Il 29 Giugno del 2000, cioè vent’anni fa, ho sudato come un pilota di Formula 1 durante un Gran Premio. Ma che schifo, direte voi. Vabbè, forse avrete anche ragione, ma per chi c’era, quel giorno dalle 18 in poi è stata sofferenza pura. Una delle partite vissute più intensamente della storia della Nazionale italiana, un dispendio nervoso così elevato da punire anche il fisico. Quella partita l’ho giocata anch’io. Siamo ai campionati europei di Olanda e Belgio, l’Italia ha superato di slancio il proprio girone, battendo anche i primi padroni di casa di Bruxelles, la Turchia e la Svezia. Ai quarti di finale Totti e Inzaghi hanno passeggiato sulla Romania di un decadente Hagi, così si è arrivati alle semifinali. La squadra di Zoff, deludente e criticata fino all’inizio della rassegna, smentisce tutti e gioca un buon calcio, diverte e fa sognare. Per guadagnarci la finale, ci tocca affrontare gli altri padroni, quelli dell’Olanda. Ben più temibili del Belgio di Wilmots e compagni. Gli Oranje, infatti, hanno vinto il proprio girone, battendo anche la Francia nello scontro diretto e sono piombati sulla Jugoslavia come una slavina, trascinandoli a fondo con 6 gol. Sono nettamente i favoriti del torneo (più la Francia campione del Mondo che, invece, se la deve vedere contro il Portogallo di Figo e Rui Costa). Come in ogni competizione azzurra che si rispetti, ci dev’essere una staffetta in ballo che scatena polemiche e discussioni e divide in due il Paese. Se due anni prima in Francia i litiganti erano Roberto Baggio e Alessandro Del Piero, stavolta Pinturicchio deve dividersi la titolarità con Francesco Totti, al primo appuntamento importante per nazionali.
Nel 3-5-2 disegnato da Zoff, er Pupone fa coppia con Inzaghi e va a segno sia contro il Belgio sia nei quarti di finale, mentre ad Alex è toccato giocare dall’inizio soltanto nella terza partita del girone contro la Svezia, con risultati più che positivi: assist da corner per il vantaggio di Di Biagio e gol del 2-1 per la vittoria. Un bel contropiede, con un sinistro sotto la traversa dal limite dell’area. Così, alla vigilia del match contro i tulipani, tiene banco il dilemma: gioca Totti o Del Piero? Il CT a sorpresa, sceglie quest’ultimo, preferendo la carta romanista a partita in corso. Totti, inquadrato dalle telecamere a bordocampo, freme. In porta c’è Toldo, che quel torneo era pronto a viverlo serenamente in panchina come vice di Buffon, ma il giovane fenomeno del Parma si è infortunato gravemente nell’amichevole pre-Europeo a Oslo contro la Norvegia. Al 53’, nel tentativo estremo di salvare il colpo di testa di Carew (finito in rete per l’1-0 finale), Gigi cade e sbatte contro il palo, riportando la frattura spiroide composta del terzo metacarpo della mano sinistra. Niente da fare, un mese di riposo almeno e bye bye Italia. Al suo posto, viene chiamato il fresco campione d’Europa con l’Under 21 Christian Abbiati, portiere rivelazione del Milan. Fino a quel punto Toldo si era ben comportato, aiutato da una difesa solida composta da Iuliano, Cannavaro e Nesta. Nell’impostazione accorta di Zoff, a centrocampo Maldini copre la fascia sinistra, Zambrotta quella destra e, in mezzo, Di Biagio e Albertini sono i ragionieri. Stefano Fiore, calabrese dai piedi buoni, è il trequartista. Ha già segnato un bel gol contro il Belgio ed è apparso ispirato durante tutto il torneo. Davanti, come detto, la coppia collaudata della Juventus: Inzaghi-Del Piero.
Gli olandesi, cullati dalla filosofia offensiva del giovane commissario tecnico Franklin Rijkaard (immenso ex-centrocampista formato da Cruijff, Sacchi e Van Gaal), sono più spregiudicati: in porta c’è Van der Saar, che alla Juve non sta lasciando una traccia indelebile, ma è un portiere affidabile. Difesa a quattro con Bosvelt, il gigante Stam, Frank de Boer e Giovanni van Bronckhorst. Cocu fa da regista, Edgar Davids morde le caviglie degli avversari. Di lì in poi, è tutto attacco con il tridente Overmars-Bergkamp-Zenden ad attaccare la profondità alle spalle dell’unica punta, Patrick Kluivert. E pensare che resta in panchina gente del calibro di Clarence Seedorf, Ronald de Boer, Roy Makaay e Pierre van Hooijdonk.
