Nella borgata romana di Montespaccato, il nome della figura del boss mafioso Zio Franco Gambacurta aleggia come uno spettro, una macchia che si fa fatica oggi a cancellare. Per anni, quel quartiere nel nord della Capitale è stato il “suo” regno, quello in cui “l’uomo con la coppola”, com’è comunemente conosciuto, ha guidato un’organizzazione criminale dedita allo spaccio di droga e all’uso della violenza sistematica per perseguire i propri obiettivi.
Tra i propri affari, Gambacurta contava la proprietà del bar nella piazza principale, diversi ristoranti e persino di un campo da calcio e della squadra che viene qui ospitata: il Montespaccato Savoia. Alle partite del suo club, nato nel 1968, il boss si faceva spesso vedere, la considerava come cosa propria: un modo come tanti altri per affermare in maniera efficace il proprio prestigio sociale, guadagnarsi il rispetto degli abitanti della zona, dimostrare la propria capacità di poter controllare ogni singolo aspetto della vita sociale. Ogni singolo aspetto del Montespaccato, dentro e fuori dal campo, è stato in mano al clan per dieci, interminabili anni: il figlio di Gambacurta, Valerio, ne era il direttore generale, il nipote Tiziano il capitano.
Nel giugno del 2018, però, la storia cambia improvvisamente: con l’operazione Ampha, i militari riuscirono a portare all’arresto 58 persone appartenenti al clan e 7 milioni di sequestri, compresi proprio la polisportiva Montespaccato, due campi di “calciotto”, quello di calcio a 11 e la scuola calcio. Un duro colpo per i Gambacurta, in stretti rapporti con ‘ndrangheta, camorra e altri gruppi mafiosi della Capitale, ma improvvisamente privati di quelle proprietà che, come monumenti, ne avevano messo in mostra la potenza, la propria invincibilità.
Il presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma, Guglielmo Muntoni, ebbe subito l’intuizione di capire che, alla repressione, sarebbe servito un immediato intervento per occupare il vuoto di potere ed evitare che la borgata finisse per essere abbandonata per anni, in attesa delle confische definitive. E proprio il calcio doveva diventare il simbolo di questo riscatto, della volontà politica di cancellare il ricordo della proprietà del clan, che aveva gestito la società (a quel punto sottoposta ad amministrazione giudiziaria) a cavallo tra Eccellenza e Promozione.
Muntoni riuscì così a ottenere l’aiuto sperato da un intervento d’intesa con Tribunale e Regione Lazio: il braccio operativo diventa l’ex Ipab Asilo Savoia, un’istituzione pubblica regionale specializzata nell’utilizzo della leva dello sport come strumento di inclusione sociale ed educazione alla legalità che, con il programma “Talento & Tenacia. Crescere nella legalità”, cominciò a ricostruire da zero la squadra. Una nuova operazione di ripristino della legalità come fatto poco tempo prima con la struttura di Ostia strappata alla proprietà di un altro clan mafioso come quello degli Spada.
Il presidente dell’Asilo Savoia Monnanni ci aveva messo poco per capire la drammatica situazione già soltanto dalla lettura delle carta: una società prossima alla retrocessione, i suoi componenti ritirati, una valanga di sponsor che poco avevano a che vedere con lo sport e sembravano sfruttare l’occasione per riciclare denaro. La rinascita riparte proprio dall’impianto di Montespaccato che diventa “Centro Don Pino Puglisi”, il parrocco di Brancaccio noto per la sua attività destinata a strappare i ragazzi alla mafia.
L’intervento si rivela un successo sociale senza precedenti nella zona, nonostante i tentativi di boicottaggio dei familiari dei Gambacorta: la scuola calcio conta più di 500 iscritti, i ragazzi firmano dei “patti di responsabilità” per la ripresa e il completamento degli studi, anche attraverso iter universitari in collaborazione con la Luiss oppure per l’inserimento lavorativo personalizzato (persino come trainer nella “Palestra della legalità” a Ostia). Il centro sportivo stesso è diventato, dopo un accordo con il Ministero dell’Istruzione, sede di un presidio per l’emergenza educativa con spazi dedicati ad attività di dopo scuola e come messa a disposizione gratuita alle scuole del XIII Municipio.
Una storia che non è sfuggita all’attenzione anche del Presidente della Repubblica Mattarella, che nel 2019 ha ricevuto al Quirinale proprio Monanni e i giocatori del Montespaccato, che hanno illustrato il programma “Talento & Tenacia”. E i cittadini del quartiere hanno compreso subito l’importanza di questa battaglia, trasformando le partite della squadra in vere e proprie feste. Quest’anno, però, c’è stato un motivo in più per esultare: la fine anticipata dei campionati a causa del Covid-19 ha permesso al Montespaccato Savoia di ottenere la promozione d’ufficio in Serie D, avendo chiuso al primo posto del Girone A di Eccellenza, con soltanto tre punti di vantaggio sul Real Monterotondo Scalo.
Quarant’anni dopo l’unica presenza in D, la società dominata per tempo dai Gambacorta è tornata nella massima serie dilettantistica poco tempo dopo il ritorno nella “legalità” e il prossimo anno potrà provare a sognare anche il salto nei professionisti. E se Franco Gambacorta è tornato libero per scadenza dei termini di custodia cautelare mentre il processo è ancora in corso, tornando a essere una pericolosa minaccia del quartiere (sempre che avesse mai smesso di esserlo), al “Centro Don Pino Puglisi” oggi si è svolta la festa della promozione. C’era la squadra protagonista di quest’impresa con le magliette con la scritta “Un Monte Di classe” assieme alla Juniores, che ha dominato a sua volta il suo campionato di categoria; il Presidente della Regione Nicola Zingaretti, ma anche Don Luigi Ciotti, uno dei volti in prima fila nella lotta alla mafia.
“Lo sport perde la sua funzione quando invece di proporre e costruire si limita ad assorbire le mentalità corrotte, diventa passivo e conformista. Trovare gli esempi positivi ci dà forza e coraggio. Che si possa diventare campioni nello sport, ma anche nella vita: non c’è scissione tra sport e vita.”, ha detto a gran voce Don Ciotti. Una vittoria della legalità dentro e fuori dal campo, in un contesto in cui la lotta alla mafia resta una questione di drammatica attualità. Ma il riscatto sportivo e sociale del Montespaccato ha fatto capire perché la lotta ai clan, alla corruzione e al malaffare deve passare anche da favole difficili da scrivere, eppure così belle. E oggi, come raccontato dal presidente Monnanni a Il Messaggero, al posto dei boss che consiglia da lontano i “suoi” allenatori, ci sono le tante mamme del quartiere, pronte a sostenere questo ambizioso progetto.