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In Giappone gli atleti minorenni sono vittime di continui abusi e violenze

Nell’estate 2021 sarà il Giappone ad avere l’onore di ospitare le Olimpiadi e le Paraolimpiadi, rinviate tra l’altro di un anno a causa dell’emergenza Covid-19 soltanto qualche mese fa. Ma nel Paese orientale continua da anni a persistere una minaccia drammaticamente grave che tocca nel profondo il cuore stesso dello sport nazionale: gli atleti minorenni continuano a subire gravi violenze fisiche, sessuali e verbali durante gli allenamenti, con spesso tragiche conseguenze come depressione, suicidi, disabilità fisiche e traumi destinati a durare tutta la vita.

A condannare il silenzioso dramma che si consuma nell’isola da ormai decenni è stato un report di 67 pagine realizzato da Human Rights Watch (“I was Hit So Many Times I Can’t Count: Abuse of Child Athletes in Japan”), che ha denunciato la storia giapponese della punizione fisica nello sport (nota come taibatsu): ogni anno, tanti ragazzi e bambini trovano nelle scuole, le federazioni e negli sport d’élite non un’occasione per sfogarsi o valorizzare un proprio talento, ma l’inizio di una vera e propria tortura.

Le interviste e i sondaggi realizzati hanno riportato le storie più orrende di 800 atleti provenienti da più di 50 sport: colpi in faccia, calci, fustigazione con oggetti come bastoni di bambù, privati di acqua, soffocamenti, persino abusi sessuali. In nome dei successi alle competizioni internazionali e delle medaglie, insomma, intere generazioni stanno rischiando di attraversare traumi destinati a cambiare le loro vite da adulti.

In realtà, osserva Human Rights Watch, non si tratta di una novità: già nel 2013, proprio mentre il Giappone preparava l’offerta per ospitare le Olimpiadi, emersero diversi casi, attraverso filmati, di casi di abusi verso gli atleti; nel 2018, emerse invece un video che mostrava un allenatore di basket della scuola della Prefettura di Aichi che ripetutamente schiaffeggiava, picchiava e tirava calci ai suoi giocatori.

Casi che causarono un complessivo sdegno popolare, portando il Governo ad adottare delle riforme per creare delle vie effettive per denunciare gli abusi. Ma HRW fa osservare che si tratta semplicemente di guide linea più che di leggi, che nessun progresso è stato registrato e non vi è nemmeno nessun obbligo di riportare le denunce o statistiche sugli abusi: il tutto in aperta violazione degli stessi Regolamenti del Comitato Olimpico Internazionale sulla salvaguardia degli atleti. Ma gli abusi verso i minori sembrano essere diventati ormai fatto comunemente accettato e normalizzato da parti della società, rendendo ancora più difficile la possibilità di denunciare.

Daiki, pseudonimo di un atleta professionista, ha parlato della sua esperienza alla junior high school come giocatore di baseball: “Sono stato colpito così tante volte che non riesco a contarle. Tutti coloro che fanno parte della mia attuale squadra sono stati violentati, tutti hanno avuto esperienza con il tabatsu. Stavo giocando a baseball come lanciatore, ma disse che non ero abbastanza serio nella corsa, quindi venimmo tutti chiamati a raccolta e lui mi colpì in faccia davanti a tutti. Stavo sanguinando, ma non ha smesso di picchiarmi. Dicevo che il mio naso sanguinava, lui non si è fermato.”

Chieko T., altro pseudonimo di un’atleta nell’est del Giappone, ha vissuto questa esperienza: “Quasi ogni giorno dopo l’allenamento, il mio allenatore mi incontrava nel suo ufficio, mi chiedeva di togliermi i vestiti e mi toccava il corpo nudo, dicendo che lo stesse facendo per un trattamento. Ogni volta volevo vomitare, il suo odore, le mani, gli occhi, la faccia… la voce, odiavo tutto di lui”.

“Mi colpì sul mento e stavo sanguinando dalla bocca. Mi tirò su dal colletto. Il 90% dei miei compagni squadra aveva avuto esperienze di abusi fisici“, racconta Shota, ex giocatore di baseball nella Prefettura di Saitama. Naomi Masuko, ex star della pallavolo a livello Nazionale femminile che nel 2015 fondò un torneo di questo sport che vietava gli abusi da parte degli allenatori.

HRW fa osservare che in tutto il mondo sono sempre di più gli Stati al centro dell’attenzione: due presidenti di federazioni sportive, quelle di Haiti e Afghanistan, sono stati accusati di violenza sessuale verso le atlete; il dottore dell’United States Olympic Larry Nassar ha abusato di centinaia di ginnaste per decenni; senza dimenticare il drammatico suicidio dell’atleta di triathlon Choi Suk-hyeon nemmeno un mese fa.

In Giappone, tra l’altro, la questione dei suicidi è sempre stata storicamente delicata, anche a causa dell’alto livello di tolleranza culturale: in alcune circostanze, viene addirittura ritenuto come un modo onorevole di morire. I più alti tassi di suicidi riguardano fasce piuttosto giovani: quella dai 20 ai 44 anni per gli uomini e i 15 e 34 per le donne. Ovviamente, non è lo sport la principale ragione di queste morti, ma l’esposizione sempre più frequente dei minori a questi tipi di abusi può creare traumi che possono aggiungersi ad altri problemi drammatici della vita quotidiana.

La richiesta di Human Rights Watch è chiara: creare un Japan Centre for Safe Sport, un organo amministrativo indipendente con il compito di ricevere le denunce, stabilire potenziali soluzioni per gli atleti e le loro famiglie (spesso vittime a loro volta di gravi minacce quando tentano di esporre i fatti) e tutelando i minori identificando e decertificando gli allenatori violenti. Per farlo, convincendo il mondo intero che la tutela dei diritti dei minori viene prima delle medaglie, il Giappone ha ancora un anno di tempo. E nessuna emergenza sanitaria o economica potrà scusare una simile negligenza.