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Novantesimo minuto compie 50 anni. Ah, quando il weekend se ne andava “coi gol in tele…”

90esimo minuto sigla

90° Minuto, la trasmissione che ogni domenica pomeriggio entra nelle case degli italiani per mostrare i gol e le azioni più importanti delle partite di calcio del campionato italiano di Serie A, compie 50 anni! Nozze d’oro con milioni di italiani avidi di pallone e televisione, che dal 1970 è uno specchio fedele non solo del nostro calcio, ma dei costumi e dei cambiamenti della società italiana. Ed è difficile spiegare alle nuove generazioni la liturgia laica delle domeniche dell’ultimo cinquantennio dell’italiano medio. Con un mix di nostalgia e malinconia, nel 1993 gli 883 cantavano, nel sottovalutatissimo brano “Weekend” contenuto nel secondo album “Nord Sud Ovest Est”, i risvegli traumatici domenicali dei giovani, dopo i sabato sera selvaggi (ma raramente fruttiferi sotto il profilo delle conquiste femminili). Così, dopo una sigaretta e un caffè al bar, ci si attaccava tutti alla radio per ascoltare Tutto il calcio minuto per minuto. Il duo Max Pezzali-Mauro Repetto non aveva dubbi: “Le partite sempre in onde medie, San Siro , Olimpico, Delle Alpi…”. E dopo aver sofferto per la propria squadra del cuore, che avesse vinto o avesse perso, il passo successivo era alla tv, in una spasmodica attesa di circa un’ora, che sembrava un’eternità. Dalle 17, momento del triplice fischio sui campi di Serie A, alle 18 il piede batteva forte i tacchi sul pavimento in maniera compulsiva e nervosa, in attesa fremente che cominciasse la sigla di 90° Minuto, la trasmissione RAI che, prima dell’avvento delle pay-tv, per prima trasmetteva i gol delle partite del campionato italiano.

“E sta per finire un altro weekend, se ne va coi gol in tele il weekend, così poi aspetteremo il weekend, convinti che sarà il più bello dei weekend…”

Ed era proprio così, i weekend se ne andavano con i gol che il maestro “gentile”, Paolo Valenti, mostrava agli italiani, distribuendo collegamenti in tutto lo stivale per dare ai colleghi la possibilità di commentare ciò che avevano avuto il privilegio di vedere in prima persona. Anche chi andava allo stadio, nell’epoca pre-smartphone, aveva sete di tornare subito a casa per vedere la gara a cui aveva assistito dal vivo con l’occhio dell’immagine analogica, che forniva replay e punti di vista più chiari su ciò che era successo sul rettangolo verde. Lo schema era semplice: i gol, una partita dopo l’altra, e basta. Senza contorno, senza paillettes né musica né comicità né riempitivi di cui oggi siamo abituati. In realtà, tutto questo c’era, ma nessuno in RAI se n’era accorto. Perché ogni inviato dai campi apriva la finestra sul proprio mondo, ognuno era un personaggio che raccontava sé stesso, mentre raccontava qualcos’altro. Era il 27 Settembre del 1970, l’alba del calcio totale olandese e la rivoluzione televisiva sportiva prendeva corpo, con la prima puntata introdotta al ritmo jazz di “Pancho”, il brano di Jan Stoeckart (pseudonimo Jack Trombey, tra i tanti) trombonista e radio-produttore proveniente proprio dalla terra dei tulipani. l programma è ideato da Paolo Valenti, Maurizio Barendson e Remo Pascucci. Barendson, napoletano di origini olandesi (e quali sennò?), cresciuto a pane e cinema e forse, per questo, capace di vedere la magia prima degli altri, anche nel giornalismo sportivo. Aveva iniziato a occuparsi di sport nel 1949, poi negli anni Sessanta cominciò a collaborare in Rai con Antonio Ghirelli. Mente geniale, spirito irregolare. Come da copione. Scrisse romanzi, autobiografie, racconti sulla decadente aristocrazia napoletana. Odiava le etichette: “Giornalista sportivo? Cosa vuol dire? Io ho la passione per le storie, qualunque esse siano. Sono un eclettico, il romanzo fa parte di me”. Aveva capito che l’informazione sportiva della domenica doveva concentrarsi sugli avvenimenti di maggior seguito: calcio, basket, pugilato.

