Djokovic e la solitudine del numero uno: la pallata è l’ultima goccia del vaso
Il vaso è ormai pieno, la prossima goccia traboccherà fuori: ecco perché Novak Djokovic non è mai veramente amato come Federer e Nadal pur avendo vinto praticamente tutto e infranto molti record. Il serbo è sempre stato una sorta di dottor Jekyll e mister Hyde, in campo e fuori: a volte sembra tanto amorevole con il pubblico, altre volte si innervosisce per cose apparentemente banali.
L’ultimo riprovevole gesto del serbo nasce proprio dal nervosismo per aver subito un break da Carreno Busta sul 5-6 nel primo set; nulla di irrecuperabile, soprattutto per uno come lui che anche nel secondo turno aveva ceduto il primo set ad Edmund prima di imporsi dominando, eppure per un nano secondo ecco il patatrac. Game perso e nel mentre si appresta a recarsi alla sua sedia, Djokovic si gira di scatto tirando la pallina contro i teloni. Il suo talento del cristallino questa volta lo tradisce: la mira è talmente perfetta che la pallina finisce per colpire tra il mento e la gola una giudice di linea che cade a terra. Gesto assolutamente involontario tanto che il numero del mondo corre subito ad accertarsi delle condizioni della donna, ma il regolamento parla chiaro: è squalifica.
Non si tratta della prima volta nel mondo del tennis, ma Djokovic potrà “vantare” di essere l’unico giocatore in vetta al ranking mondiale e prima testa serie di uno slam ad essere squalificato da un torneo. Lo stesso serbo durante il Roland Garros del 2016 sfiorò letteralmente un giudice con la sua racchetta che lanciò in un gesto di stizza e che si fermò a pochi centimetri dall’ufficiale di gioco; quell’anno fu proprio lui a vincere lo slam parigino tra alcune polemiche. Gesto forse più grave fu quello di Shapovalov: sempre non volontariamente, il canadese durante un incontro di Coppa Davis nel 2017 scagliò in modo molto più violento la palla che colpì il giudice di sedia. Il colpo fu talmente forte che l’arbitro dovette essere operato all’occhio per il distaccamento della retina. Gesto volontario invece fu il calcione di David Nalbandian nel 2012: l’argentino al Queen’s sfogò la sua frustrazione tirando un calcio contro la protezione posta sotto il giudice di linea che rompendosi finì per colpire lo stinco dell’uomo.
Il tennis è uno sport solitario in cui la testa è forse la componente principale oltre ai colpi con i quali respingere ogni palla: saper stare in campo e adattarsi ad ogni situazione è la chiave che differenzia un giocatore da un campione. Djokovic sicuramente è un predestinato che però non riesce a far breccia nel cuore dei tifosi. Quest’anno poi non è la prima volta che viene messo alla gogna: organizzando l’Adria Tour, torneo benefico durante la pausa per il Coronavirus, non ha dato retta a nessuna norma e tra mancato distanziamento e nessun obbligo di mascherina, è finito per creare un focolaio in cui lui stesso, Cilic, Dimitrov e molti altri sono risultati positivi.
Il numero uno del mondo si è fin da subito reso conto della gravità del gesto e in tarda serata ha chiesto scusa dimostrandosi sentitamente pentito: il serbo deve mangiarsi le mani per aver letteralmente gettato alle ortiche la possibilità di vincere il suo diciottesimo slam. Questo US Open vedrà così, sei anni dopo, un vincitore diverso dai soliti Fab Four: la speranza di Matteo Berrettini si fa sempre più possibile anche se i favoriti ora appaiono essere Thiem e Medvedev. Il gesto di Djokovic (da condannare, ma senza accanirsi) mina la sua immagine, ma non scalfisce la sua forza: l’uomo da battere è sempre lui. Nel 2020 nessuno ci era riuscito se non ieri lui stesso.