Koulibaly e il coraggio di parlare degli Uiguri. Anche a costo di essere travolto da critiche e insulti
Il primo calciatore di fama mondiale ad aver parlato della questione degli Uiguri, la minoranza turcofona musulmana da anni vittima della silenziosa oppressione (travestita da “rieducazione”) del governo cinese, era stato Mesut Özil qualche mese fa. Una questione delicata, di cui ben poco si parla nei media occidentali per non scomodare una delle principali potenze economiche, ma per cui il centrocampista turco si è speso, invitando tutta la comunità musulmana a far sentire la propria voce.
Stavolta a rilanciare il tema della repressione i questa minoranza etnica e religiosa nei campi di rieducazione è stato un personaggio anche meno controverso rispetto al fantasista dell’Arsenal (che ha comunque preso posizioni in passato molto vicine a Erdogan, per esempio): Kalidou Koulibaly. Il centrale del Napoli lo ha fatto simbolicamente nel momento più importante dell’anno per la Repubblica popolare cinese: il giorno della propria festa nazionale.
Sul proprio profilo Instagram, il giocatore senegalese, già protagonista nel nostro campionato anche al di fuori del terreno di gioco nella lotta al razzismo, ha pubblicato un breve post che ha squarciato il silenzio occidentale sulla questione degli Uiguri: “Milioni di Uiguri musulmani sono detenuti e torturati nei campi di concentramento in Cina. Non per quello che hanno fatto, ma per quello che sono. È la più vasta prigionia di massa del 21esimo secolo. Bisogna mettere la parola fine.”
Una coraggiosa presa di posizione in difesa in difesa degli Uiguri contro cui il Governo cinese ha avviato da tempo una politica di oppressione. A livello internazionale, viene presentata come un’operazione di antiterrorismo, ma i racconti che arrivano dai campi di “rieducazione” mettono i brividi: deportazioni di massa, sterilizzazione delle donne per avere un rigido controllo sulle nascite (al punto che diversi esperti hanno parlato di “genocidio demografico”), interruzione di gravidanze, prigionie forzate. Con un risultato già drammaticamente evidente: se fra il 2015 e il 2018 il tasso di natalità della regione a maggioranza Figura, lo Xinjiang, era fra le più alte del Paese, tre anni dopo figura tra le più basse.
Per questo, chi ha la possibilità di far sentire la propria voce non può esimersi dal condannare pubblicamente una vicenda su cui la politica tende a tergiversare. Koulibaly l’ha fatto, anche a costo di essere coperto di critiche e insulti. Sotto il suo post ora i commenti sono cancellati, ma fino a qualche ora fa si presentavano in prima linea soltanto commenti negativi di vari account (veri e fasulli), a difesa del governo cinese. Özil è stato fatto persino “scomparire” nelle telecronache in Cina delle partite dell’Arsenal e la stessa sorte potrebbe toccare al senegalese. Nonostante tutto, protagonista ancora una volta protagonista di una battaglia contro le discriminazioni, stavolta da difendere fino in fondo. A partire dal Napoli stesso, ci auguriamo.