tuo amore incondizionato per il calcio
Difendi la maglia dell’Argentina, rispettando la gente
Diffondi la parola di Diego Maradona in tutto l’universo
Loda i templi dove predicò e i loro manti sacri
Non proclamare il nome di Diego in nome di un unico club
Segui i principi della Chiesa maradoniana
Usa Diego come secondo nome e chiama così uno dei tuoi figli
Non essere una testa da boiler e non farti scappare la tartaruga
Altre preghiere sono il “Credo” e il “Salve D10S” e c’è anche la Pasqua maradoniana, festeggiata per la prima volta nella storia il 22 Giugno 2002. Non una data qualsiasi, bensì il giorno della “Mano de Diòs”, il simbolo della resurrezione argentina dalla sofferenza per le perdite alle Isole Malvinas, nella sanguinosa ed evitabile guerra con gli inglesi. E Maradona, in effetti, ha rappresentato proprio questo: la rinascita di un Paese che voleva dimenticare in fretta la dittatura feroce di Videla, sperare di poter riabbracciare le migliaia di desaparecidos strappati alle “madres de Mayo” e ritrovare sé stesso e la propria dignità. Attraverso il calcio, Diego ha ridato fierezza al suo popolo. Normale che poi questo spirito tocchi vette mistiche e diventi una religione? La risposta è sì, contro ogni razionalità.
Questo 2020 ha portato via all’Argentina prima Tomàs “Trinche” Carlovich e poi Diego Armando Maradona e può ora essere dichiarato ufficialmente l’anno della morte del calcio. Ma mi piace pensare che quei due siano ora lassù, a bere, fumare e farsi grasse risate. E la domenica, magari, giocare insieme in 4-3-2-1 ad “Albero di Natale”. Loro due, i dieci, dietro un’unica punta: Alfredo Di Stefano. Amèn.