Primo Piano

Buon compleanno Italia ’90 – Ancora Totò Schillaci, l’Italia batte l’Eire ai quarti. E ora, testa a Maradona

Superato brillantemente l’ostacolo Uruguay, ai quarti di finale l’Italia scende in campo ancora sul prato verde dello Stadio Olimpico per affrontare la debuttante e sorprendente Irlanda. Insieme al Camerun, la rivelazione del torneo. A meravigliare non è tanto la presenza dei “greens” come squadra, ma il fatto che questa sia allenata da un inglese. Come? Un inglese, e chi? All’anagrafe John Charlton, ma tutti lo chiamano Jackie. Lui, il fratello di Bobby, campione del mondo con l’Inghilterra nel 1966. In terra d’Albione la sua figura è venerata per meriti sportivi, ma, in quanto a persona, tutti amano il fratello meno noto. Un uomo coraggioso, che decide di allenare, da inglese, in un Paese molto difficile. Come dimenticare, infatti, quel 30 gennaio 1972, la tristemente famosa Bloody Sunday (Domenica di sangue) cantata anche dagli U2. L’Associazione per i Diritti Civili dell’Irlanda del Nord (NICRA), capeggiata da Ivan Cooper, organizza una manifestazione pacifica nel corso della quale i paracadutisti britannici sparano senza pietà, uccidendo 13 civili e ferendo a morte un’altra persona che sarebbe deceduta successivamente, mentre i feriti in totale sono 16. È chiaro che gli irlandesi, popolo tosto e fiero, non facciano salti di gioia per un inglese, eppure Jackie riesce a plasmare il suo gruppo, non di fenomeni, ma di uomini. Nel 1996 la Repubblica d’Irlanda, addirittura, gli conferirà la cittadinanza onoraria. Onore conferito raramente, grazie ai successi da lui ottenuti alla guida della nazionale dell’Isola di Smeraldo.

L’Irlanda non attacca molto, ma difende in modo implacabile e si qualifica ottenendo il secondo posto nel girone di qualificazione dietro la Spagna (tra l’altro, battuta in casa). Alla vigilia del Mondiale, un gruppo musicale non indimenticabile, “Liam Harrison and the Goal Celebrities”, in patria ha il coraggio di comporre una canzone per sostenere la campagna italiana della nazionale di Jackie Charlton, intitolata “Give It a Lash Jack”. Raggiunse il numero uno nelle classifiche nel giugno 1990 e vi rimase per 4 settimane. Fu seguito nel 1994 da “Give It A Lash Again”. Se non la ascolterete, vi capirò.

Per paura della furia degli Hooligans, tristemente saliti alla ribalta prima per i fatti tragici dell’Heysel, poi per quelli di Hillsborough (rispettivamente 1985 e 1989), l’organizzazione del mondiale confina Inghilterra e Irlanda, insieme a Olanda ed Egitto, nel girone delle isole. Quello che si gioca tra il Sant’Elia di Cagliari e La Favorita di Palermo (futuro Renzo Barbera, 2002, in onore del presidente della squadra nel decennio 1970-1980). Confinarli dentro i mari, insomma. Gli irlandesi sono anche ferventi cattolici, quasi l’80% della popolazione osserva questa religione. Così, prima di dar inizio alle danze, perché non recarsi in Vaticano a trovare il Santo Padre? Mentre, emozionato, Charlton elenca i giocatori a Papa Giovanni Paolo II, questi lo ferma, lo guarda bene e lo riconosce, perché grande appassionato di calcio e del Wisla Cracovia. Jackie si commuove, fin quasi ad avere un mancamento. Questa nazionale è sincera, sanguigna e sensibile.

 

The Boys in Green nel girone mondiale non vincono nemmeno una partita, ma… non ne perdono nemmeno una anche. Impattano all’esordio contro gli odiati inglesi a Cagliari: al vantaggio immediato di Gary Lineker, che coglie goffa e impreparata la difesa, risponde a poco più di un quarto d’ora dalla fine con un gran diagonale Kevin Mark Sheedy. Ebbene sì, il primo gol della storia ai mondiali dell’Irlanda porta la firma di un gallese, poi naturalizzato. Nella seconda gara è soltanto 0-0 contro il coriaceo Egitto, stavolta a Palermo. Infine, contro l’Olanda e sempre in Sicilia, arriva un altro pari riacciuffato per i capelli: Gullit segna dopo dieci minuti, Nial Quinn impatta al 71’ grazie al mega-regalo che gli offre Van Breukelen, in vena di papere sul retropassaggio avventato di Van Aerle. Gli ottavi di finale vengono così conquistati da seconda classificata.

