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Il conflitto del Nagorno-Karabakh sta passando anche dal calcio

In queste ore, una notizia ha creato enorme sorpresa sui giornali di tutto il mondo: il trasferimento del difensore armeno Varzdat Haroyan in Grecia è definitivamente saltato. Fin qui nulla di strano, ma sono le ragioni alle spalle di questa rinuncia che rendono questo mancato affare ben diverso e più drammatico rispetto a tutti gli altri del passato. Chiusa la sua avventura all’Ural Ekaterinburg, il giocatore 28enne sembrava ormai destinato a diventare a breve un nuovo giocatore dell’Athlītikī Enōsī Larissa, squadra della massima serie greca, salvo assistere a una svolta improvvisa: l’agente del giocatore annuncia al presidente del club Alexis Kougias con un messaggio che Haroyan, come tutti i cittadini armeni di meno di 40 anni, è stato arruolato dal proprio Paese e si trova già in zona di guerra.

Le ragioni dietro questa improvvisa chiamata alle armi del capitano della Nazionale sono tristemente note e lo stesso agente ne ha fornito qualche dettaglio. Negli scorsi giorni, le tensioni tra Armenia e Azerbaijian in Nagorno-Karabakh o Artsakh (territorio separatista di circa 11mila km collocato in Azerbaijian ma controllato dall’Armenia, la nazionalità dominante tra la popolazione) sono esplose per l’ennesima volta, anche se a questo giro a un’intensità ben maggiore rispetto al passato.

Il conflitto in questione è ormai latente da circa 30 anni e in più occasioni gli eserciti si sono ritrovati a combattere con scontri a bassa intensità e risolti in poche settimane, ma stavolta l’impressione generale è che la contesa possa diventare ben più drammatica e geograficamente estesa: sono già 84 le vittime ed entrambi gli eserciti stanno usando artiglieria, mezzi pesanti e hanno mobilitato i riservisti, mentre Russia e Turchia si preparano ad avere una voce importante in capitolo (la prima nel classico ruolo di paciere nella zona, la seconda a fianco di Baku).

In un clima sempre più incandescente, Haroyan ha deciso così di rispondere alla chiamata alle armi. E basta farsi un giro sui social per rendersi conto del fatto che il gesto del capitano della Nazionale lo sta rendendo un vero e proprio eroe del Paese per il suo attaccamento dimostrato anche al di fuori dal terreno di gioco. Ma lo scontro passa inevitabilmente anche attraverso tutto il movimento calcistico dei due Paesi, con squadre e giocatori che hanno espresso pubblicamente le proprie posizioni, con forti sentimenti nazionalistici. E mentre il campionato armeno ha annunciato la temporanea sospensione (con l’Arat Armenia che disputerà la sfida di Europa League contro lo Stella Rossa a Cipro), sui social è una vera sfida d’orgoglio nazionale.

Uno dei club azeri maggiormente toccati dalle vicende del conflitto del Nagorno-Karabakh proprio a causa della sua storia è senza dubbio il Qarabag, nota società della massima serie nazionale e, assieme al Susa Futbol Klubu, una delle società storiche della regione contesa con l’Armenia. Nel 1993, infatti, il club fu costretto ad abbandonare la propria città di fondazione, Agdam: centro ufficialmente azero, ma che de facto passò sotto occupazione armena a partire dal luglio di quell’anno, rimanendo così escluso dalla sovranità del governo azero. Il Qarabag non si ritrovò soltanto senza città, ma anche senza stadio, visto che l’Imrat venne bombardato dalle forze armene durante i combattimenti, vedendosi costretto a trasferirsi a Baku, mentre l’allenatore del tempo Bagirov moriva in guerra. Solo nel 2009, il club si è riavvicinato a “casa”, passando a Quzanlı, nel distretto di Agdam.

Non sorprende che il Qarabag abbia riportato in questi giorni sui propri canali social una vera e propria cronaca delle conquiste dell’esercito azero di queste ore, mentre il centrocampista Qara Qarayev ha rilasciato un messaggio dai forti sentimenti nazionalistici, con accompagnata una foto piuttosto eloquente: “Questo è il giorno più importante della mia vita. La notizia che i miei genitori e parenti torneranno alla propria città natale è un evento molto importante per me. Non posso esprimere a parole la gioia per la liberazione della mia città natale dai nemici. La bandiera azera sarà presto alzata in Karabakh e Scusa. Sono orgoglioso del nostro esercito e del nostro popolo. Oggi è un giorno di unità e uguaglianza. Che Dio ti protegga, soldato azero!”

Sempre in Azerbaijian, anche la Federcalcio ha dato il via a un’evidente campagna mediatica di sostegno al proprio governo, attraverso messaggi di vicinanza ai soldati azeri e la commemorazione della drammatica morte di cinque cittadini, tra cui un giovane iscritto al campionato Under 11, in seguito ai bombardamenti subiti contro gli insediamenti da parte delle forze armene. In generale, però, il sostegno è arrivato, pur con forme diverse, da praticamente tutti i club: il Qabala ha accompagnato gli highlights della partita contro il Neftçi con l’hashtag #QarabaghIsAzerbaijan; il Sumaqayit sta pubblicando grafiche di propri giocatori (al momento, Aydin Bayramov e Tellur Mütallimov) nella posizione del saluto militare e con il messaggio “La vittoria è con noi, soldato azerbaigiano. Karabakh è Azerbaijan” e così via, sulle pagine social di tutti gli altri club.

La risposta social (ma non solo) dei club armeni non è ovviamente mancata. L’Urartu, per esempio, ha creato un video appello con i propri giocatori per mostrare la propria vicinanza ai cittadini del territorio conteso, accompagnato anche da immagini di Monte Melkonian (partigiano armeno, considerato tra i più famosi comandanti della guerra del Nagorno Karabakh). Il club (così come altri, come il Punik) ha inoltre sostenuto da vicino diverse azioni di volontari che si sono adoperati in questi giorni per inviare ad Artsakh cibo, vestiti, medicinali e generi di prima necessità. Aperto sostegno, per rimanere soltanto nella massima serie armena, è stato promosso anche dall’Alashkert, dal Gandzasar e Shirak, accompagnati anche da “esterni” come l’attaccante serbo-bosniaco Aleksandr Glisic dell’Alashkert e il difensore serbo Bogdan Milicic dello Shirak: due prese di posizione politiche che, in realtà, non rappresentano la linea adottata in questi anni dalla Serbia, che in questi giorni ha fatto appello per la pace e in passato ha votato risoluzioni a tutela dell’integrità territoriale dell’Azerbaijan, con la richiesta del ritiro delle forze armene dai territori occupati.

Ma il calcio è spesso piena espressione anche di quanto avviene a livello politico. E così, stupiscono relativamente i messaggi di sostegno arrivati dai club turchi verso l’Azerbaijian: tutte le società hanno espresso vicinanza al popolo azero con lo slogan “Una Nazione, due Stati!”. Un chiaro messaggio di quanto la Turchia e il presidente Erdogan si stiano esponendo per mettersi al fianco dell’Azerbaijan in un conflitto forse ancora soltanto agli inizi, ma che potrebbe avere conseguenze drammatiche. E lo sport, ancora una volta, non può rimanere escluso.