Il boicottaggio di Milwaukee-Orlando è l’inizio della più importante protesta della storia NBA
La sirena che avvia le procedure pre partita in Milwaukee-Orlando, Gara 5 dei playoff NBA, suona a vuoto. Un rumore assordante che squarcia improvvisamente l’anormale silenzio in campo. Programma alla mano, era il momento di avvicinarsi all’inizio della partita e, invece, sul parquet non c’è nessuno: i Bucks non sono nemmeno mai scesi in campo, i Magic se ne sono andati dopo pochi minuti, venendo seguiti dagli arbitri. Stop, non si gioca. George Hill e Donovan Mitchell, dai propri profili social, annunciano l’inizio di un boicottaggio senza precedenti: “Siamo qui a giocare nella bolla come se niente fosse: ma le cose devono cambiare”.
E, in effetti, l’ultimo teatro dell’ennesimo, vergognoso episodio di violenza della polizia negli Stati Uniti, Kenosha, è a una decina di miglia proprio da Milwaukee. Se l’omicidio di Floyd era una ferita tutt’altro che chiusa negli Stati Uniti, come si può intuire nel clima di proteste di questi mesi (sebbene in Europa la questione sembra essere sparita da tempo dai media), la nuova drammatica violenza di stampo razzista compiuta dalle forze dell’ordine, stavolta in Wisconsin, ha riacceso il motore delle manifestazioni per le strade. I sette colpi di pistola rivolti dalla polizia al disarmato Jacob Blake, sopravvissuto ma rimasto paralizzato dalla vita in giù, sono l’ennesimo segnale di un sistema malato fino al midollo, non più tollerabile dopo anni di soprusi e ingiustizie.
🇺🇸 This is a historic day, not just for the #NBA but for sports in general. Players have taken they demand for change to the next level
🇮🇹 Questo è un giorno storico, non solo per l’NBA ma per tutto lo sport. I giocatori hanno portato la protesta al livello successivo pic.twitter.com/tRuq1p0wut
— Davide Chinellato (@dchinellato) August 26, 2020
Milwaukee-Orlando stava diventando l’ennesimo disperato tentativo di vendere al pubblico da casa una normalità che non esiste più da mesi. In strada, numerosi movimenti di protesta sono uniti per far sentire la propria voce, seguendo un’ondata di manifestazioni con pochi precedenti nella storia degli Stati Uniti. Lo sport, finalmente, ha riscoperto una propria coscienza e non ce l’ha fatta ad accettare l’ennesima violenza. Ci si ferma, perché tutto il mondo torni a portare i riflettori sulle strade americane.
Il gesto delle due squadre ha già provocato il ribaltone sperato. L’NBA ha posticipato tutte le gare che si sarebbero dovute giocare stanotte (dunque anche Houston Rockets-Oklahoma City Thunder e Los Angeles Lakers-Portland Trail Blazers). Ci si ferma per riflettere e protestare contro vicende che vanno oltre le proprie posizioni politiche: è una sfida ben più grande, che tocca una società intera e coinvolge milioni di persone ogni giorno. Afroamericani in primis, ma tutti in generale, perché quanto sta accadendo negli USA è un colpo allo stato di diritto. E questa sfida l’NBA ha deciso coraggiosamente di giocarla assieme nell’unico modo possibile per dare un segnale storico: fermandosi.