Accanto a lui, una personalità più inquadrata, ma, non per questo, meno carismatica. Aveva raccontato agli italiani il match Benvenuti-Griffith dal Madison Square Garden e anche il terremoto del Friuli. Paolo Valenti, che diventerà il padrone di casa assoluto della trasmissione, fino alla sua scomparsa nel 1990.

Ogni campo, un inviato. Ogni stadio, una maschera, che rappresentava fedelmente le caratteristiche precise del territorio che raccontava. A Firenze c’era Marcello Giannini che, dopo aver raccontato l’alluvione del 1966, commentava le partite della Fiorentina con l’immancabile “c” aspirata. A Napoli, Luigi Necco. Anzi, Napoli era Luigi Necco. Circondato dai vivaci tifosi napoletani, rumorosi e appiccicosi, nell’epoca maradoniana non ha svolto un semplice mestiere: è stato il testimone di un’avventura oltre ogni confine dell’immaginazione. Cinematografica, appunto, come Barendson voleva. Uomo dalla sconfinata cultura, contrapponeva all’ammuina degli scugnizzi partenopei, le sue perle dialettiche e la sua irriverenza e, più di tutte, la sua grande ironia. Come quando salutò con le tre dita della mano per commentare un 3-0 al Milan o quando esordì dicendo “Milano chiama, Napoli risponde”, per rifarsi ai polizieschi in voga all’epoca. Una volta disse: “Napoli batte Parma: clamoroso al San Paolo, il parmigiano è finito sotto al pomodoro”. La domenica per Necco, in fondo, era un divertimento, un relax con i suoi ragazzini, dopo aver consumato le suole delle scarpe per tutta la settimana per raccontare Napoli e l’Italia, come un vero cronista deve saper fare. Raccontava le guerre di camorra, mica un pallone che rotola. Riceveva minacce e anche un attentato, una volta, perché il suo mestiere lo faceva bene e dava fastidio. Raccontò, prima di tutti, il contesto in cui i clan avevano maturato l’omicidio di Giancarlo Siani.

E poi, Tonino Carino da Ascoli, una voce stridula indimenticabile, una scanzonante genuinità e ingenuità, sfruttata al massimo anche da Fabio Fazio per il suo primo “Quelli Che Il Calcio”, intuendone le involontarie doti comiche. Eppure curò anche una rubrica sul calcio estero dal ’90 al ‘92, perché ne sapeva eccome. Gianni Vasino da Milano, Ennio Vitanza, Giorgio Bubba da Marassi, Franco Strippoli da Bari, Tonino Raffa da Catanzaro, Ettore Pasini da Bologna. Sandro Ciotti. Tutti eccellenti narratori, stile garbato e look curato, voce pulita, ma con quel pizzico di accento inconfondibile che ti trasportava in un attimo nel luogo della partita. Puccio Corona, Lamberto Sposini, Carlo Nesti. Pier Paolo Cattozzi che girava i campi di tutta l’Emilia-Romagna con la tipica “s” sibilante a sgusciare nei suoi discorsi. Italo Kuhne, bordocampista campano al San Paolo. Franco Zuccalà, il professore, che a cavallo tra gli anni ottanta e novanta dispensava sonetti e metafore. Ne ricordiamo due, una in occasione del commento di una partita dell’Inter dei record: “Klinsmann anticipa di un giorno l’Oktoberfest e vola in cima alla classifica cannonieri”. L’altra, per raccontare i due nuovi acquisti nerazzurri, Brehme e Matthaus: “Con Hansi Mueller e Karl-heinz Rumenigge le acciaierie tedesche avevano fornito finora all’Inter carri armati di cartapesta, spesso fermi dal meccanico per fare il tagliando. Adesso dalla “Panzer Divisionen” ne sono arrivati due ultimo tipo. Hanno i cingoli a posto ed il cannone ha tuonato contro il Pisa: Lothar Matthaus e Andreas Brehme, che ha sfoggiato le 3 parole d’italiano che conosce. Matthaus, che è un rosso robusto e non un rosè, ha fatto una conferenza sul coraggio e sulla paura…”

Il grande Beppe Viola, come dimenticarlo. Il “Necco” del Nord, se possiamo azzardare il paragone. Famoso per l’endorsement a Beccalossi in vista del Mondiale 1982 con la frase pronunciata in un servizio sull’Inter alla Domenica Sportiva che diceva: “Mi chiamo Evaristo, scusi se insisto”. Cultore della milanesità a 360 gradi, penna ironica e sferzante, amante della vita e dei suoi vizi. Una mente brillante. Morto troppo presto, a soli 42 anni, sul posto di lavoro, mentre preparava un servizio su Inter-Napoli, il 17 ottobre 1982.