 

Agli ottavi di finale ci si sposta al nord, ma sempre con il mare di fronte. Genova, stadio Luigi Ferraris nel quartiere di Marassi, avversario la Romania di Hagi e Raducioiu. La partita è tutt’altro che indimenticabile, i rumeni fanno valere il loro maggior tasso tecnico e producono di più, ma gli “shamrocks” (letteralmente, giovani trifogli) si difendono con ordine. Dopo 120 minuti è 0-0 e si va ai calci di rigore. Nove su dieci di questi vengono realizzati, l’errore fatale è di Daniel Timofte che offre al futuro allenatore David O’Leary la possibilità di mandare gli irlandesi ai quarti di finale. Per la prima volta nella storia e, caso unico… senza nemmeno aver vinto una partita!

Torniamo a noi, ora che Vialli ha smaltito rabbia e infortunio restando per due partite consecutive nelle retrovie, è tempo di tornare ad essere protagonisti. Il 27 giugno, a tre giorni dalla partita, cita tronfio ai giornalisti John Belushi: “Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”. Non l’avesse mai detto, perché la sfortuna torna a bussare alla sua porta e gli regala una bella tracheite con febbre alta. Il bomber sampdoriano riesce a recuperare per il giorno della gara, ma Vicini, che ha già potuto fare a meno di lui, ora ha anche un grande alibi per fare scelte diverse. Terza partita di fila per Luca lontano dai riflettori. Recap della formazione: in porta c’è Zenga, “Uomo ragno” insostituibile, in difesa capitan Bergomi, Baresi, Ferri e Maldini. A centrocampo, per fortuna, torna a disposizione Donadoni, che si piazza sull’out destro e scalza Nicola Berti. Nel nucleo del gioco ci sono De Napoli e Giannini, a sinistra il soldato De Agostini. Davanti, ancora una volta, Baggio e Schillaci. Italia (4-4-2): Zenga; Bergomi, Baresi, Ferri, Maldini; Donadoni, De Napoli, Giannini, De Agostini; Baggio, Schillaci Ct. Vicini. Gli irlandesi rispondono con un omologo e scolastico impianto, in cui i lampioni Quinn e Aldrige sono i terminali offensivi. Ray Hougton, sulla fascia, ispira la manovra di rimessa, ma impareremo a conoscerlo meglio quattro anni più tardi, quando ci punirà con il gol della vittoria all’esordio di Usa ’94. Irlanda (4-4-2): Bonner; Morris, Moran, McCarthy, Staunton; Houghton, Townsend, McGrath, Sheedy; Aldrige, Quinn Ct. Jack Charlton

A sorpresa, i “verdi” partono più convinti, noi siamo quasi indecisi sul da farsi. Al 24’ da un bel cross di McGrath arriva l’elevazione e la bella inzuccata di Quinn, che sovrasta il povero Ferri e costringe Zenga al cosiddetto “volo plastico” per la parata, per fotografi e tifosi sugli spalti. La maggioranza di questi ultimi tira un sospiro di sollievo. Subito dopo, Schillaci risponde per le rime: assist di De Agostini, uno dei pochi che tiene botta con i fisicati irlandesi, il bomber azzurro devia di testa e la palla sussurra all’incrocio dei pali una frase d’amore non ricambiata. Ancora una volta, quindi, gli dei del calcio indossano la casacca azzurra, perché il gol arriva quando meno te lo aspetteresti: Baggio innesca la manovra e duetta con Schillaci, il bomber siciliano la appoggia dietro a Giannini che, da buon ragioniere, smista subito la pratica a sinistra dove, a sorpresa, si è inserito Donadoni; il milanista si aggiusta il pallone e scaglia un bolide teso e potente da fuori area, Bonner oppone i guantoni, ma respinge la sfera come se avesse preso una scossa elettrica e barcolla; nell’anno di grazia 1990, ormai non è più Schillaci che cerca la palla in area, ma proprio il contrario. È la palla che si è innamorata di Totò e va a cercarlo in ogni dove, come un’amante focosa. Il numero 19, infatti, è defilato sulla destra, ma la respinta del portiere irlandese fa sponda proprio su di lui che, d’istinto, infila con il destro il pallone dell’1-0. Gol, siamo in vantaggio! Baggio lo abbraccia incredulo, come a dire “ancora tu, ma come fai?”.

