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Buon compleanno Italia ’90 – Il tramonto barese di Rinat Dasaev

Il grande portiere dell’Unione Sovietica, un mito del calcio europeo, considerato tra i migliori in circolazione per tutti gli anni Ottanta. Rinat Dasaev arrivò al suo terzo Mondiale, quello di Italia ’90, ormai agli sgoccioli. Fu un mesto e malinconico addio ai riflettori.

LA FREDDA ASTRACHAN. Nato nel 1957 nella fredda Astrachan, Rinat Dasaev debuttò nel principale club della sua città nel 1976. L’anno dopo il passaggio allo Spartak Mosca, sodalizio a cui avrebbe regalato le stagioni migliori della carriera. Nonostante i trascurabili risultati dello Spartak nelle coppe europee, la notorietà internazionale di Dasaev cresce e si consolida grazie alle prestazioni tra i pali dell’Unione Sovietica, difesi per la prima volta nel 1979. Vince il bronzo olimpico a Mosca 1980 e gioca il suo primo Mondiale due anni più tardi, in Spagna. L’estremo difensore cresciuto a pochi passi dal Volga inizia la propria leggenda, attirando l’attenzione della stampa estera e la considerazione generale nei suoi confronti: un portiere dallo stile sobrio, efficace, elegante, diventato il simbolo della Nazionale sovietica negli anni Ottanta. In quel decennio viene riconosciuto tra i primissimi portieri al mondo. Un mito, anche per gli appassionati: una maglia celeste o gialla marchiata Adidas, con la scritta bianca CCCP sul petto; la fascia da capitano sul braccio sinistro; lo sguardo serio e glaciale. Signore e signori, l’icona Rinat Dasaev. Prende parte anche al Mondiale messicano nel 1986 e guida da par suo l’URSS nella cavalcata di Euro ’88. Tuttavia, manca l’appuntamento con la gloria nella finalissima contro l’Olanda. Non viene infatti ritenuto esente da colpe sulla celebre volée di van Basten, nel 2-0 conclusivo. Le cose non si mettono bene per lui, da quel momento in poi.

IL TRAMONTO ITALIANO. Viene tacitamente riconosciuto tra i responsabili di quel tonfo, l’ultima occasione che avrebbe potuto regalare un trionfo internazionale all’Unione Sovietica. Ragazzi, il vento è cambiato. Il mondo, sta cambiando. Nel 1989 cade il Muro di Berlino, il tramonto dell’URSS si avvicina a grandi passi. Sullo stesso binario del maestoso e ammirato Dasaev, uno dei portieri più grandi di tutti i tempi, che dall’anno prima si è trasferito agli spagnoli del Siviglia. L’ambientamento nel nuovo Paese non è dei migliori: moglie e figlia lo raggiungono, ma dopo qualche mese devono tornare in patria. Lo stipendio di Rinat è infatti talmente basso da non poter far vivere dignitosamente la famiglia. Incredibile. La sua forma ne risente drasticamente. Il portiere sprofonda nella depressione e nell’alcol. Un periodo drammatico, per l’eroe sovietico. Tanto che, arrivati all’appuntamento di Italia ’90, il ct Lobanovski sembra deciso a non convocarlo. Poi alla fine la terza partecipazione iridata di Dasaev va in porto. E così contro la Romania, al debutto di Bari, Rinat è regolarmente al suo posto. La scritta CCCP, per la prima volta, non campeggia sul petto della selezione sovietica. Come abbiamo detto, tutto sta cambiando. E non è un caso che questo dettaglio si verifichi il giorno in cui Rinat Dasaev veda spegnersi i riflettori su una carriera leggendaria. È il 9 giugno 1990. La Romania chiude la pratica per 2-0, con doppietta del futuro viola Lacatus. Dasaev ha l’ultima indecisione, dopo quella dei compagni, sul secondo gol. L’atmosfera si fa pesante. Lobanovski dichiara che nel post gara il portiere non si è comportato nel migliore dei modi. Il ct sente che deve dare la scossa per salvare la sua creatura, dopo la delusione del primo match. Arrivano i campioni del mondo argentini. Ma tra i pali non c’è più Dasaev, sostituito da Uvarov. Altra sconfitta, altro 2-0. In quel girone gerarchie ribaltate, rispetto alla vigilia: vince il Camerun, dietro alla Romania e all’Argentina. All’URSS non basta il poker agli africani. È finita. Così come la carriera internazionale di Dasaev dopo 91 presenze, di cui 43 da capitano. Il portiere simbolo degli anni Ottanta viene presto relegato al dimenticatoio, aprendogli la strada all’autodistruzione come uomo e atleta. Prima di una seconda vita.