L’Amsterdam ArenA (che poi verrà ribattezzata Johan Cruijff Arena) ribolle d’arancione come un campo di papaveri, i tifosi colorano gli spalti e l’atmosfera incute un certo timore. E, infatti, l’inizio di partita è tutto di marca olandese. Bergkamp ispira la manovra e al 14’ centra il palo, per il resto il muro azzurro regge ed è compatto. Maldini sulla sinistra annulla Overmars, mentre sulla destra Zambrotta ha più grattacapi contro il peperino Zenden, che gli sguscia via da tutte le parti. In più, van Bronckhorst arriva veloce come un Frecciarossa a dare una mano e Cannavaro spesso deve seguirlo. Questi spingono forte come una partoriente, soffriamo. Al 15’ l’esterno della Juventus becca il primo cartellino giallo: entra di slancio sì sul pallone, ma travolge anche gli arti dell’ala del Barcellona. Lo stesso Zenden prova a fare il furbetto in area, Nesta non lo tocca, lui sviene. Per fortuna, all’arbitro tedesco Merk non gliela si fa così facilmente e, puntuale, arriva il giallo anche per lui. Al 34’, però, il duello si rinnova: il 5 oranje, nato a Maastricht, fugge via e costringe Zambrotta, sempre più in affanno, a firmare il trattato di espulsione, con un intervento da dietro che gli costa il secondo, sacrosanto, cartellino.
Siamo come a un bivio: in un’ipotetica sinistra c’è un cammino di tenebra in cui l’Olanda fa un sol boccone dell’Italia. Già preponderante undici contro undici, con l’uomo in più non può che asfaltarci, facendoci fare la stessa fine della malcapitata Jugoslavia; a destra, invece, il destino riserva tutta un’altra partita, in cui gli italiani, come gli eroi di Sparta alle Termopili, si preparano ad affrontare l’esercito di Serse I (Rijkaard in questo caso), in evidente inferiorità numerica. La storia li volle sconfitti lo stesso, quale sarà invece il finale di questa disfida?
Lì per lì, sembriamo spacciati. Dopo 4 minuti, ci arriva un rigore a sfavore che ci lascia esterrefatti. Nesta alita sul collo di Kluivert in area, l’attaccante goffamente non riesce a controllare bene la sfera, ma Merk vede una trattenuta (solo lui) e fischia il penalty. Maldini protesta vivacemente, mostra all’arbitro il dito puntato contro la tempia ripetutamente, come a dire “tu sei matto”. L’ingenuità del difensore della Lazio sta soltanto nell’aver toccato con la mano la maglia dell’avversario. Ecco, non poteva che andare così. Sarà tutto più facile per i padroni di casa, ci mangeranno vivi. Dal dischetto va Frank de Boer, uno specialista. La rincorsa è corta, il capitano piazza il sinistro a destra, la conclusione è molto angolata, ma Toldo si tuffa dalla parte giusta e impatta il pallone, mandandolo in calcio d’angolo. Rigore fallito, siamo ancora vivi! Si, ma per quanto durerà?
Kluivert ciabatta fuori da buona posizione un pallone invitante, così portiamo a casa lo 0-0 all’intervallo e sembra già un miracolo. L’inferiorità numerica priva Totti della possibilità di entrare presto, perché l’Olanda attacca sempre e non ci possiamo permettere debolezze dietro. Man mano che i minuti passano, però, una strana atmosfera si percepisce sugli spalti e in campo. I tifosi olandesi, all’inizio rumorosi, si fanno sempre più silenziosi e ansiosi, quasi come percepissero il peggio sulla pelle. Sul campo di battaglia, Bergkamp e soci comandano sempre le operazioni, ma il caldo e la fatica si fanno sentire per tutti, così i ritmi lentamente calano e l’apporto offensivo dei terzini e delle ali si fa affannoso. Nel complesso, stiamo meglio noi, perché ci difendiamo, corriamo meno e se possiamo ripartire in contropiede siamo più freschi. In una di queste situazioni, Del Piero offre un bel pallone a Fiore, questi calcia al volo di sinistro e costringe Van der Sar a un bel tuffo, risvegliandolo dal torpore della prima parte di gara. Al 62’, però, la ruota della fortuna sembra girare ancora in favore dei tulipani: Davids entra in area e viene falciato in scivolata da Iuliano, è calcio di rigore. Ma come, di nuovo?! Ci è andata bene la prima volta, ora c’è poco da fare. Doveva andare così. Stavolta dagli undici metri non si presenta più de Boer, provato dal primo errore, ma c’è Kluivert. La rincorsa è più lunga, felpata, l’attaccante del Barcellona sceglie l’angolo sinistro e calcia. Toldo stavolta non intuisce, si tuffa completamente dalla parte opposta…. è gol dai, non può che essere così… e invece no, perché il pallone si stampa sul palo, ritorna in area e Maldini in scivolata lo spazza via. Siamo ancora salvi! Gli dei del calcio, è evidente, a quel punto hanno deciso che quella partita aveva ancora molto da raccontare e che il meglio doveva ancora venire. Sugli olandesi piomba una nube nera di pessimismo, su di noi l’ebbrezza di essere vivi e in partita. Un divertito Pelé, in tribuna, parla con un amico seduto accanto e, sgranando gli occhi alla Totò Schillaci, mima con le dita prima il numero 1 e poi il numero 2, dal labiale si intuisce: “Non un rigore hanno fallito, bensì 2, incredibile!”.