Nella ripresa gli uomini di Charlton sono determinati a non lasciarsi travolgere e poi si sa, dal 70’ in avanti bisogna tenere dritte le antenne, perché è quando più gli irlandesi sanno colpire. Lo hanno fatto già due volte. Al 53’, però, è l’Italia a sfiorare il raddoppio: su calcio di punizione, Giannini appoggia la sfera a Schillaci, che da fuori area fa partire un missile terra-aria di destro; Bonner abbozza uno slancio, ma nemmeno la vede quella palla, che sbatte sulla traversa alle sue spalle e torna in campo a pochi centimetri dalla linea. I sismografi hanno fatto registrare un picco. Passano i minuti e gli irlandesi, benché necessitino di attaccare, cominciano a patire la fatica dei centoventi minuti genovesi e noi, di rimando, ci adagiamo sul vantaggio e sul ritmo della partita, che si fa sempre più blando. Ancelotti ritrova il campo al posto di Giannini, Aldo Serena rimpiazza Baggio, sperando anche lui nel bis dopo l’acuto con l’Uruguay. E quasi ci riesce, perché a cinque minuti dalla fine, in contropiede, prova a battere Bonner che, stavolta, si oppone in uscita e gli nega la gioia.

L’epilogo lo scrive l’arbitro portoghese Silva, che annulla un gol di Schillaci per un inesistente fuorigioco e poi fa ripetere una punizione agli irlandesi con il cronometro ben oltre la fine. Serve a poco, perché finisce così, 1-0 firmato ancora una volta da Schillaci, al quarto acuto mondiale ed esaltato senza remore, finalmente, anche da Azeglio Vicini a fine partita: “Ha segnato un gol bello, perché astuto. Poi ha anche colto una traversa calciando con clamorosa potenza una punizione dal limite. Schillaci può diventare il protagonista assoluto di questo mondiale”. Subito dopo, però, come un presagio di sventura, Vicini fa capire anche che, sulle ali dell’entusiasmo, c’è qualcosa di cui invece tener conto: “Questa squadra, io ve lo ripeto, sta spendendo molto. Qualcuno dei ragazzi comincia ad essere stanco, io sono preoccupato. Due giorni di riposo ora mi sembrano pochi, pochissimi. Sono una manciata di ore. Ma dobbiamo farcele bastare”.

Il nostro mondiale, fin qui perfetto, senza gol al passivo e con una stella inaspettata, è ad una svolta. Salutiamo Roma, sperando di ritornarci, e voliamo verso Napoli. Ci attende lo Stadio San Paolo e… l’Argentina di Diego Armando Maradona che, in quella location… è giusto un gradino al di sotto di Dio e almeno di pari grado a San Gennaro. Sembra assurdo, ma la domanda diventa lecita: la gente ha appena festeggiato il secondo storico Scudetto… farà il tifo per la Nazionale? Se lo pone anche il CT questo dubbio, ma, davanti ai microfoni, fa il diplomatico: “I tifosi napoletani sono italiani, innanzitutto. Non lo dimenticheranno, ne sono sicuro, Questo è un campionato del mondo, non un campionato nazionale. Faranno il tifo per noi i napoletani. Faranno il tifo per la Nazionale, come hanno sempre fatto”. Maradona farà di tutto, come vedremo, per ottenere il contrario. La quinta notte magica è in cassaforte, le bandiere sventolano nei cieli italiani. All’orizzonte, la semifinale del campionato del mondo tra Italia e Argentina sarà un capitolo intenso e indipendente di quel grande romanzo calcistico che è Italia ’90.