Invictus, dal latino “non vinto” o “mai sconfitto”, un termine noto ai liceali che stanno affrontando in questi giorni la maturità. Prendendo in considerazione le statistiche e i risultati maturati al 90′, la nazionale italiana di Azeglio Vicini terminò da imbattuta la sua avventura nella fase finale dei Mondiali del 1990. Un cammino che fino ai quarti di finale rasentò la perfezione: cinque vittorie di fila e nessun gol subito dagli avversari. Questo percorso netto contribuì a infondere nell’animo dei tifosi italiani una sensazione di invincibilità. Dal gol vittoria di Schillaci contro l’Austria nella partita d’esordio, la fiducia negli azzurri aumentò partita dopo partita nonostante i risultati non fossero proprio delle goleade o delle vittorie nette.
Ci accontentavano di una vittoria di misura o di un successo all’inglese e per molti di noi ogni partita rappresentava un capitolo di una storia dall’esito scontato. Al fischio finale di ogni gara azzurra si scatenava l’immancabile carosello. Era tutta una festa, un qualcosa di magico agli occhi di un bambino reduce dagli esami di quinta elementare: via vai di macchine strombazzanti con enormi tricolori che spuntavano dai finestrini, uno stadio Olimpico tutto esaurito e unito, l’autobus degli azzurri che rientrava in albergo tra un tripudio di tifosi, come eroi provenienti da una missione eroica.
Sappiamo che quella favola si concluse senza un lieto fine. Le nostre convinzioni si spensero infatti la sera del 3 luglio a Napoli; furono i calci di rigore a riportare con i piedi per terra i sostenitori italiani. Negli anni novanta le sequenze dal dischetto si dimostrarono maledette per la nostra nazionale; dopo l’eliminazione del 1990 infatti seguì la finale persa nel 1994 e poi l’eliminazione in Francia ’98 contro i transalpini. Forse una giustizia divina calcistica per punire quell’innocente arroganza da tifosi sicuri di avere già la Coppa in tasca. Il tabù dei rigori per fortuna si interruppe agli Europei del 2000 grazie alle parate di Francesco Toldo: proprio oggi ricorrono vent’anni da quell’interminabile incontro con l’Olanda (In quel caso erano loro i padroni di casa).
Volevamo vincere quel Mondiale, i più grandi desideravano rivivere le emozioni del Mundial ’82, i più piccoli respirarle per la prima volta; ci sentivamo superiori, un po’ presuntuosi è vero, ma profondamente convinti per qualche strano motivo che quel successo ci spettava di diritto per quanto l’Italia era riuscita a organizzare davanti agli occhi del Mondo intero. La storia ci ha lasciato un podio buono con le statistiche, ma incapace di ripagare tutta la nostra delusione. Un trionfo mancato, come molti hanno scritto, una pagina che doveva essere scritta e che invece rimarrà vuota per sempre.