Per Renato Pozzetto la vita “l’è bèla, l’è bèla” da ottant’anni, vissuti nella maniera più circolare possibile, come pochi hanno saputo fare. Attore, cantante, comico, cabarettista, sceneggiatore e regista. Con quella sua mimica facciale inconfondibile ed il suo umorismo surreale ha cresciuto e divertito intere generazioni appassionate dei suoi film. Caratterista, insieme all’amico Aurelio Ponzoni (“Cochi”) e ad Enzo Jannacci, della Milano da bere e da cabaret degli anni ’60-’70. Capace di impersonare il povero nullatenente che si barcamena nella vita per sopravvivere, ma altrettanto credibilmente il ricco benestante del boom economico che affronta i pregiudizi della società italiana. Nel suo poliedrico modo di vivere, c’è stato spazio, eccome, anche per lo sport. È il 1978 e in Italia si corre un giro non soltanto su due ruote, ma anche su quattro: è il Giro automobilistico d’Italia. Parte da Torino, sede della FIAT, e si conclude a Milano. La prima edizione nel 1901. Lo scopo della corsa era principalmente quello di propagandare l’automobile e invogliare i pochi italiani che potevano permettersela ad acquistarla. Proprio come la corsa a tappe ciclistica, anche le auto percorrono lo stivale toccando le principali città.
Il 18 Ottobre al volante della piccola Fiat Ritmo 75 TC Abarth c’è Riccardo Patrese, grandissimo pilota italiano dal palmarès luccicante: campione del mondo con i kart, campione italiano ed europeo di Formula 3, in Formula 1 dal 1977 al 1993 con 256 Gran Premi e 6 vittorie. Record rimasto imbattuto per quindici anni. Uno degli antagonisti principali del ribelle James Hunt, oltre al noto dualismo del britannico con Niki Lauda. Patrese è coadiuvato da due piloti: Piero Sodano… e Renato Pozzetto! Già, proprio lui, grande appassionato di motori, al punto da spingersi a competere da dilettante in una gara molto seguita all’epoca. In quell’occasione funse da “gentleman driver”, alternandosi alla guida della Ritmo con Patrese. E fu un successo, perché i tre chiusero la corsa come quarti di classe e primi di categoria.
Ma non finisce qui, perché la passione motoristica di Renato coglie l’onore delle cronache anche dieci anni più tardi, addirittura alla Parigi-Dakar, indubbiamente la corsa più avventurosa di tutto il mondo. Con la partenza dalla capitale francese e dopo un prologo in Europa, ci si sposta in Africa e si attraversano diversi Paesi, tra dune, ostacoli ed il temibile deserto del Sahara, fino ad arrivare a Dakar, la capitale del Senegal. Corrono auto, moto e addirittura i camion. È l’alba del 1987, il 1 Gennaio e la corsa prevede 18 tappe ed una serie di trasferimenti (circa 13.000 km), con 18 prove speciali, per un totale di 8.315 km. È questa, storicamente, una competizione molto dura, troppo spesso foriera di incidenti, anche gravi, e che ha lasciato vittime sul cammino. Tante polemiche si sono succedute negli anni sulla sicurezza e sull’opportunità di esporre i piloti a tanti rischi. Quell’anno, ovviamente, non fece eccezioni, basti pensare che, dei 73 camion iscritti, ne arrivarono al traguardo soltanto 25. E al quinto posto si piazzò proprio Renato Pozzetto, su un camion della Cagiva al fianco dell’esperto Giacomo Vismara che, in altre edizioni, fu assistito anche da Ambrogio Fogar. In un’intervista del 1989 lo stesso Pozzetto spiegò la particolarità di una corsa in mezzo al deserto: “Facevo già dei rally quando ero ragazzino, ma la Dakar è una gara talmente lontana dalla realtà e dalla logica da non poter essere giudicata. C’è tanta difficoltà e c’è modo di vedere come tutto si semplifica nella difficoltà. Per me l’avventura vera è la vita, poi ci sono momenti più esaltanti di altri e chissà se c’è più avventura ad uscire la mattina di casa a Milano o ad attraversare il deserto. Qui c’è molta ambivalenza, attraversi momenti di estrema ostilità, ma anche dolcezza, come il deserto del Sahara e c’è promiscuità, perché tutti si interessano agli altri, voglion sapere se sono arrivati, se è andato tutto bene. C’è una dimensione molto umana, questo niente che livella tutto fa emergere i veri valori umani. Io mi reputo un pendolare tra la vita e Laveno, dove ho la casa di campagna e ci sono i miei genitori”.
L’attore milanese ha trasposto la sua passione per i motori spesso nelle scene dei suoi film. Sempre nel 1978, in quel capolavoro del “nonsense” comico che è “Io tigro, tu tigri, egli tigra” (in cui sono presenti anche Cochi Ponzoni, Enrico Montesano, Massimo Boldi, Paolo Villaggio e la conturbante Nadia Cassini) e lo si vede in sella ad un motocarro elaborato a mo’ di auto da corsa della Ferrari, mentre scorrazza tra le vie di campagna come fosse il circuito di Monza. Sempre con Paolo Villaggio, nella celebre saga “Le Comiche” diretta da Neri Parenti, gira una scena proprio nel deserto del Sahara. I due, dopo esser stati arruolati nella legione straniera in Marocco, fuggono dopo un fallito attentato e incontrano addirittura il Papa. Ne approfittano per rubargli la papamobile e si imbattono nel percorso della Parigi-Dakar. Il pontefice li insegue su una moto guidata da una guardia svizzera e vincerà addirittura la corsa! Come se non bastasse, quel film termina con un’altra fuga, stavolta su un’auto della Polizia, guidata da Pozzetto (vestito da Babbo Natale) alla sua maniera, cioè surreale, passando dentro un autobus e tuffandosi in una piscina da un acquascivolo.
Nel 1987 recita nel film “Da Grande”, regia di Franco Amurri, in cui interpreta un bambino che sogna di diventare grande e… diventa Renato Pozzetto, salvo poi voler desiderare di tornare com’era. Vinse il Nastro d’Argento nel 1988 e in America ne gireranno un remake, “Big”, con Tom Hanks ed Elizabeth Perkins. Nella scena finale, il grande pozzetto fugge su una Ford Scorpio in stato confusionale, inseguito dalla Polizia. Magicamente, ritorna bambino e può tornare dalla sua famiglia.
È del 1991, infine, il film comico “Piedipiatti” di Carlo Vanzina, in cui Pozzetto recita sempre al fianco di Enrico Montesano, entrambi con il ruolo di poliziotti. In una delle prime scene del film, Renato si districa come pilota, al volante di un’Alfa Romeo, in un improbabile inseguimento poliziesco per le strade di Milano, con tanto di passaggio all’esterno dello stadio Meazza e intrufolamento nella metropolitana, linea 1 fermata Molino Dorino, per inseguire un falsario.
Insomma, ogni volta che ha potuto, nella vita reale e cinematografica, Renato Pozzetto ha realizzato i suoi sogni, sportivi e professionali, dimostrando di essere una delle personalità artistiche più creative del Novecento italiano. Ci ha fatto ridere e ci farà ridere ancora, perché se “il treno è sempre il treno (cit. Il ragazzo di campagna)”, anche Pozzetto sarà sempre Pozzetto. A prescindere dalla carta d’identità. Tanti auguri di buon compleanno Renato, ottant’anni vissuti come un’avventura!