Così l’UEFA è arrivata a squalificare l’addetto stampa del Qarabağ (ma è la punta dell’iceberg)
“Noi azeri dobbiamo uccidere tutti gli armeni – bambine, donne e anziani. Dobbiamo ucciderli senza fare distinzione. Nessun rimpianto. Nessuna compassione”. Quello scritto dall’addetto stampa del Qarabağ, Nurlan Ibrahimov, è un messaggio diretto, disumano, accecato da un odio etnico profondo che è alla base della una nuova, sanguinosa esplosione del conflitto tra Armenia e Azerbaigian per il territorio del Nagorno-Karabakh. Non gli erano bastate nemmeno simili dichiarazioni d’odio: aveva continuato con altri post, giustificando il genocidio armeno commesso dalla Turchia commesso nel 1915 e 1916, uno dei massacri più oscuri e anche sconosciuti dello scorso secolo.
Oggi l’UEFA, dopo aver ricevuto la denuncia dalla Federcalcio armena (che chiedeva addirittura l’espulsione del Qarabag dal calcio europeo), ha comunicato di aver squalificato temporaneamente dal calcio Ibrahimov, punendo giustamente un simile discorso d’odio. Non è bastata la giustificazione ufficiale presentata anche dal club azero, secondo cui l’addetto stampa sarebbe rimasto traumatizzato mentre guardava dei filmati del conflitto in corso, con anche immagini di donne e bambini morti nelle città azere di Ganja e barda: sullo sfondo di un conflitto che ha già causato almeno 1000 morti dal suo nuovo inizio lo scorso 27 settembre, i toni e le parole di Ibrahimov sono intollerabili a livello umano, ancor prima di quello sportivo.
Ibrahimov, in realtà, è soltanto la punta dell’iceberg della durissima campagna mediatica portata avanti dal Qarabağ in questi mesi di conflitto. Come scrivemmo in un nostro approfondimento sul tema, questo club è senza dubbio uno dei maggiormente toccati dalla guerra del Nagorno-Karabakh: il Qarabağ è, al Susa Futbol Club, una delle società storiche della regione contesa con l’Armenia. Nel 1993, infatti, il club fu costretto ad abbandonare la propria città di fondazione, Agdam: centro ufficialmente azero, ma che de facto passò sotto occupazione armena a partire dal luglio di quell’anno, rimanendo così escluso dalla sovranità del governo azero. Il Qarabağ non si ritrovò soltanto senza città, ma anche senza stadio, visto che l’Imrat venne bombardato dalle forze armene durante i combattimenti, vedendosi costretto a trasferirsi a Baku, mentre l’allenatore del tempo Bagirov moriva in guerra. Solo nel 2009, il club si è riavvicinato a “casa”, passando a Quzanlı, nel distretto di Agdam.
Sin dai primi giorni del conflitto, il Qarabağ ha riportato sui propri canali social una vera e propria cronaca delle conquiste dell’esercito azero di queste ore, mentre il centrocampista Qara Qarayev rilasciava un messaggio dai forti sentimenti nazionalistici, con accompagnata una foto piuttosto eloquente: “Questo è il giorno più importante della mia vita. La notizia che i miei genitori e parenti torneranno alla propria città natale è un evento molto importante per me. Non posso esprimere a parole la gioia per la liberazione della mia città natale dai nemici. La bandiera azera sarà presto alzata in Karabakh e Scusa. Sono orgoglioso del nostro esercito e del nostro popolo. Oggi è un giorno di unità e uguaglianza. Che Dio ti protegga, soldato azero!”
Non sono mancati nemmeno i messaggi di esplicito sostegno al presidente Aliyev, noto ormai nel mondo per la sua politica fortemente autoritaria. Il conflitto per riappropriarsi del Nagorno-Karabakh è soltanto l’ultima esplicitazione di un forte nazionalismo che ha caratterizzato la sua presidenza sin dagli inizi, dall’ormai lontano 2003. In questo senso, il Qarabag è diventato rappresentante sul piano mediatico di questo fervente orgoglio nazionale, trasformando il calcio in una vera e propria questione politica. Anche in campo, non sono mancate le foto che rappresentavano i giocatori del club azero mentre facevano il saluto militare, in onore di chi è al fronte a combattere.
Stasera, tra l’altro, il Qarabağ tornerà in campo in Europa League nella trasferta turca contro il Sivasspor. Una rivalità che, di fatto, si limiterà al campo, perché la Turchia è da sempre storico alleato dell’Azerbaigian sulla questione del conflitto del Nagorno-Karabakh e in questi mesi non sono mancati i messaggi di sostegno da entrambe le parti, pure attraverso le società calcistiche. E l’accoglienza ricevuta dal Qarabag all’aeroporto di Sivas ne è stata una chiara testimonianza: alla presenza del Governatore della Città, sono stati offerti fiori, una bandiera turca e un Corano all’allenatore Gurbanov, con un coro che ha cantato in sequenza gli inni nazionali di Azerbaigian e Turchia.