Triestino di nascita, Romeo Anconetani si era diplomato in disegno artistico nel 1939. Dopo la guerra si era trasferito in Toscana e aveva assunto l’incarico di segretario de Le Signe, squadra militante in IV serie. Poi era cominciato un vero e proprio girovagare nella regione che lo aveva adottato. La sua ascendente carriera dirigenziale ebbe però un brusco stop nel 1955, allorché venne radiato dalla federazione per una vicenda di illecito sportivo. Qualche anno dopo, quando era al Prato in veste di consulente del presidente Frati, venne coinvolto, stavolta come parte lesa, in un’altra situazione di illecito sportivo. Che riguardò, scherzo del destino, il Pisa: Anconetani testimoniò di aver ricevuto pressioni per aggiustare il risultato di Prato-Pisa – poi terminata 1-0 a favore dei padroni di casa – e ai nerazzurri furono inflitti dieci punti di penalizzazione.
Anconetani è stato indubbiamente un precursore. Negli anni ’50 ebbe due intuizioni geniali, che sussistono ancora oggi: ideò il sistema della prevendita dei biglietti (quando era dirigente dell’Empoli) e istituì i treni speciali per i tifosi. Qualche anno più tardi, con il fardello della radiazione sulle spalle, si reinventò consulente-mediatore di mercato, aprendo un ufficio a Livorno. La sua capillare attività di ricerca e di mediazione divenne preziosa per molte squadre. Si dice che possedesse un archivio aggiornatissimo, in cui inseriva i dati e la media-voto dei giocatori sparsi per il mondo. E fu questa sua attività di consulenza che gli fece guadagnare l’appellativo di “Signor 5%”: questa era infatti la percentuale che Anconetani guadagnava sulla singola operazione che contribuiva a portare a termine.
Acquistò il Pisa nell’estate del 1978 per 300 milioni di lire. “La società era in liquidazione, alcuni amici sono venuti a cercarmi a casa, ho preso la cosa come una barzelletta”, dichiarò in un’intervista. Vista la radiazione non poteva ricoprire la carica di presidente, così fino al 1982 (anno in cui gli venne concessa la grazia) fu il figlio Adolfo a figurare come proprietario del club. Ma naturalmente era Romeo Anconetani a tessere ogni tela. Riuscì a portare il Pisa in Serie A dopo più di sessant’anni, nella stagione 1981-82. E nell’epoca di maggior splendore fece affari preziosi, scovando talenti in giro per il mondo e rivendendoli a peso d’oro. Il centrocampista danese Klaus Berggreen e l’attaccante olandese Wim Kieft, ceduti rispettivamente a Roma e Torino, ne furono due fulgidi esempi. Senza scordare – in epoche diverse – i vari Dunga, Simeone, Larsen e Chamot.
Era il padre padrone che coccolava i giocatori come figli ma che il giorno dopo li rimbrottava pesantemente. Celebri erano i suoi ritiri punitivi, rispolverati costantemente in seguito a una sconfitta. Amava essere al centro dell’attenzione, difficilmente delegava. Il rapporto con i giornalisti era spesso teso, basato su parole al vetriolo e invettive taglienti, aspre come la sua voce. La tifoseria nerazzurra, invece, ne riconosceva i meriti e il carisma. Oltre alla riconoscenza per aver riportato il Pisa in Serie A, veniva apprezzata la sua schiettezza, anche se i suoi metodi non erano propriamente ortodossi.
Ma non mancarono i momenti di tensione, soprattutto nella parte conclusiva della sua esperienza pisana. Nella stagione 1991-92 Anconetani promosse un progetto di fusione tra Pisa e Livorno (la società avrebbe dovuto chiamarsi Pisorno), che creò scompiglio in città. Nel ’93 fu ferito da una bottiglia lanciata dai suoi stessi tifosi, nel ’94 uscì di scena trascinando con sé la società, che fu dichiarata fallita a causa del grave dissesto finanziario. In una delle sue ultime interviste da presidente dichiarò: “Molti mi considerano un istrione, un cialtrone. Non lo merito. Sono un uomo decisamente migliore”. Sicuramente era un uomo controverso, dal carattere forte e a volte prepotente. Ma rimane un personaggio che ha fatto la storia del calcio italiano e che è riuscito, con arguzia e furbizia, a essere un passo avanti rispetto agli altri.