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Perché Guardiola resta uno dei più grandi allenatori di sempre, a prescindere dal Lione

Per il terzo anno di fila, il Manchester City si ferma ai quarti di finale di Champions League. La grande Coppa mancante dalla bacheca dei Citizens, trasformati in poco più di un decennio da un club di seconda fascia a “big” del calcio mondiale grazie ai pesanti investimenti degli sceicchi, resta una vera maledizione, quell’apice che questo progetto milionario non riesce a raggiungere. Nemmeno con Guardiola, l’uomo scelto proprio per raggiungere quel trofeo che, prima di lui, Mancini e Pellegrini hanno mancato.

Per il quarto anno di fila, soprattutto, il City esce contro una squadra sulla carta inferiore: prima il Monaco, poi il Liverpool di Klopp (che tre anni fa ancora non era la squadra devastante di oggi) e il Tottenham di Pochettino e, infine, l’Olympique Lione. Quest’ultima è stata senza dubbio la sconfitta più clamorosa, perché arrivata contro una squadra reduce da mesi di fermo (cosa che, improvvisamente, sembra essere diventata un vantaggio, a leggere i tanti pareri), arrivata settima in Ligue 1 e con una squadra che, salvo alcuni singoli di spicco (il brillante Aouar su tutti), resta di medio livello.

L’eliminazione di ieri sera ha fatto cominciare una nuova crociata contro Guardiola: come si può considerare lo spagnolo come uno dei più grandi allenatori di sempre se, al di fuori del Barcellona, non ha mai vinto nella massima competizione europea, nemmeno con i quasi 800 milioni di euro spesi nel City?

Dobbiamo partire da un’amara, ma doverosa premessa: quella che si è appena conclusa è stata una stagione a dir poco disastrosa per il Manchester City. E, attenzione, non lo dico alla luce dei risultati in Champions League. Possiamo veramente trarre dei giudizi sulla base di una competizione che si sta disputando per il puro senso di chiudere in qualche modo la stagione e salvare i soldi degli sponsor? Una competizione reinventata con la creazione ad hoc di una Final Eight, a gara secca, e mettendo contro squadre che hanno seguito percorsi totalmente differenti in questi mesi, con squadre che non giocano da mesi e altre che hanno fatto un finale di stagione con partite ogni 3-4 giorni?

Lo dico in base a quanto è successo nelle altre competizioni. Il Manchester City ha vinto sì la League Cup, ma è anche stato eliminato in semifinale di FA Cup dal suo allievo Arteta, contro un Arsenal reduce da una delle stagioni peggiori della sua storia recente. E, soprattutto, ha chiuso il campionato con un inaccettabile distacco dalla capolista di 18 punti. Il Liverpool di quest’anno difficilmente avrebbe mai potuto trovare una concreta rivale, ma uscire dalla corsa titolo praticamente a metà stagione è un’umiliazione troppo grande per una squadra che spende cifre simili sul mercato. E di questo, anche Guardiola ne ha le colpe, senza dubbi.

Era inevitabile che, al primo scivolone, l’ex Bayern Monaco e Barcellona sarebbe stato additato come un fallito. È un giudizio generale, ma che si estranea completamente dall’andamento della gara contro l’Olympique Lione: chi ha visto la partita non può non ammettere che, nel bilancio generale, a essere pesati sulla gara sono stati più errori individuali che quelli, presunti commessi da Guardiola in panchina.

L’unica perplessità che rimane delle scelte fatte dal tecnico spagnolo riguarda il modulo scelto, un 3-5-2 forse troppo cauto e con degli interpreti in difesa non adatti a questo sistema: Fernandinho è ormai alla fine della sua carriera, Garcia è un interessante talentino ma che ancora deve crescere davvero, Laporte in serata no. D’altro canto, l’idea sembrerebbe essere stata più del vice Lillo, così fortemente voluto due mesi fa, ma che stavolta davvero non è stato di alcun aiuto. E poi, che altro? Quanto può incidere concretamente un allenatore se Ederson vive una delle sue peggiori notti da quando è a Manchester e se Gabriel Jesus e Sterling si divorano reti teoricamente facili?

Nulla mi allontanerà dalla convinzione che, senza gli errori dei singoli, oggi saremmo a parlare del City come la grande avvantaggiata per vincere la Champions League. E di Guardiola come del solito genio calcistico. Ma il giudizio di tutti noi finisce per estinguersi in unico, limitato parametro: quanto e cosa si vince, sul risultato immediato. Cancellando tutto il resto e anche la storia stessa del calcio contemporaneo.

Il calcio che conosciamo oggi è anche, se non soprattutto, frutto dei suoi insegnamenti e del suo gioco. Dal 2008 in avanti, Guardiola è stato il principale regista di uno specifico modo di giocare, di una maniera nuova di intendere questo gioco e anche il rapporto con i giocatori. Vedersi il docu-film All or Nothing: Manchester City sarebbe un buon modo per provare ad avvicinarsi alla comprensione di quello che, piaccia o no, è diventato un modello imitato e riprodotto da più parti (chiedetelo ad Arteta, che all’Arsenal ne imita addirittura il modo di esprimersi e gesticolare). Ha introdotto una rivoluzione che ha toccato direttamente i suoi club, ma indirettamente anche gli altri. E questo, un’amara eliminazione dalla Champions League non può in nessun modo cancellarlo.

Lo stesso Manchester City di oggi è una squadra impregnata della sua filosofia. L’ha trasformata in una squadra capace di giocare un calcio fine (cosa che non faceva né con Mancini né con Pellegrini), al suo interno ha introdotto degli interpreti geniali, ma ha anche fatto passare a un livello successivo membri già esistenti in rosa: Sterling, ieri sera a parte, e De Bruyne sono i più chiari esempi del lavoro fatto su di loro da Guardiola. E presto emergerà un campione di cui tanto si parlerà e che è il modello perfetto di calcio totale “alla Guardiola” come Phil Foden.

Ciò che manca al Manchester City di oggi è probabilmente una miglior gestione delle risorse economiche, ma anche la necessità di creare una nuova generazione che sostituirà a breve i vari Fernandinho, David Silva e Agüero. Ma l’eliminazione brucia ora, in questo preciso momento, e Guardiola sa già che se ci sarà per lui una stagione 2020-2021 al Manchester City, sarà quella decisiva.

Con il Financial Fair Play mezzo sospeso, la tentazione di una nuova rivoluzione interna è troppo forte per essere rimandata: gli arrivi di Aké e Ferran Torres sono già dei chiari esempi di ciò che ci attenderà. Non sono convinto che continue, pesanti spese sul mercato siano la soluzione migliore, alla luce di quanto visto in questi anni. Quello che di sicuro non cambierà in questo Manchester City sarà la filosofia di gioco di Guardiola. La stessa che, ne sono certo, avreste esaltato ancora una volta se ieri sera le cose fossero girate nel verso giusto.

P.S. Non è stato sottolineato abbastanza quanto abbia pesato nel corso di questa stagione l’addio a metà di Arteta come vice: il basco è stato uno straordinario braccio destro di Guardiola per un anno e mezzo, ha fornito spesso letture e indicazioni fondamentali a gara in corso e quel vuoto, è evidente, non è stato ancora colmato da Lillo.