Zoff manda dentro Delvecchio per Inzaghi, stanco e mai pericoloso, è il momento giusto per dare nuova energia al nostro attacco, al cospetto di un avversario teso come una corda di violino. Poi arretra Fiore a centrocampo e inserisce Pessotto in luogo di Albertini. All’81’ il terzo cambio: lascia i giochi proprio Fiore ed entra, finalmente, Francesco Totti. Nell’Olanda ha già abbandonato il campo Zenden ed esce anche Bergkamp per Seedorf. I due principali creatori di gioco escono di scena e la loro assenza si fa sentire. Poco prima dei supplementari, infatti, l’occasione buona ce l’ha Delvecchio, ma calcia debolmente davanti a Van der Sar, che raccoglie la palla senza problemi. Finiscono i novanta minuti e già questi sembrano un campionato intero. Dovevamo soccombere come agnellini in pasto ai lupi, ma abbiamo resistito.
Si va ai supplementari, in un’epoca (breve, per fortuna) in cui vige la regola del “golden gol” o, come ribattezzata da alcuni, della “sudden death” (la morte improvvisa, che brutto nome). Chi segna per primo, in sostanza, vince. Come si faceva da piccoli, per terminare ore e ore di partite a pallone per strada, prima che la mamma lanciasse l’urlo belluino per la cena. Dopo 10 minuti la pistola va ancora nelle mani di Delvecchio: il lancio di Maldini è perfetto, la fuga verso la porta è lanciata, Marco esplode il colpo in diagonale e Van der Sar si salva soltanto con la punta del piede. Peccato. Kluivert e Seedorf potrebbero farcela pagare cara, ma sono entrambi imprecisi. Si arriva stancamente, ma molto stancamente, al 120’. È finita, calci di rigore.
Sarà l’Italia a battere per prima, Zoff sceglie il primo tiratore. È Luigi Di Biagio, che due anni prima al Saint-Denis di Parigi ha stampato sulla traversa il penalty contro la Francia e ci ha eliminati. Stessa sorte infima di Usa ’94 e Italia ’90. Non siamo proprio in feeling con la tradizione. Come ha raccontato lo stesso Di Biagio in interviste successive, a Parigi si presentò dal dischetto da ultimo della serie con serenità e incoscienza, salvo poi finire per terra con le mani sul volto. Questa volta ad Amsterdam, con un gigantesco muro arancione davanti a sé, il precedente fallimentare e la posta in gioco, va a calciare per primo con una paura fottuta. Rincorsa breve, quattro passi e destro secco a sinistra sotto la traversa. Van der Sar intuisce la direzione, ma non può arrivarci. Gol. Dopo due anni, può tornare finalmente a dormire la notte Gigi. Anche Pizzul si toglie un peso e urla: “Fa gol stavolta!”. Tocca a loro e c’è ancora il capitano, Frank de Boer. È scuro in volto mentre raggiunge l’area di rigore, come un condannato a morte che percorre il miglio verde. La rincorsa è la stessa, il tiro è peggiore del precedente. Toldo va ancora a sinistra e si oppone con i guantoni. Sbagliato! Il secondo penalty consecutivo, nella partita più importante. Anni dopo, nella sua breve e non certo fortunata parentesi interista da allenatore, de Boer a domanda del giornalista su questa partita, con autoironia e un pizzico di amarezza risponderà: “Italia-Olanda? Non ricordo…”. Tocca a Pessotto, il diligente soldato che fa sempre i compiti. Aveva già dato dolori agli olandesi nella finale di Champions League del 1996, segnando nella serie di rigori contro l’Ajax. In porta c’era Van der Sar allora come adesso. Le due rincorse si assomigliano, brevi entrambe. A Roma il terzino bianconero calciò a sinistra ed il portierone olandese non ci arrivò. Stavolta calcia a destra e addirittura lo spiazza. Gol, il suo dovere è compiuto. Arriva Stam che, solo a vederlo camminare, mette paura. Sguardo severo, mono-espressivo. Potrebbe fare il cattivo nei film di Tarantino. Ma, di sicuro, non calciare un rigore. Il suo tiro, infatti, va letteralmente alle stelle, stampandosi sicuramente addosso ad uno spettatore dell’ultimo anello. Su quattro rigori calciati fin qui, tra i tempi regolamentari e la serie finale, l’Olanda non ne ha segnato nemmeno uno. La storia sta cambiando, il cavallo bianco che dovrebbe accompagnare i padroni di casa in finale si è tramutato in un diavolo e tutto ciò che può andar storto… va storto!
