Negli ultimi mesi, il centro mediatico mondiale riguardo alle battaglie contro il razzismo sono stati senza troppi dubbi gli Stati Uniti. L’episodio legato all’uccisione di George Floyd ha scatenato proteste estremamente vaste, finite per arrivare anche in altri continenti. Ma c’è anche un Paese che, molto più silenziosamente, combatte questa battaglia ogni giorno da tempo altrettanto immemore, con storie e immagini di aggressioni, violenze e abusi da parte delle forze di polizia verso la comunità nera: il Brasile.
L’ultimo, drammatico episodio è avvenuto la scorsa notte: il 40enne João Alberto Silveira Freitas sarebbe stato picchiato a morte da due guardie nel parcheggio di un Carrefour di Porto Alegre. C’è anche un video di pochi secondi che testimonia l’aggressione, ma i racconti più agghiaccianti arrivano dai primi rapporti: l’uomo è stato colpito più volte alla testa, per poi chiedere ai due assassini di fermarsi perché le ginocchia sul petto non gli permettevano di respirare. Fino alla terribile morte, che ricorda in tutto e per tutto proprio quella di George Floyd.
Una notizia che sarebbe forse passata ancora una volta nel silenzio più totale, se non fosse stata raccontata da due importanti fonti. La prima, quella degli Os Farrapos del São José, la tifoseria di cui “Beto” faceva parte; la seconda, ben più forte sul piano mediatico, è stata quella dell’attaccante dell’Everton e della Nazionale brasiliana Richarlison: “Sembra che non abbiamo via d’uscita, nemmeno nel giorno della Consciência Negra. In effetti, quale coscienza? Hanno ucciso un uomo nero, picchiandolo davanti alle telecamere e hanno registrato. Non c’è più pudore o vergogna di ammazzare o registrare. Le morti di George Floyd, João Pedro, Evaldo Santos sono state vane?”.
Una condanna dura che arriva da parte di un giocatore socialmente molto impegnato, memore della povertà e il disagio di una gioventù vissuta nelle favelas: soltanto qualche giorno fa aveva dato enorme pubblicità alla situazione dello Stato di Amapà, dove molti comuni sono senza acqua e corrente elettrica da due settimane, nonostante l’emergenza sanitaria. È diventato anche ambasciatore dell’USPVida per aiutare la scienza universitaria a trovare soluzioni contro il Covid-19, pubblicando link per le donazioni e riuscendo a raccogliere 3 milioni di Real brasiliani; ha preso posizione su tanti casi che hanno riguardato vittime di razzismo, ma anche sul recente incendio che ha fatto danni enormi nel Pantanal, con accuse anche pesanti verso le autorità nazionali.
Ma l’uccisione di Beto arriva proprio nel giorno della ricorrenza dedicata alla Consapevolezza Nera: una giornata creata nel 2003 e istituzionalizzata solo nel 2011 (anche se le prime celebrazioni risalgono già alla seconda metà degli anni ’70), a ricordare la morte nel 1695 di Zumbi dos Palmares, uno dei più importanti leader neri del Brasile che si batté per la liberazione del popolo contro il sistema schiavista. Proprio quel sistema eliminato formalmente nel 1888, ma che porta con sé ancora oggi strascichi evidenti nella società: come raccontato da molti autori, scrittori e giornalisti, il razzismo non è comune soltanto tra gli organi di polizia, ma è profondamente radicato nell’anima stessa del Paese.
Lo testimoniano anche i numeri: secondo l’Institute of Public Safety, lo scorso anno soltanto nello stato di Rio de Janeiro, 1814 persone sono state uccise sparate da ufficiali di polizia, con il 75% delle vittime appartenenti alla comunità nera. La polizia brasiliana è ormai nota nel mondo per avere uno dei tassi più alti di uccisioni provocate. Nonostante le ondate di proteste di questi anni, il governo Bolsonaro non ha fatto nulla per cambiare la situazione. Senza troppe sorprese, in realtà, considerando le uscite pubbliche del presidente, famoso per aver espresso delle posizioni apertamente razziste e omofobe. E che, sul caso di “Beto”, ovviamente non ha pronunciato nemmeno una parola.
Anzi, a vedere i social di Bolsonaro sembrerebbe essere stata pure una bella giornata forse, perché a casa si ritroverà con un regalo di prestigio: una maglia del Santos con tanto di dedica da parte di Pelé. Il presidente brasiliano ha pubblicato la foto sui propri portali, facendo quello che tanti uomini politici hanno già fatto in passato: usare lo sport come straordinario strumento di propaganda. Ma il presunto endorsement di Pelé verso un politico che nulla ha fatto per risolvere questa situazione, se non è finito addirittura a ostacolarla, pur stupendo i più, non è la questione centrale. Perché secondo fonti come UOL Esporte, la dedica sarebbe stata fatta nei giorni scorsi su richiesta del Ministro dell’Istruzione Milton Ribeiro e solo oggi pubblicizzata: secondo alcuni, una voluta provocazione proprio nella giornata della Consapevolezza Nera. Insomma, quella foto è diventata una straordinaria arma per cancellare mediaticamente anche questa vicenda, diventata anche più scomoda vista la ricorrenza. Una scelta, quella di Bolsonaro (o meglio: di chi dirige i suoi canali social) quantomeno sospetta, quasi a voler contrastare proprio la voce di chi, come Richarlison, non rinuncia a denunciare ancora violenze e mancanze dello Stato.