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Gattuso ha conquistato Napoli. Sarri, ora sono guai

È stata la Coppa Italia di Rino Gattuso, senza dubbio. Dopo aver portato il Milan ad 1 punto dal sogno Champions League l’anno scorso ed aver chiuso la porta senza far rumore, quest’anno ha ripreso un Napoli allo scatafascio, ha rimesso la cosiddetta “chiesa al centro del villaggio” e, tra alti e bassi, lo ha portato fino alla vittoria della Coppa Italia. Non un punto di arrivo magari, ma un primo tassello per costruire qualcosa di solido sì.

Gattuso si è guadagnato sul campo i galloni di “allenatore”, al di là della grinta che aveva in campo. Il suo marchio di fabbrica. Professionalità, senso d’appartenenza e sacrificio le sue parole d’ordine. Lui, che dalla vita ha perso qualcosa di inestimabile, ma a cui il calcio “ha dato tantissimo, per quello non mollo una virgola” (cit.). Curioso che la serata del trionfo sia maturata ai danni di chi Napoli, il Napoli e i tifosi del Napoli ha fatto sognare come solo Maradona aveva saputo fare nella sua quasi centenaria storia (25 agosto 1926, l’anniversario della fondazione è vicino ormai).

Stiamo parlando, ovviamente, di Maurizio Sarri che, da quando è asceso alla notorietà del calcio, sta vivendo probabilmente il momento più difficile della sua carriera da allenatore. In tre anni all’ombra del Vesuvio ha incantato l’Europa, ma ha portato a casa “zeru tituli”. Il primo, dopo 6 anni di vuoto, glielo ha consegnato proprio lui, destino beffardo del pallone che rotola. Dopo la Supercoppa italiana volata via come un’aquila (quella della Lazio in questo caso), ora va perso anche il secondo trofeo in palio. Resta un campionato da combattere contro una Lazio agguerritissima (e non snobbiamo un possibile ritorno in corsa dell’Inter) e una Champions League che passa da una gara secca contro il Lione. I francesi hanno vinto all’andata 1-0 e, grazie allo stop mondiale, hanno recuperato il gioiello Depay. In 90’ ad agosto passerà tutto il progetto bianconero.

Dire che ora l’allenatore della Juventus sia una posizione scomoda è un pallido eufemismo. Più che la sconfitta contro il Napoli in sé, Sarriball ha da preoccuparsi, perché la Juventus aveva dimostrato un’involuzione tecnica preoccupante già prima dell’esplosione della pandemia e, dopo più di due mesi di stop, nulla è cambiato, anzi. La ruggine accumulata nelle gambe ha solo peggiorato le prestazioni. I bianconeri sono rimasti a secco in due partite consecutive per la prima volta dal 2015. Cioè da 5 anni, una vita intera nel calcio.

Cristiano Ronaldo non aveva mai perso prima d’ora due finali consecutive. In finale solo tre tiri sono finiti tra i pali difesi da Meret. Questa Juve ha sì la mentalità di dominio del gioco dei suoi giocatori navigati e ambiziosi, ma la sua applicazione è farraginosa. Gli unici ad incidere, a strappare i ritmi, sono Cuadrado e Douglas Costa. Quest’ultimo, però, esce dopo appena un’ora di gioco. Perché? Dybala fallisce uno dei due rigori decisivi, ma è l’unico in partita a provare qualche conclusione. Bentancur non ripete la prova maiuscola contro il Milan, Pjanic sembra con la testa da un’altra parte (Catalogna?).

Diciamolo francamente, per il gioco spumeggiante che Sarri predica, questa non è la squadra giusta a sua disposizione. Ronaldo, che va per i 36, è più un limite che una forza per il suo credo tattico. Forse gioverebbe vederlo più da prima punta, anche se CR7 tentenna in quel caso. E allora meglio puntare su Higuain, la cui mancata titolarità fissa, al netto degli infortuni, resta un’altra ingiustizia condizionata dal pallone d’oro lusitano. E dare via Mandzukic era così inevitabile? Ramsey e Rabiot, i due colpi a zero dell’estate sono stati, fin qui, due flop. Il secondo in maniera imbarazzante. Un centrocampo male assortito, poco dinamico, per niente veloce.

Forse è il momento che Sarri abbandoni i suoi dogmatismi e diventi più pragmatico, cambiando anche il sistema di gioco in base agli uomini che ha. Ne va della sua carriera e sarebbe un vero peccato se venisse ridimensionata, perché a Napoli e Londra, comunque, ha fatto vedere cose molto belle. Una riflessione dovrà farla anche la società, Agnelli in primis. Perché se i trofei in serie e le vittorie del passato avevano stufato per la mancanza di bel gioco e si vuole cambiare rotta, allora bisogna consegnare all’allenatore le pedine adatte a perseguire la nuova strada. La vedova Allegri gongola?

E veniamo ai vincitori. Come già detto, c’è tanto di Gattuso nella vittoria di questa Coppa Italia, applicando proprio quei principi che stanno mancando ora a Torino. Arrivato a Napoli, ha trovato una squadra sul piede di guerra contro la società per ammutinamenti, multe e contenziosi. Guidata da un allenatore, Ancelotti che, per grandezza e prestigio, ha cercato di imprimere le sue idee, ma non avendo nemmeno lui gli uomini giusti per farlo. Così, dal 4-4-2 in cui Insigne faceva da terzino, Rino è tornato al 4-3-3 “sarriano”, riconsegnando tutti gli uomini alle proprie case. Ha preteso lui Diego Demme, è arrivato anche Lobotka e Politano per far rifiatare l’ormai quasi-ex Callejon. Un altro a cui dedicare una statua a Fuorigrotta. Voltare pagina non è stato facile, il primo Napoli di Gattuso ha faticato, gli alti e bassi sono stati tanti. Una volta riacquisita sicurezza, però, si sono rivisti sprazzi di bel gioco. Per ora, soltanto in contropiede.

Questa, infatti, è una squadra che palleggia basso fin dal portiere all’estremo (a volte rischiando troppo) per attirare gli avversari e creare voragini alle spalle, si esprime alla grande negli spazi e anche ieri contro la Juve lo ha dimostrato. Meno efficace, invece, quando deve proporre l’azione che, puntualmente si infrange in una rete di passaggi orizzontali al limite dell’area. Non c’è ancora quella frizzante predisposizione al movimento e alla verticalizzazione che c’era una volta. Fabian Ruìz è un eccellente tiratore, un delizioso palleggiatore, ma non ha ancora imparato a saettare tra le linee come spesso faceva Hamsik, ad esempio. E manca quel terzino sinistro incursore come era un tempo Ghoulam, mentre a destra Di Lorenzo non sempre riceve il semaforo verde dall’allenatore per sganciarsi dalle retrovie.

La conquista della Coppa Italia è un macigno di convinzione importante ed un alleggerimento del peso di responsabilità enorme. Vada come vada, la stagione 2019/2020 ha portato comunque un trofeo e l’undicesimo anno di fila di presenza in Europa. Roba non da poco, visto come era naufragato il Titanic partenopeo prima di Natale. Il rinnovo di Mertens ed il rinnovato clima di serenità nello spogliatoio sono ottimi viatici per il proseguo di questa anomala stagione estiva. Rincorrere il quarto posto è impresa ardua, ma, tra lacrime e amore, questo Napoli di Gattuso può sognare l’impresa e, quindi, riuscire a riveder le stelle.