Mercoledì notte, il sipario si è alzato finalmente anche in MLS, con i primi eventi sportivi maschili di squadra negli Stati Uniti. Si è ripartiti da Orlando, in particolare nella “bolla” del Disney Wide World of Sports Complex, in cui tutti le 26 squadre della Major League Soccer (fatta eccezione per Dallas, che si è ritrovato con 10 positivi al covid-19 tra rosa e staff, e Nashville, che ha avuto 5 giocatori positivi) prenderanno parte al “Mls is back Tournament”: organizzato in stile Mondiale, si darà il via a un tour de force per la conclusione entro l’11 di agosto. Gare che conteranno anche per la regular season e la vincente del torneo si qualificherà di diritto alla Concacaf Champions League del 2021.
Proprio come la NBA, insomma, Disney World è diventato il luogo in cui provare a ripartire dopo mesi di paura e, soprattutto, proteste. Perché i movimenti in sostegno del “Black lives Matter” non si sono ancora fermati per le strade e anche il calcio americano ha voluto fare la sua parte per offrire il proprio tributo alla morte di George Floyd e aumentare la pressione mediatica su Governo e autorità locali.
In tutto il mondo si è assistito a gesti simbolici di giocatori inginocchiati dopo un gol o addirittura al calcio d’inizio di tutte le partite, come accade in Inghilterra, dove tra l’altro si è deciso di sostituire addirittura tutti i nomi dietro le maglie dei giocatori con la scritta Black Lives Matter. A significare che, a prescindere di chi siamo e di quale sia la nostra storia, si è tutti uniti nella stessa maniera in questa battaglia. Lo scorso week-end anche la Formula 1 si è unita alla protesta, nonostante la decisione di alcuni piloti di non inginocchiarsi.
Ma è probabilmente al calcio d’inizio di Orlando City- Inter Miami di ieri sera che si è assistito alla protesta più forte, più commovente tra quelle viste finora. Forse inevitabilmente, perché chi più dei giocatori americani può sentire vicine le vicende avvenute in questi mesi e l’ondata di indignazione che ne ha fatto seguito. Il difensore del Toronto Justin Morrow, anche direttore esecutivo dell’organizzazione Black Players for Change, aveva anticipato la volontà dei giocatori della MLS di far sentire la propria voce.
A pochi minuti dall’avvio, a mettere in scena una protesta ben visibile non sono state soltanto i giocatori delle due squadre scese in campo per giocare, ma anche quelli di tutte le altre del campionato che appartengono al Black Players for Change, arrivati a Orlando per giocare. I giocatori sono entrati in silenzio in campo con un guanto nero, magliette nere con su scritto “Black and Proud”, “Silente is Violence”, “Black All the Time”, le mascherine nere con su scritto “Black Lives Matter”, per poi dare il via alla protesta: Orlando City e Inter Miami inginocchiate sul cerchio di centrocampo, tutti gli altri ai lati, formando quasi una barriera protettiva, in piedi con il pugno alzato, in un gesto che ricorda la protesta di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi del 1968 in Messico.
La manifestazione è durata esattamente 8 minuti e 46 secondi: lo stesso tempo impiegato dall’ufficiale di polizia Derek Chauvin per schiacciare con il ginocchio il collo di Floyd, fino a ucciderlo. Una protesta silenziosa, condivisa da più di cento calciatori, che fa sentire lontanissimi i tempi in cui quel gesto, compiuto dal quarterback dei San Francisco 49ers Colin Kaepernick durante l’inno nazionale, scatenò numerose proteste, fino a vedersi negato il rinnovo di contratto, senza più ricevere alcuna chiamata per un nuovo ingaggio. Il vento ha cambiato direzione e, per la prima volta da decenni, la questione è tornata a emergere con forza e voglia di cambiamento. E la MLS non si è voluta tirare indietro, mettendo in scena la protesta emotivamente più forte tra quelle viste finora.