Nell’ottobre 1993 il mondo NBA si chiedeva se i Chicago Bulls sarebbero riusciti a vincere anche senza la loro stella indiscussa, Michael Jordan, appena ritiratosi dal mondo della pallacanestro. I tre titoli consecutivi erano un buon viatico, ma l’assenza di MJ era pesantissima. E molte squadre, che in quegli anni di strapotere Bulls avevano dovuto accontentarsi delle briciole, speravano di approfittare della “grande occasione”. Le Finals, così come la regular season, furono molto combattute. Non c’era una vera e propria favorita, perciò fu un campionato assolutamente avvincente e imprevedibile. Alla fine la spuntarono gli Houston Rockets, in finale contro i New York Knicks.
I Rockets, pur avendo un buon rooster, non erano mai riusciti a inserirsi nella lotta al titolo. Solo l’anno precedente avevano superato lo scoglio del primo turno di Western Conference, battendo i L.A. Clippers ma venendo eliminati dai Seattle SuperSonics. Le cinque stagioni precedenti erano stato ancor più disastrose: quattro sconfitte al primo turno (dal 1987/88 al 1990/91) e addirittura una mancata qualificazione alle finali (1992). In squadra, insieme a giocatori del calibro di Maxwell, Smith e Thorpe, spicca il centro Hakeem Olajuwon, nigeriano naturalizzato statunitense che era stato scelto nel draft 1984, lo stesso di Michael Jordan e Charles Barkley. Ormai trentaduenne, Olajuwon rischia di essere un talento incompiuto, senza titoli in bacheca.
Houston conclude la prima parte di stagione in vetta alla Western Conference con il 70,7% (58 vittorie, 24 sconfitte). Ciò gli permette di affrontare i playoff con una griglia tutto sommato soddisfacente: al primo turno si sbarazza dei Portland Blazers (3-1), mentre nel secondo il passaggio è molto più sofferto. È decisiva gara 7 – a Houston – per sancire il passaggio del turno ai danni dei Pheonix Suns di Barkley. Le finali di Conference sono meno combattute del previsto: gli Utah Jazz cedono in sole cinque gare (4-1 il punteggio) e per Olajuwon e compagni si schiudono le porte delle finali scudetto.
I New Knicks hanno avuto un percorso nettamente più impervio. Intanto in semifinale sono riusciti a far fuori i campioni in carica, i Chicago Bulls, dopo sette partite molto combattute. E sono stati costretti a gara 7 anche da Indiana Pacers nella finale di Eastern Conference. Giocoforza, arrivano più stanchi di Houston all’atto finale della NBA 1993/94. I valori in campo sono molto simili: la sensazione è che si lotterà fino all’ultimo secondo dell’ultima partita ed entrambe le squadre sono affamate di vittoria, dopo le delusioni del passato. Molto passa dal confronto tra i due centri, Olajuwon da una parte ed Ewing dall’altra.
Il primo confronto è appannaggio di Houston (85-78), ma New York reagisce e vince in trasferta (83-91). L’equilibrio continua anche nelle tre gare successive, giocate al Madison Square Garden: i padroni di casa hanno la meglio in due su tre, facendo scivolare lievemente l’ago della bilancia dalla loro parte. Ma i Rockets non ci stanno. Gara 6 è un crescendo di emozioni: nell’ultimo quarto, quando mancano 3:13 da giocare, i Rockets si portano avanti di sette punti grazie alla tripla di Smith, i Knicks rimontano più volte – fino al -2 a sette secondi dalla sirena – ma falliscono l’aggancio con Starks.
L’atto finale si gioca in un The Summit infuocato. Entrambe le squadre sanno di avere una grande occasione, forse irripetibile. Il match appare subito equilibrato, i primi tre quarti terminano con Houston sempre avanti ma di massimo tre punti (22-21, 45-43 e 63-60). Anche all’inizio dell’ultimo quarto i Rockets spingono sull’acceleratore, trascinati dal sorprendente rookie Sam Cassel. Intanto New York continua a sbagliare troppo con uno dei suoi uomini migliori, John Starks, disastroso (0/8) da tre punti. Il primo vero break targato Rockets arriva a poco più di due minuti dalla fine: Ewing sbaglia un tiro agevole, Olajuwon conquista il rimbalzo e nell’azione successiva Maxwell sigla la tripla che vale l’83-75. I Knicks tentano la rimonta disperata, il gioco si spezzetta a causa dei falli, ma è Houston a trionfare.
L’anno successivo Houston non è protagonista di un gran regular season, si piazza solo sesta nella classifica di Western Conference. Molti ritengono che sia impossibile bissare il successo. E in effetti i primi turni sono molto impegnativi: gli uomini di Tomjanovich si trovano di fronte due avversarie toste – Utah Jazz e Phoenix Suns – ma le battono entrambe nell’ultima gara utile. La sensazione è di avere di fronte una squadra a combustione diesel, rigenerata dall’aria dei playoff e rinforzata nelle proprie convinzioni giorno dopo giorno. La finale di Western si conclude con un 4-2 a San Antonio, ma a sorprendere di più è il punteggio della finale per il titolo. Nonostante Orlando Magic abbia concluso la stagione regolare al primo posto, non può nulla contro il rullo compressore Houston. 4-0 secco, senza storia. E i Rockets, oltre a iscrivere per la seconda volta consecutiva il loro nome nell’albo d’oro della NBA, entrano nella storia direttamente dalla porta principale.
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