Quando si parla di campioni e vere e proprie leggende come David Silva, il tifo per la propria squadra del cuore non può che passare in secondo piano. Il fatto che un giocatore di questo calibro sia destinato a diventare la leggenda, anche se con la maglia di una squadra non certo vista di buon’occhio dai più romantici del calcio come il Manchester City, è sembrato più che lecito praticamente a tutti, anche a chi è stato suo rivale per anni, come i tifosi dello United.
David Silva, da poche ore, è un nuovo giocatore della Real Sociedad. Sognava di chiudere la sua carriera ai Citizens vincendo quella Champions League tanto sognata e, invece, si è dovuto fermare ancora una volta ben lontano anche soltanto dalla potenziale finale. Da ieri sera, El Mago è tornato nella “sua” Spagna, la terra lasciata ormai dieci anni fa, proprio nel momento in cui le sue giocate avevano già fatto brillare gli occhi ai tifosi del Valencia nei tempi d’oro dei “Pipistrelli”.
Era il 2010, sulla panchina del Manchester City c’era Mancini e gli sceicchi avevano deciso di provare una nuova ondata di acquisti pesanti: oltre a Silva, arrivarono Yaya Touré, Kolarov, Milner e Balotelli. Salvo quest’ultimo, tutti elementi che avranno un ruolo fondamentale negli anni a venire, a partire dalla prima Premier League vinta dopo 44 anni.
Qualcuno sostiene che quella di Silva sia stata una scelta di vita, che tutto sommato fosse arrivato il momento di tornare a casa, in particolare in quella terra basca che già lo aveva ospitato con la maglia dell’Eibar: era il 2004, aveva 18 anni e per lui era la prima esperienza in prestito dal Valencia Mestalla. Una dimensione totalmente opposta a quella luminosa e calda di Gran Canaria, suo luogo di nascita, e di Valencia: Eibar è una città a 130 metri sopra il livello del mare, circondata da montagne alte 700 metri, con un clima oceanico (tradotto, tanta pioggia e temperature raramente sopra i 20 gradi: perfetto per prepararsi a quello che lo attenderà a Manchester) e appena 27mila abitanti. Silva era arrivato per sgrezzarsi in seconda divisione e l’avventura andò benissimo (35 gare e 2822 minuti giocati sono numeri importanti per un 18enne), creando le basi del futuro campione.
Ritorni romantici a parte, però, David Silva rimarrà anche il grande colpo mancato per la Lazio, che per settimane è sembrata a un passo dalla chiusura del suo acquisto. Difficile spiegare le ragioni senza essere dentro a determinate situazioni. Si sarebbe potuto fare di più e capire che un gioiello simile sarebbe stato solo un affare a parametro zero. E per questo se troviamo la forza e il coraggio di mettere da parte la nostra fede calcistica, possiamo andare anche oltre: a perderci stavolta è proprio tutto il calcio italiano.
In David Silva, Inzaghi non avrebbe trovato l’inevitabile esperienza di un 34enne che ha totalizzato più di 630 presenze in carriera. Lo spagnolo sarebbe potuto diventare il metronomo perfetto per il centrocampo biancoceleste, utilizzabile sostanzialmente ovunque: in mezzo al campo, mezzala, trequartista (suo ruolo naturale già dai tempi del Valencia), ma potenzialmente anche come esterno o persino mezza punta, alle spalle di Immobile.
Il fisico, ovviamente, non è più quello dei migliori anni, ma giocatori con le sue caratteristiche non conoscono praticamente età (chiedetelo a uno come Cazorla, che al Villarreal è rinato nonostante una serie di infortuni che sembravano aver chiuso la sua carriera). Negli ultimi anni, Guardiola lo ha arretrato a mezzala sinistra, lasciandogli prendere maggiori responsabilità, sfruttando pienamente il suo talento nel far girare palla a terra, resistere alla pressione avversaria per poi aprire in due la retroguardia avversaria. Silva può partire da vie centrali della trequarti e poi muoversi eventualmente sull’esterno (tornando al ruolo da cui è sostanzialmente partito) per creare nuove linee di passaggio.
I numeri nelle sue poco più di 300 presenze in Premier League testimoniano queste sue qualità: 18 mila passaggi, con una media di 60.84 a partita, per un totale di 93 assist. Un dato, quest’ultimo, che va combinato con la definizione a lui attribuita da Xavi di “re del pre-assist”, ovvero il passaggio al compagno che lo trasformerà successivamente in assist vincente. Guardiola, insomma, lo ha reso un giocatore sostanzialmente totale, capace di spaziare nella stessa azione da regista che agisce dietro le linee di pressing avversario a mezzala fino a diventare seconda punta che si inserisce in area (classico marchio di fabbrica del tecnico spagnolo).
Questa versatilità tecnica e tattica avrebbe fatto tanto comodo al gioco di Inzaghi, che può già contare su un ottimo dialogatore come Luis Alberto. Ma era anche la curiosità di vederlo in azione in Italia, in una dimensione diversa da quelle vissute finora, che spingeva un po’ tutti nel volerlo vedere in maglia biancoceleste. La notevole capacità di adattare la propria tecnica al contesto in cui si è trovato in carriera sarebbe stata la garanzia che, anche a 34 anni, Silva non sarebbe andato a Roma per svernare.
D’altro canto, “Merlin” stesso (come lo chiamavano a Manchester) è consapevole che la tecnica non è mai sufficiente. Nemmeno per chi è cresciuto ad Arguineguín, dove non esistono campi in erba ed è la spiaggia a formare la tecnica, la conduzione e il controllo del pallone di chi cresce qui (come sostenne anni fa José Carlos Álamo, un tecnico del posto che seguì da vicino anche lo stesso centrocampista).
Serve la testa, quella che ha formato studiando Michael Laudrup negli anni ’90 e gli ha permesso di compensare quel fisico esile inizialmente ostacolo alla sua carriera (dal Real Madrid fu scartato proprio per questa ragione). E, alla luce di quanto anche nella sua ultima stagione all’Ethiad, quella ci sarebbe stata ancora eccome, regalando a tutti i tifosi italiani (e non soltanto quelli della Lazio) gli ultimi gioielli di uno dei centrocampisti più fini e intelligenti del calcio contemporaneo.