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Già 31 anni dall’incidente di Babsk. Scirea: un campione vittima del destino e della Guerra Fredda

“Dice che era un bell’uomo e veniva, veniva dal mare. Parlava un’altra lingua. Però sapeva amare”. Lucio Dalla cantò così il suo primo e più grande successo al Festival di Sanremo nel 1971, lui che era orfano dall’età di 7 anni e volle celebrare l’assenza di una madre. Mentre il grande Lucio si esibiva sul palco dell’Ariston, nel 1971 Gaetano Scirea in Serie A ancora nemmeno aveva esordito e non sapeva che, cinquant’anni dopo, lo avremmo ricordato come un bell’uomo che, anche se non veniva dal mare, parlava un’altra lingua in campo e sapeva amare, quel mestiere e la vita, in generale. E saremmo rimasti noi orfani di un uomo dalla levatura morale al di sopra delle righe. Quel maledetto 3 Settembre 1989 ce lo ha portato via, 31 anni fa, quando si preparava a vivere una seconda vita in bianconero, meno eroica, ma più serena, circondato dall’affetto dei suoi cari. L’allora presidente Boniperti lo mandò in Polonia a spiare il Górnik Zabrze, avversario in Coppa UEFA, perché alla Juve niente viene lasciato al caso. Prima di partire, in un’umida alba torinese non ancora baciata dal sole, confessò alla moglie che quello sarebbe stato l’ultimo viaggio, perché voleva stare di più a casa. Non poteva sapere che la sua previsione si sarebbe avverata nel più tragico degli epiloghi. Compì il suo dovere, ma sul far del ritorno verso l’aeroporto di Varsavia incontrò la morte a Babsk. Vittima del destino e della Guerra Fredda, sì, perché la 125 che lo trasportava era piena di taniche di benzina di riserva. Nella Polonia del blocco sovietico, rifornirsi di carburante non era così automatico, più saggio far scorta. Scorta, una parola che servirebbe a proteggere, in quel caso invece innescò la morte.

Zoff e compagni, impegnati a Verona, seppero tutto dal casellante dell’autostrada A4 di Torino e si rassegnarono alla possibile assurdità all’arrivo allo Stadio Comunale (il Delle Alpi era ancora in costruzione per Italia ’90), riempitosi di curiosi e cronisti. Il papà di Gaetano, che lo aveva cresciuto a pane, pallone e buone maniere, era già malato all’epoca dei fatti e non potè reggere anche l’urto della perdita del caro figlio. Così, una settimana dopo, lo raggiunse, per non farlo sentire solo probabilmente.

Campione del mondo, Campione d’Europa (anche se quel titolo, macchiato di sangue sulle tribune dell’Heysel, lo ha sempre rinnegato. Gli ha tolto il sonno), Scirea era l’emblema del calciatore esemplare. Un centrocampista prestato alla difesa, elegante e austero. Capace di non utilizzare i falli come arnesi di lavoro di chi l’azione deve fermarla, piuttosto che incoraggiarla. Chiuse tutta la carriera senza nemmeno un cartellino rosso e, anzi, spesso palla al piede si produceva in sortite offensive che solo in Beckenbauer abbiamo potuto, prima di lui, ammirare. Dall’oratorio San Pio di Cinisello Balsamo alla Nazionale, è sempre stata affidata a lui la palla per innescare il gioco. Prese spunto, probabilmente, dalla grande Inter di Helenio Herrera di cui era tifosissimo e che vide per prima allo stadio schiantare il grande Liverpool nella semifinale di Coppa dei Campioni del 1965.

Esordisce in Serie A nel 1972 e il primo cliente è di quelli tosti: Gigi Riva all’Amsicora di Cagliari. Scirea veste la maglia dell’Atalanta, che ha fortemente creduto in lui. La partita finsice 0-0. “Quel taciturno come me lì ne farà di strada”, dirà a fine partita Rombo di Tuono. Va alla Juventus e, quasi con imbarazzo, non si capacita di come possa lui stare in uno spogliatoio di campioni. Eppure, in poco tempo, ne diviene una delle colonne. Il giorno dopo aver vinto il suo primo Scudetto in bianconero, nel 1975, si vergogna per aver tirato fino all’alba con i compagni a festeggiare in discoteca, perché osserva un operaio recarsi al lavoro mentre lui sta tornando a casa. Non metterà più piede su una pista da ballo. Estremista? Forse, ma che pulizia d’animo Gaetano.

Da incastonare la data del mitico derby contro il Torino del 7 Marzo 1982. I granata vincono 2-0 dopo una partenza bruciante, Bonesso e Dossena i marcatori. La Juve, però, è mai doma, così Tardelli accorcia le distanze. A quel punto Scirea si traveste da supereroe, segna di testa il 2-2 e firma il sorpasso su assist di Liam Brady, che firmerà il poker. Una vittoria che resterà negli annali, la spiegazione di come Scirea interpretava il suo ruolo. Non a caso, nella partita più importante che ogni calciatore sogna, cioè la finale della Coppa del Mondo, invece di star lì dietro a preoccuparsi di Rummenigge e compagni, si proietta in avanti a servire l’assist per il gol di Tardelli, l’urlo più bello mai propagatosi su un rettangolo verde. Più tardi, in quella dolce notte di Madrid, Scirea è ancora incredulo, così come quando entrò per la prima volta al Comunale di Torino. Confessa all’amico Marco Tardelli: “Ma ti rendi conto che io adesso devo andare a casa dalle mie parti e dire che sono Campione del Mondo?”. Sono passati 31 anni, ci manca ancora tantissimo.