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La storia del calciatore 14enne Doudou e di un sogno europeo sprofondato nell’Atlantico

Dall’Africa verso l’Europa, in cerca di un sogno da realizzare sulle orme dei grandi campioni dello sport. Da quel percorso sono passate tante storie di vita e di riscatto, di persone che hanno lasciato tutto nella speranza di poter tornare un giorno da eroi nel proprio Paese. Chiunque giochi a calcio, soprattutto durante l’infanzia, ha il sogno di diventare un calciatore professionista ed è qualcosa che rende così straordinariamente simili i giovani sportivi di tutto il mondo, pur con le enormi differenze di vita esistenti da una parte all’altra del pianeta. E pur di raggiungere quell’obiettivo, si è disposti a fare tutto, soprattutto se i tuoi primi anni ti hanno regalato soltanto povertà, frustrazioni e miseria. Si vive la propria gioventù con le imprese dei vari Drogba, Eto’o, Mané negli occhi e si sogna di ripeterne il percorso. Ma inseguendo quel sogno, in tanti finiscono per accorgersi che quella strada è tutt’altro che agevole. E le storie di gloria finiscono per farci dimenticare quelle dei tanti che non ce la fanno e che, invece della fortuna di diventare un calciatore professionista, vanno incontro a un destino drammatico, perdendo la scommessa su cui si era ormai fondata interamente la propria vita.

“Doudou” Faye aveva 14 anni e anche lui sognava di giocare nel calcio europeo, per diventare ricco e famoso e aiutare la famiglia. Nato a Mbour, a 80 chilometri a sud di Dakar, il ragazzo aveva dimostrato sin da giovane un certo talento con il pallone tra i piedi. Anche per questo, era finito a giocare nel centro di formazione di Saly, una stazione balneare vicino alla capitale dotata di un istituto sportivo aperto nel 2003 su impulso di leggende del calcio come Jimmy Adjovi-Boco, Bernar Lama e Patrick Vieira, con l’obiettivo di formare i più interessanti talenti del Paese. Alla Diambars Academy, come spiegò proprio Vieira, si provava ad accompagnare alla crescita calcistica anche lo sviluppo educativo dei giovani, per difenderli da chi prova a coinvolgerli con sirene ingannatrici e per garantire loro un eventuale futuro anche per una carriera diversa da quella sportiva.

Ma il padre di Doudou si era ormai convinto che Saly fosse troppo piccola per il figlio, per cui vedeva un futuro decisamente più luminoso: diventare un calciatore di successo a Parigi, Milano o Londra. Ed era così convinto del talento del figlio che, per bruciare le tappe, ha finito per fargli lasciare il nido sicuro della Diambars Academy ed è finito nella trappola di chi svende i sogni di giovani africani per fare loschi affari. Dei trafficanti, vestiti da presunti osservatori, si sono presentati chiedendo 250mila franchi (circa 380 euro) in cambio della garanzia di trasformare il ragazzo nel più grande giocatore della sua generazione: avevano fatto capire che un club italiano, secondo quanto emerso dalle prime inchieste, fosse pronto ad accogliere a braccia aperte il talento di Doudou. Nessuna autorità ha finora confermato l’esistenza di questa offerta: con ogni probabilità, il padre e suo figlio sono caduti nell’ennesima trappola usata dai trafficanti per riuscire a coinvolgere nella propria rete più persone possibili. Ma in un Paese prossimo al collasso, pesantemente colpito dalla crisi economica e dalla scomparsa dei turisti dopo la crisi sanitaria, si è disposti a pagare qualsiasi prezzo pur di guadagnare soldi. Anche quando l’oggetto di scambio diventa la vita dei propri figli.

Alla fine di ottobre, il padre del giovane ha trovato la cifra richiesta e ha pagato i trafficanti. Il piano era chiaro: Doudou sarebbe stato trasportato in Spagna su un barcone, con scalo alle Canarie. Da lì, altri collaboratori avrebbero permesso il passaggio in Francia o in Italia. Solo il padre, però, sapeva di questo viaggio. Nemmeno la moglie era stata messa al corrente, privandola della possibilità di salutare per l’ultima volta il proprio figlio. Lasciato da solo e terrorizzato, Doudou è stato fatto salire insieme ad altri migranti, tutti ammassati, su una piccola barca nell’oceano Atlantico, partita dalle coste occidentali dell’Africa. Un viaggio pericoloso e disperato, ma che resta pur sempre l’ultima carta che tante persone si ritrovano a potersi giocare nella speranza di una vita migliore.

Ma il piccolo Doudou non riuscirà mai a concludere quella traversata. Il giovane si è ammalato poco prima della partenza e i trafficanti non hanno fatto nulla per aiutarlo. Nemmeno la sua straordinaria forza di volontà e i sogni di un futuro migliore hanno potuto salvarlo da una condizione ormai disperata. Secondo la versione ufficiale, gli altri passeggeri lo hanno gettato in mare già morto, come accade drammaticamente durante queste traversate. L’Atlantico è diventato per l’ennesima volta tomba di una vita spezzata mentre cercava di riscattare la sventura di essere nati nella parte “sbagliata” del mondo.

La storia di Doudou ha sconvolto il Senegal. È diventato il simbolo di un Paese in difficoltà, ma anche dei drammi legati ai viaggi verso l’Europa di tanti migranti. In questi giorni, più di 1500 sono stati intercettati sulle coste del Paese e decine sono le storie comuni a quella del giovane calciatore. Il padre di Doudou è stato arrestato mercoledì scorso per omicidio colposo e complicità nel traffico di migranti. “Si chiamava Doudou, aveva 14 anni. Suo padre l’ha piazzato su un barchino per dargli una possibilità di successo nella vita. L’Atlantico l’ha bevuto in un solo sorso, come mille altri nostri giovani inghiottiti dal Grande Blu”, ha scritto su Facebook il regista senegalese Maky Madiba Sylla, a testimonianza di una tragedia che si consuma giorno dopo giorno, cancellando le vite di chi sogna, legittimamente, un futuro migliore ed è pronto a tutto per ottenerlo.