Nel 1980, la RAI acquista per la prima volta i diritti del campionato dalla Lega, e le viene concesso di trasmettere ogni domenica solo il secondo tempo della partita più importante della giornata, alle ore 19, senza commento, con l’audio originale dei tifosi, presenti allo stadio. Affascinante, senza dubbio. Quello, il primo metodo per vedere in chiaro, anche se soltanto parzialmente, le partite di Serie A.

Il bello della diretta comprendeva anche la mancanza dei gol oltre il novantesimo, spesso non mostrati per motivi tecnici: data la strumentazione dei tempi, capitava che la bobina su cui era stata registrata la partita era già nel furgone per il montaggio, oppure che i collegamenti fossero muti o freezati, o che gli highlights fossero stoppati di colpo. Tutti imprevisti, sempre gestiti con disinvoltura dal signor Valenti.

Questo per la prima ondata, perché poi, dopo Valenti, è seguita una seconda era, non meno entusiasmante: quella condotta da Giampiero Galeazzi, “Bisteccone” al secolo. Chiamato così da un collega che, conoscendolo, lo vide alto e robusto. Intanto, per omaggiare il grande Paolo, nella stagione 1991-1992 la Gialappa’s Band, a Mai dire Gol in onda su Italia 1, creò una rubrica dedicata a tutte le gaffe involontariamente prodotte dai giornalisti, durante le varie trasmissioni.

Con l’avvento delle pay-tv, 90° Minuto ha dovuto lottare fin da subito una lotta impari, riuscendo inizialmente a resistere grazie al suo fascino. Costringendo migliaia di italiani a non cedere alla tentazione di vedere e sapere prima del dovuto, e aspettare la “fatidica ora”; le 18:15 (negli anni il palinsesto si era arricchito, e modificato di volta in volta).

Nel 2005 altra grande rivoluzione. La RAI perde i diritti del campionato, ed è costretta a cedere il passo alla grande rivale: Mediaset. Su Canale 5 nasce un nuovo: Serie A – Il grande calcio, che, nelle premesse, doveva diventare punta di diamante. Nonostante il cambio di conduzione da Paolo Bonolis a Enrico Mentana, il programma fu un flop (ascolti bassissimi), tanto che l’anno successivo le sintesi calcistiche passarono su Italia 1, nel programma “Controcampo – Ultimo minuto”.

Mamma Rai, nel 2008, riabbraccia la Serie A. Negli anni si sono succeduti altri grandi conduttori, da Fabrizio Maffei a Paola Ferrari, da Jacopo Volpi a Gianni CerquetiMarco Mazzocchi, Gianni Bezzi, Amedeo Goria ed il compianto Franco Lauro, recentemente scomparso e alla guida della trasmissione per sei anni, fino al 2014. Dall’anno successivo la conduzione è raddoppiata: oggi, al timone ci sono Enrico Varriale e Simona Rolandi.

Con la nascita e lo sviluppo di internet, degli smartphones e dei social network, poi, tutto è cambiato. Gol, highlights e partite sono entrati di prepotenza non solo nelle case, ma negli occhi di tutti gli italiani, quasi senza permesso. La magia si è persa, l’ansia da risultato e l’edonismo da spettatori è evaporato in virtù del “Real Time”. Tutto e subito, live e in streaming. Internet ci ha tolto la possibilità di scandire i nostri weekend in maniera scientifica e rassicurante. Ma come lo vai a spiegare alle nuove generazioni? Come spieghi perché gli 883 cantavano: “E sta per finire un altro weekend, se ne va coi gol in tele il weekend, così poi aspetteremo il weekend, convinti che sarà il più bello dei weekend…”