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Milan, su la testa. Contro la Juventus, il capolavoro di Pioli

Atletismo. Per poter competere nel calcio di oggi è fondamentale che i calciatori siano atleti dalla muscolatura forte ed elastica, è la base per poter reggere gli alti carichi di lavoro e partite di una stagione intera. E ciò che stupisce maggiormente di questo Milan post-lockdown è l’esuberante atletismo dimostrato e culminato nella gara più difficile: quella contro la Juventus. Ricordate il 5-0 di Bergamo prima dello scorso Natale? Beh, dimenticatelo. È preistoria calcistica. Dalla ripresa del campionato i rossoneri sono virtualmente secondi, dietro soltanto all’Atalanta che ha sempre vinto. Già in semifinale di Coppa Italia, sempre contro la Juventus, la squadra di Pioli aveva dato un primo segnale di compattezza, ma il motore era ancora in rodaggio. Una volta partito, però, non lo ha fermato più nessuno. Ci è voluto un eurogol di Floccari a Ferrara per spezzare l’anello perfetto di vittorie, ma è parso più come un inciampo in una corsa sfrenata. E se i cavalli di razza si vedono soltanto alla fine, questo Milan è sulla strada giusta per poter arrivare al traguardo. La squadra corre, forse non va a razzo, ma è costante per novanta minuti e, in questo periodo afoso dell’anno, conta eccome. Certo, non si può pensare che, con le partite ravvicinate e con il caldo imperante, la squadra viaggi sempre a ritmi sostenuti. Ecco allora, però, che subentrano altre componenti che stanno funzionando. Componenti incastrate tra loro come un puzzle già prima che il mondo si fermasse per la pandemia. Innanzitutto Ibrahimović: il suo arrivo è stato come il primo tuffo in mare che toglie via tutto il sudore di dosso. Una carica di adrenalina incredibile. L’elisir di eterna giovinezza. Ha dato al resto della squadra una personalità che prima restava implosa negli altri giocatori, una spavalderia goliardica che ha unito tutto il gruppo e lo ha tenuto ben saldo dagli scossoni societari fuori dal campo. Mentre, sul rettangolo verde, le partite sono state affrontate con il giusto spirito: sono gli altri che devono aver paura del Milan, non noi. E a 38 anni ha una gestione così equilibrata del suo corpo da annullare completamente la carta d’identità.

In un fermo immagine durante la partita contro la Juve, lo si è visto sovrastare in elevazione un difensore strutturato e più giovane di lui come Bonucci. Impressionante. Contro l’Inter nel derby (prima di perderlo nel finale), quindi nella semifinale d’andata contro la Juventus, il Milan ha capito di avere basi per potersela giocare con tutte, c’era solo da affinarsi come squadra. E qui interviene Stefano Pioli, condottiero dal destino già segnato che, grazie alla sua intelligenza, ha deciso di fare l’unica cosa possibile: dare un’identità alla squadra ed ottenere il massimo che può per dimostrare di essere non solo un traghettatore, ma un ammiraglio. Il mercato di gennaio non ha portato solo lo svedese, ma anche un giovane belga di belle speranze e dal nome impronunciabile che, in punta di piedi, sta tirando fuori gli artigli: Alexis Saelemaekers. Prelevato dall’Anderlecht per soli 3.5 milioni, ha saputo conquistarsi la fiducia di tutti, ottenendo il riscatto per una cifra intorno ai 7 milioni. Oggi contende il posto a Castillejo, ma può giocare anche dietro come alternativa a Conti (Calabria ormai destinato al ruolo di comprimario) e, perché no, supplire a centrocampo quando serve. Duttile, intelligente, non tocca mai il pallone più di quanto serva. Da un suo cross nasce l’autogol di Vicari per il 2-2 in extremis contro la Spal, contro la Lazio una prestazione maiuscola e anche contro la Juve, sebbene sia apparso un filo meno lucido, ha dato il suo contributo.

La sagacia di questo Milan è anche tattica. Contro la Juventus, Ibrahimović, ben consapevole di avere una difesa forte contro cui confrontarsi, è rinculato fino a centrocampo per prender palla e duettare con i compagni, lasciando a Rebic il compito si schizzare via in profondità. Nel primo tempo, nonostante il possesso palla bianconero, con questo metodo sono state rossonere le occasioni più importanti. E nella ripresa, dopo due scivoloni in rapida successione che avrebbero ammazzato chiunque (eurogol di Rabiot e bis di Ronaldo su topica della coppia Romagnoli-Kjaer), la squadra ha saputo reagire in virtù della condizione fisica eccellente e di quella personalità battente bandiera di Malmoe. Bennacer ha dato giustificazione alle voci di mercato che lo circondano, lottando su tutti i palloni e gestendo il traffico. Con una qualità in fase di impostazione della manovra che non si vede dai tempi di Pirlo. Con le dovute differenze, ovviamente. Conti, sull’out destro, gioca finalmente con la dovuta tranquillità e forma con Theo Hernandez una coppia di terzini che, finalmente, può sostenere l’azione offensiva e dare ampiezza al gioco. Ibra davanti catalizza l’attenzione e libera gli spazi per i luogotenenti alle sue spalle, di questi Rebic è il soldato più efficace. Venti partite, dieci gol e un assist. Contro la Juve il gol che lo ha mandato in doppia cifra. Impensabile, a vederlo ai margini nei primi due mesi di campionato. C’è poi il giovane Leão, plasmato da Ibrahimović, come Prometeo con il fuoco. Non ha ancora dimostrato continuità e costanza da meritare la titolarità fissa, ma è diventato il dodicesimo uomo di lusso da utilizzare a partita in corso. Con il suo atletismo innato, dà quegli strappi necessari nei momenti di difficoltà. E sta cominciando anche a segnare. Gol da subentrato a Lecce, gol da subentrato a Ferrara, gol da subentrato contro la Juventus. Un Altafini 2.0 praticamente. Il “balance” (come lo chiama Ibra) tra attacco e difesa è un altro fattore vincente: 4 gol al Lecce, 2 alla Roma, 2 alla Spal, 3 alla Lazio e 4 alla Juventus. Quindici gol fatti e cinque subìti e con Donnarumma che ha conquistato ben 12 clean sheet fin qui in campionato, cioè dodici occasioni senza subire gol. Nessuno in Serie A come lui. Battute tre “big” come Roma, Lazio e Napoli, per questa squadra una vera e propria Pasqua di resurrezione calcistica. Da troppo tempo, infatti, i tifosi erano abituati a masticare amaro contro rivali di pari grado.

Peccato per la classifica, sfilacciata ormai in maniera irreparabile. Questo Milan è stato dottor Jekyll nel 2019 e mister Hyde nel 2020 e, per questo, deve fare i conti con le prime quattro posizioni a distanza di sicurezza. Ibrahimović, con la sua consueta umiltà (sono sarcastico), ha detto ieri: “Al Milan sfortunati, se ero qua da primo giorno vincevamo lo Scudetto”. Esagerando, ha però centrato il punto. Con lui in campo, con Pioli in panchina, questo Milan poteva giocarsi la Champions League. Ora c’è da conquistare la quinta piazza, per evitare i preliminari di Europa League. Roma e Napoli devono ancora giocare e potrebbero scavalcarlo, in ogni caso in questo finale di stagione sarà corsa a tre per quell’obiettivo. E domenica c’è Napoli-Milan.