A questo punto, ancora una volta, gli dei del calcio planano sull’Amsterdam Arena e decidono che è ora di lasciare il segno. Tocca a Francesco Totti, nato a Porta Metronia nel 1976, tre mesi dopo l’invenzione del “cucchiaio” di Panenka. Tra verità e leggenda, questo è il dialogo tra lui, Gigi Di Biagio e Paolo Maldini, nel cerchio di centrocampo prima che la lotteria dei rigori prendesse il via:
Di Biagio: “A Francé, io c’ho na paura…”
Totti: “Eh, a chi lo dici, ma hai visto quant’è grosso quello (riferendosi a Van der Sar ndr)?”
Di Biagio: “Ah, così m’incoraggi?”
Totti: “Nun te preoccupà, mo je faccio er cucchiaio”
Maldini: “Ma che sei pazzo? siamo a una semifinale degli europei!”
Totti: “Se, se, je faccio er cucchiaio…”
Durante tutta la settimana Totti rimarca con i compagni la sua volontà, vuole fare il cucchiaio. Prima di prendere il pallone lo comunica agli altri che, impauriti, fanno ogni tipo di scongiuro. Quando arriva sul dischetto, Francesco nota l’immensa muraglia arancione dietro la porta e la grande stazza del portiere. Per un attimo esita, forse non è il caso di azzardare. Poi, però, da romano orgoglioso qual è decide di provarci, perché non può fare brutta figura con i compagni, ormai lo sanno tutti. Prende la rincorsa, parte e al momento di tirare accarezza dolcemente la palla, che si solleva come una colomba della pace. Van der Sar vola alla sua destra, il pallone si adagia docile in rete a sinistra. Gol e beffa, per l’Olanda non potrebbe andar peggio. Per noi si aprono le porte del paradiso. Un gesto sfrontato, irriverente, una follia lucida. Tornando a centrocampo, Totti se la ride di gusto.
Va Kluivert, rincorsa sicura e palla in rete sulla destra. Toldo immobile, per i tulipani il primo gol dopo cinque tentativi! Maldini può mettere la parola fine segnando, ma, nella sua leggendaria carriera in cui ha dimostrato di saper far tutto, questa volta si concede un piccolo errore. Incrocia un sinistro debole e centrale e Van der Sar, fin lì attonito e umiliato, si concede un sussulto d’orgoglio. Tocca a Bosvelt, un terzino: se segna, sarà Del Piero a concludere la serie azzurra e, dovesse sbagliare, poi sarà la volta di Overmars, per cercare di rimettere le cose in pari. Ormai, però, il traghetto di Caronte verso l’Ade ha già mollato gli ormeggi e sfuggire al tragico destino è impossibile. La rincorsa è lunga, il destro di Bosvelt cerca l’angolino basso a sinistra… come va a finire? Ce lo dice Pizzul, urlando alla sua maniera: “Toldo para, siamo in finaleee!”. Game over, l’Italia compie il miracolo al termine di più di 120’ di sofferenza autentica, in cui una difesa granitica ha resistito all’onda d’urto violenta degli avversari, il nostro portiere ha parato tre rigori e la sorte ci ha benedetto con un palo e un tiro in curva. Una partita giocata 10 contro 11 per 90 minuti e che resterà nella storia per sempre, dove lo spirito d’unione azzurro ha toccato i suoi massimi vertici. L’Italia vince alla sua maniera, difesa e contropiede. Le porte della finale di Rotterdam si sono spalancate. Vado a farmi una doccia, anche vent’anni dopo.