L’ultima volta che la Lazio ha calcato il prato della Champions League, tredici anni fa, Simone Inzaghi non c’era, perché Lotito lo aveva mandato in prestito all’Atalanta. E dire che, da giocatore, è sempre stato a suo agio a sentire la musichetta più affascinante del calcio. Ricordate il poker al Marsiglia? E invece a godersi la competizione fu Igli Tare, anche lui ancora parte del gruppo squadra (ultima stagione pre-ritiro) gestito allora da Delio Rossi e preferito a “Inzaghino”. Se quella del mister contro i marsigliesi fu una prodezza individuale incredibile, che lo ha inserito in un elitario club europeo di bomber speciali, anche stavolta, però – e siamo sicuri – starà provando dentro di sé una grande soddisfazione, per aver ottenuto dai suoi ragazzi proprio quel che voleva.
Una squadra aggressiva e tosta, che ha approcciato nel modo giusto la massima competizione europea e imposto il gioco fin quando non ha avuto bisogno di gestire, al cospetto di un Borussia Dortmund che, pur privo di elementi importanti come Emre Can, Akanji e Schmelzer, è pur sempre una delle compagini europee più temibili. E che fa della spregiudicatezza un valore pilastro per costruire le proprie annate. Scacciate le critiche, dunque, dopo il pessimo spettacolo offerto sabato scorso a Marassi, dove i biancocelesti sono stati letteralmente sovrastati dal primo minuto da Quagliarella e compagni. Ma qual è la vera Lazio? Quella che ha triturato il Borussia Dortmund o quella che, nelle ultime 16 partite, (contando anche le prime 4 del nuovo campionato), ha incassato ben 8 sconfitte? I tifosi in estate si aspettavano “rinforzi da Champions” e, se fosse arrivato David Silva, sarebbero stati in parte accontentati, ma così non è stato per il clamoroso dietrofront dello spagnolo. Lotito, come sempre oculato, ha speso allora quanto ha ricavato dalla qualificazione Champions, mantenendo le stelle della sua squadra (Immobile, Milinkovic-Savic, Luis Alberto) e puntellando l’organico, con gli innesti di Muriqi, Fares, Akpa Akpro, Hoedt, Reina, Escalante e Andreas Pereira. Per una spesa complessiva che sfiora, senza toccarli, i 30 milioni di euro. Dove possa arrivare è presto, troppo, per dirlo. Difficile immaginare la cavalcata pre-pandemia dell’anno scorso, serve ritrovare la continuità in campionato per quella e ne riparleremo più avanti. In Europa, la vittoria sui tedeschi può instradare verso una qualificazione alla portata, se non ci saranno passi falsi interni. L’Olimpico, seppur quasi vuoto, dovrà essere una garanzia contro avversari inferiori al Dortmund, come Club Brugge e Zenit.
E veniamo alle favole. Sempre l’ultima volta che la Lazio calcò la più importante scena calcistica d’Europa, Ciro Immobile aveva segnato caterve di gol (30, per la precisione) con gli Allievi del Sorrento ed impressionò così tanto, seppur adolescente, che Ciro Ferrara lo consigliò subito alla Juventus, che non si fece pregare e lo portò a Torino. Tredici anni dopo, “o’criatur’ e’ Torre Annunziata” si è affacciato alla prima europea della Lazio da detentore della Scarpa d’oro e si è preso una grossa rivincita nei confronti proprio del Borussia Dortmund, che lo aveva sedotto e abbandonato dopo una stagione appena e nonostante un girone di Champions costellato da 4 gol, di cui uno bellissimo all’Arsenal. La Bild-Zeitung, addirittura, lo definì “il peggior acquisto della storia del Borussia Dortmund”, confermando ancora una volta quel pizzico di pregiudizio e invidia nei confronti di un italiano che aveva sì deluso in Bundesliga (solo 3 gol), ma che, probabilmente, aveva bisogno di più tempo e fiducia per sfondare nella Ruhr. E la vendetta, si sa, è un piatto che va servito freddo, così, dopo 5 anni, Immobile ha annichilito la sua ex-squadra con un gol e un assist e, soprattutto, delle parole acuminate a fine partita: “Sono molto attento a godere degli elogi e a sopportare le critiche. Sono arrivato a Dortmund nel momento sbagliato e, a volte, ad un giocatore serve tempo per dimostrare il proprio valore, bisognava capire che c’erano delle difficoltà. Abbiamo incontrato una squadra tra le più forti d’Europa e l’abbiamo battuta. Ci serviva, dopo la brutta prestazione di sabato, per dare la svolta mentale e per dire che ci siamo anche quest’anno e vogliamo essere tra le grandi del campionato”.
L’ultima, tra le favole, è quella di Jean-Daniel Akpa-Akpro, francese naturalizzato ivoriano che, nel giro di tre mesi, è passato dalla Salernitana in Serie B al gol all’esordio in Champions League che ha annichilito il Borussia Dortmund di Haaland, Sancho e Reus. Gianni Morandi cantava che “là c’è un prato verde, dove nascono speranze, che si chiamano ragazzi, quello è il grande prato dell’amore…”. In questo caso, il prato delle verdi speranze è stato scovato da Lotito e Tare a Tolosa, nella modesta squadra di Ligue 1 della città (oggi retrocessa in Ligue 2) e, in due anni all’Arechi, Akpa Akpro ha impressionato tutti i tifosi del cavalluccio, che, infatti, speravano di poter ancora godere delle sue prestazioni quest’anno. Alla luce di quanto mostrato, possiamo dire che il suo talento sarebbe andato sprecato in quella che oggi viene chiamata “Lazio B” amaramente dai tifosi granata, scontenti di fare da sparring partner alla squadra capitolina e coltivare talenti che volano via sul più bello. Come dar loro torto? Non solo lui, infatti, è stato un fattore della partita, ma anche Luiz Felipe, autore del colpo di testa che ha causato l’autogol del portiere Hitz e ha incanalato la partita sul binario dei tre punti. Lui, tredici anni fa, l’ultima volta che la Lazio aveva giocato la Champions League, non era ancora tesserato in Brasile: aveva dieci anni.